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3 modi eccellenti per trasformare l’ambizione in una virtù

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Catholic Link - pubblicato il 15/09/17

di Sebastian Campos

È considerata un peccato, e uno dei peggiori. In quest’epoca di economia di libero mercato e concorrenza, l’ambizione e volere più di ciò che si ha è considerato anche un valore, e spesso gli “ambiziosi” ricevono le congratulazioni dei loro superiori per l’impegno profuso nel raggiungere mete e successi.

Per definizione, l’ambizione è il “desiderio intenso e veemente di ottenere una cosa difficile da raggingere, in particolare ricchezza, potere o fama”, e se è così possiamo applicarla a molte delle nostre lotte spirituali e delle nostre più grandi sfide personali, essendo l’ambizione una caratteristica che ci si potrebbe aspettare da un cristiano, da qualcuno che non si conforma, ma desidera di più.

Allo stesso tempo, potrebbe essere considerata un atteggiamento disordinato quando il possesso diventa l’obiettivo al di là dell’essere, in cui si premia il successo indipendentemente da ciò che è stato fatto per raggiungere quella cosa, in cui il percorso, il processo, perde valore se alla fine non si ottiene ciò che si desiderava. Sì e no. L’ambizione, anche se in sé non è negativa, può portarci su vie di peccato ed egoismo, e anche a esiliare Dio dal centro della notra vita. Per questo vi invito a vedere come trasformare un atteggiamento potenzialmente peccaminoso in una virtù spirituale che tutti dovremmo perseguire.

1. Cammino sbagliato: Desiderio di riconoscimento ed eredità perpetua

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È naturale che abbiamo bisogno di ottenere riconoscimento, che si dica bene di noi, che la gente abbia una buona opinione delle nostre caratteristiche personali, professionali, accademiche, ecc. Tutti vogliamo essere amati e accettati dalla gente. Risponde a una necessità di lasciare traccia, di far sì che il nostro passaggio sulla terra segni non solo la vita di chi ci sta accanto, ma anche quella di molte altre persone. Il problema è quando questo desiderio di riconoscimento, di eredità e perpetuità diventa un’ambizione smisurata, che influisce sugli altri, che guarda solo allo scopo, senza curarsi dei mezzi o delle conseguenze pur di ottenere ciò che si desidera. Essere il primo della classe non è intrinsecamente negativo, ma se per diventarlo i miei sforzi sono riposti non solo nel migliorare, ma nel pregiudicare gli altri, nel far loro lo sgambetto o nell’ostacolare il loro percorso, è un peccato più o meno grave.

Cammino virtuoso: Fame di infinito

“Dio, in realtà, dopo la loro caduta (di Adamo ed Eva), con la promessa della redenzione, li risollevò nella speranza della salvezza ed ebbe costante cura del genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro i quali cercano la salvezza con la perseveranza nella pratica del bene” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 55).

Se la nostra ambizione si trasforma in un desiderio insaziabile di raggiungere Dio e se riconosciamo che questo desiderio deriva da Dio stesso, allora diventa una virtù. È indubbio che la Chiesa come comunità universale riconosca questo cammino che alcuni cristiani hanno percorso in modo eccezionale e che ha portato molti di loro sugli altari. Non credo che nessun santo abbia fatto tutto ciò che ha fatto pensando che dopo la sua morte il suo volto sarebbe apparso sui santini e sarebbe stato dato il suo nome a vari templi in luoghi diversi del mondo. Hanno senz’altro lasciato un’impronta, ma la loro ambizione più grande era la vita eterna e che tutte le loro azioni costruissero una dimora per loro in cielo, e non lasciare un’eredità incancellabile tra i loro fratelli. Quest’ultimo fatto è un frutto, riconosciuto e ammirato, ma santo quando è proprio questo, un frutto.

2. Cammino sbagliato: Dimostrare la mia superiorità

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È quello che Gesù criticava parlando dei farisei che si accentuavano le occhiaie e camminavano prostrati per dimostrare quanto fossero “santi” sottoponendosi a lunghi digiuni. Succede anche oggi a noi, e purtroppo accade molto spesso sul piano spirituale.

Ho vari amici seminaristi, tutti uomini retti e che sono convinto abbiano una vocazione sincera, ma spesso scherzando dico loro che anziché preoccuparsi di servire, di crescere, si preoccupano di chi abbia i pantaloni più neri o di chi sia capace di alzarsi prima per andare a pregare in cappella all’alba. Come se l’abnegazione, la solennità e il decoro non fossero un’offerta a Dio, ma un modo per dimostrare chi sia più santo. Succede anche a noi laici, soprattutto a noi che svolgiamo apostolato, che in ogni riunione a cui partecipiamo non possiamo fare a meno di alzare la mano per esporre il nostro pensiero e illuminare tutti gli altri che sicuramente vagano nelle tenebre e nell’errore. Ci crediamo migliori e senza volerlo sporchiamo le nostre buone intenzioni con questi desideri di dimostrare agli altri quanto siamo buoni e quindi superiori e più adatti a questo o quello.

Cammino virtuoso: Mettere alla prova le mie capacità per migliorare

Quando ero un “neoconvertito” ho avuto la benedizione che il mio parroco dell’epoca mi invitasse sempre a digiunare non solo dal cibo, ma da qualsiasi tipo di cosa. Da ore di televisione, al telefono, di riposo, di sonno. L’obiettivo era offrire questi sacrifici a Dio, ma allo stesso tempo anche allenare la mia forza di volontà e vedere fino a che punto ero capace di dominarmi, perché quando fosse giunta una prova difficile e tentatrice avessi la forza spirituale per sopportarla e rimanere saldo. Quel periodo è stato senz’altro l’allenamento che mi ha aiutato a camminare nelle profondità della fede. Mettermi alla prova non solo per battere record di più giorni senza mangiare o vedere la tv, ma per riconoscere quello che potevo raggiungere con le mie forze e con l’aiuto di Dio. Ma soprattutto quello che potevo raggiungere quando le mie forze si esaurivano e restava solo la grazia di Dio a sostenermi, e perché tutto ciò che raggiungevo fosse interamente merito suo.

Riconoscere i nostri limiti ed esporci a certe tensioni con prudenza e cura è un esercizio spirituale molto utile che serve se ne facciamo tesoro dentro di noi per offrirlo a Dio, non per raccontarlo in pubblico come merito della nostra santità e della nostra forza di volontà.

3. Cammino sbagliato: Il successo e il premio come fine

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Marcelo Bielsa, un noto allenatore di calcio argentino, nella sua filosofia sportiva diceva che ci fa molto meglio perdere che vincere. Il trionfo acceca, stordisce, e dopo essere campioni mondiali di qualcosa che succede? Dall’altro lato, la sconfitta, pur se vergognosa e dolorosa, offre molte più lezioni, ci aiuta a crescere come non fa una medaglia o una coppa.

Non è che si debbano disprezzare i successi, ma che questi siano il nostro unico fine è errato. È meglio cercare qualcosa che non finisca, che non termini per il solo fatto di averlo raggiunto, perché questa ambizione diventa insaziabile con le conseguenze nefaste che comporta: la frustrazione, lo scoraggiamento e la mancanza di motivazione quando non si sa più che altro avere. È un po’ come quello che accade a chi dipende da farmaci o droghe, che aumentano la tolleranza e fanno richiedere dosi sempre superiori per ottenere quello che prima si otteneva con poco.

Avere un medagliere e una vetrina con dei trofei in mezzo alla casa o al cuore è invidiabile, ma se la vita ruota intorno a questo si è perso tutto il senso, e allora cosa succederà quando non si potrà più correre, competere e vincere?

Cammino virtuoso: Desiderare dei doni per metterli al servizio

San Paolo ci dice di aspirare “ai carismi più grandi” (1 Corinzi 12, 31), ma la cosa curiosa è quello che dice dopo aver elencato tutti i doni spirituali che il Signore ci può dare. Ci invita ad essere ambiziosi per quanto riguarda l’ottenere da Dio quelle grazie che ci rendono capaci di fare di più, che ci portano a raggiungere ciò che con le nostre forze non riusciremmo a ottenere. Questo carisma più perfetto a cui si riferisce San Paolo è l’Amore. Non vale a nulla ottenere tutto se non abbiamo l’amore; non vale a nulla avere un cammino spirituale di spicco e degno di un film se non abbiamo amore; saremmo semplici campane che risuonano; anche dare tutto ciò che abbiamo ai poveri non vale nulla se non lo facciamo con amore.

È per questo che la più grande delle nostre ambizioni, ben al di là del possedere doni spirituali, è quella di amare; amare come Gesù ci ha amati, offrendo la vita, mettendoci al servizio di tutti, impegnando le nostre mani e il nostro cuore per chi non può, senza aspettarsi medaglie, trofei o i nostri volti su un santino. Per questo ci invita a chiedere instancabilmente i doni spirituali che Dio ha per noi attraverso lo Spirito Santo, a perseverare in quel cammino con santa ambizione, ma soprattutto a chiedere a Dio più amore per amare meglio.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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