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Mi sono sentita perduta finché Gesù non ha posto questa parola nel mio cuore

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Leonardo Da / Shutterstock

Kate Madore - pubblicato il 16/09/17

Mi ha confortato in ogni terminazione nervosa

Dopo aver partorito quattro figli, non pensavo che fosse possibile entrare in travaglio senza esservi preparata.

Il parto precedente era stato difficile, ed eravamo preoccupati perché la bambina era piccola, cosa che dopo quattro giganti ci dava da pensare. Lo stress aumentava per varie ragioni. Mio marito ed io non avevamo avuto il tempo per “connetterci” da molto tempo – il problema era lo spazio tra di noi. È stato un periodo di solitudine.

E poi, all’improvviso, è arrivato il momento del travaglio.

Non avevamo nemmeno pensato a un secondo nome per la nostra bambina, cosa che in genere amavo fare in anticipo.

“Ci possiamo fermare prima in una cappella?”, ho chiesto a mio marito. “Certo”, ha risposto.

Siamo entrati nella cappella dell’Adorazione. Non avevo idea di cosa avrei detto a Gesù, ma il mio lato materno, vedendo in me una ragazzina spaventata e senza direzione, l’ha mandata da Lui.

Ci siamo inginocchiati, ci siamo presi per mano e abbiamo fissato lo sguardo su Dio.

Non so cosa fare. In qualche modo devo avere questa bambina. Non so come… L’ho già fatto e non so perché non riesco a farlo ora, ma non ci riesco. Sono così estremamente vuota… Dentro non c’è niente, Gesù.

E allora Cristo ha posto una parola nel mio cuore.

Accogli.

Non sapevo cosa significasse, ma ho sentito qualcosa laddove prima non c’era niente. Una parola forte ma gentile, energica e roboante come un leone ma che mi ha confortato in ogni terminazione nervosa.

Accogli.

Sapevo che la mia preghiera era finita. Sono riuscita a sorridere un po’ a mio marito. Siamo tornati in macchina.

Questa parola non è servita ad avere un travaglio semplice. Il Signore non mi ha esentato da quel dolore stranamento bello, anche se avrei voluto che lo facesse. Non riuscivo ad andare avanti. Pitocina. Preoccupazione.

Dopo 18 ore ero pronta per il cielo. Ogni contrazione mi portava nel luogo oscuro in cui vivere è una scelta, e non volevo compierla. Non riuscivo a pensare. Non riuscivo a piangere. Potevo solo continuare a vivere quel dolore. Un’altra contrazione e sono affondata, con gli occhi chiusi.

Una mano nella mia, una mano sulla mia spalla. “Kate”, mi ha chiamata mio marito.

No. Non potevo tornare indietro.

Lui mi ha chiamata. Non ha gettato la spugna.

L’ho guardato aprendo gli occhi contro la mia volontà, e sembrava così lontano… come se fosse un sogno. Mi stava sorridendo.

E mi ha detto: “Accogli”.

Non gli avevo detto della mia preghiera o di quella parola. Non ero riuscita ad articolare un singolo pensiero su quello che stavo vivendo. Ma in tutta quella situazione il Signore mi ha amato ancora attraverso le parole di mio marito, sussurrandomi quella parola segreta.

Accogli, tesoro. Accogli la contrazione”. Ho annuito e ho fatto un profondo respiro.

Non riuscivo a partorire quella bambina da sola. Non riuscivo ad amare mio marito, o a sapere come volgermi a Dio nella confusione. Potevo essere vuota e sola.

Ma il Signore poteva donare, e io potevo accogliere.

Ho accolto quella contrazione, e molte altre. La mia bambina è nata. E il secondo nome a cui non eravamo riusciti a pensare è stato chiaro: Grace, Grazia. Quella che può solo essere accolta.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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