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Selen: «Il porno? Un errore, ci abbiamo messo una vita a rimediare»

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Luce Caponegro / Facebook

La nuova Bussola quotidiana - pubblicato il 22/09/17

Il mercato dell’hard? «Un mondo dark, scuro, quasi gotico» e poi lo squallore, la droga

di Andrea Zambrano

Il primo passo è chiamare le cose con il loro nome. «Il porno? Un errore». Quando Luce Caponegro ha dovuto ammettere davanti al figlio di 10 anni di essere stata una pornostar le parole sono scivolate via chiare e semplici senza sotterfugi, né giustificazioni. Un errore, che ha provocato conseguenze dolorose nell’animo per uscire dalle quali sono serviti molti anni. Luce Caponegro è conosciuta con il nome d’arte di Selen. Negli anni ’90 era una stella, era considerata l’erede di Moana Pozzi e di Ilona Staller. Poi ad un certo punto la decisione di farla finita.

Il Corriere della Sera ha intervistato Luce che oggi vive in Romagna dove fa l’estetista. Un lavoro normale, lontano dai riflettori, ma anche lontano dalla concupiscenza di uomini che l’hanno sempre tratta come oggetto. L’intervista è del genere “redentivo”. No, non c’è una conversione di mezzo, che arriva come balsamo a spalmare e a consolare nel più classico degli happy end. Ma c’è piuttosto l’immagine di un lungo cammino, di una ricerca faticosa prima di tutto di se stessi. Che Luce ha iniziato a intraprendere quando ha chiamato le cose con il suo nome. Nella chiacchierata con il giornalista Valerio Cappelli si intravedono le tracce di un cammino doloroso che tocca i suoi punti più significativi quando parla di quel passato.




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«Il porno? Un errore, ci abbiamo messo una vita a rimediare». Il mercato dell’hard? «Si è rivelato un mondo dark, scuro, quasi gotico. Era brutto vedere le ragazze dell’Est costrette al sesso estremo sei ore di seguito per un capriccio del regista, con una scena guadagnavano la paga di un anno a Budapest. Lo squallore, la droga». La carriera di pornostar? «Gli ultimi tempi sono stati una tortura, la trasgressione era diventata un lavoro odioso. Ho dovuto fare film quando volevo smettere, cercando di costruire ciò che ho sempre desiderato, una famiglia». Che cosa si cela dietro le star a luci rosse, considerate ormai modelli per le giovani generazioni? «Rocco Siffredi era violento».




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Pochi flash, che però mostrano l’altra faccia, quella vera, diabolica, di uno dei mercati più redditizi del pianeta, che annega nel nichilismo più squallido. E che indicano nel pornoattore un ingranaggio schiavo del sistema, dal quale, per dipendenza o per disperazione, spesso non riesce ad uscire. La testimonianza di “Selen” è un pugno in faccia alla cultura edonista e sessodipendente di oggi. Una cultura che, partita dalla liberazione sessuale è arrivata alla schiavitù del sesso sganciato dall’amore.

Come dimostra l’inchiesta del mensile di apologetica Il Timone del mese di maggio (clicca qui per acquistarlo on line) dedicata proprio al mondo del porno. Un mondo che rende schiavi, non solo i producer, gli attori e chi ci lucra sopra, ma soprattutto i consumer, gli utenti di un mercato che ha cifre da capogiro e che si serve di ragazzi iperconnessi come carne da macello.




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I dati dell’Internet Filter Review calcolano oltre 28 mila persone che ogni secondo accedono a materiale hard-core tramite internet, 3 milioni e 75 mila sono i secondi spesi a navigare sui siti a luci rosse – si legge nell’indagine firmata da Benedetta Frigerio -. Addirittura 40 milioni di americani accedono a video e immagini erotiche regolarmente. Circa 200 mila americani ne sono gravemente dipendenti. Quest’anno uno dei canali internet dell’industria porno più frequentati ha dichiarato che nel 2016 sono state spese ben 4,6 miliardi di ore (oltre 500 anni) di fronte ai video pornografici con un traffico di gran lunga superiore a quello della Bbc o della Cnn».

In Italia le cose non vanno diversamente: la ricerca più recente pubblicata l’anno scorso dal professor Carlo Foresta, dell’Università di Padova, ha rilevato che il 78 per cento dei giovani è un visitatore abituale di siti hard con collegamenti settimanali (63 per cento) e di una o più volte al giorno (8 per cento) e una media di permanenza che raggiunge anche i 30 minuti. Di questi ragazzi il 10 per cento si è dichiarato dipendente».




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Ce n’è abbastanza per definire il porno una lussuria antisociale, che, rilasciando dopamina all’atto dello stimolo visivo, conduce alla dipendenza, esattamente come una droga. Gli stessi effetti degli oppiacei e alle droghe psichedeliche come l’Lsd.

Anche gli effetti collaterali sono devastanti: dalla ridotta capacità di amare perché la sessualità diventa in un certo senso “deumanizzata” alle costanti delusioni e frustrazioni, che spingono ad atti violenti dove il partner, concepito come uno strumento, viene abusato. E poi ancora: depressioni, crisi d’astinenza, divorzi. Il porno è una catastrofe che può trascinare con sé tutto: affetti, relazioni, sentimenti. Fino a sprofondare nella disperazione col suicidio.

Come difendersi? Anzitutto, spiega Padre Serafino Tognetti iniziando a resistere alle tentazioni e vivere la purezza, virtù che piace a Dio in modo straordinario, ma oggi vilipesa. «Il primo e più importante mezzo lo indica Gesù: custodire la vista. Il che vuole dire semplicemente: non guardare».




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