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Peggio della malaria solo il pregiudizio

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MeePoohyaPhoto/Shutterstock

Lucandrea Massaro - Aleteia Italia - pubblicato il 07/09/17

La morte della bimba di Trieste scatena in alcuni giornali reazioni senza senso che uccidono il ruolo della stampa

Come se la morte della piccola Sofia (4 anni) non fosse già una tragedia in sé, il circo Barnum di un certo tipo di annunci sensazionalistici ha deciso di gettare benzina sul fuoco dell’indignazione e del razzismo. Il copione è facile, una bambina italiana prende una malattia originaria di paesi lontani ed ecco che la colpa ricade sui migranti, al di là di ogni dubbio e al di là anche delle evidenze scientifiche.

La malaria si trasmette solo attraverso un’altra zanzara

La malattia, che tra l’altro era presentissima in Italia fino ad un secolo fa, ha modalità di trasmissione precisa, solo attraverso scambi ematici: «Se il ceppo o la variante del parassita che ha provocato la malaria nei due pazienti ricoverati a Trento e nella piccola Sofia fosse lo stesso», ha spiegato il vicepresidente della Società italiana di malattie infettive e tropicali, Massimo Galli, «allora il contagio della bambina sarebbe sicuramente avvenuto in ospedale. Ma resterebbe da capire in che modo» (Lettera 43).

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Gli esperti concordano che si tratti di un evento eccezionale e poco probabile, ma l’ipotesi più accreditata è che la malattia sia stata trasmessa da una zanzara infetta, quindi di un contagio indiretto. La possibilità più verosimile è che la zanzara vettore della malattia sia di una specie presente sul territorio italiano in via eccezionale, arrivata qui per qualche coincidenza magari attraverso la valigia di qualche viaggiatore.

In questo caso esiste una maggiore varietà di specie di zanzara compatibili, dunque sarebbe più plausibile la forma di malaria cerebrale. Dal momento che questa zanzara dovrebbe aver infettato Sofia dopo aver punto altrove una persona malata, quest’ultima potrebbe essere entrata in contatto con la zanzara fuori dall’Italia (quindi l’insetto sarebbe arrivato nel nostro Paese già infetto), oppure potrebbe essere unodei due bambini tornati dal Burkina Faso che avevano contratto la malaria ed erano ricoverati nel reparto di pediatria a Trento contemporaneamente a Sofia (Wired).

A dire una parola definitiva sull’argomento è l’immunologo Fabrizio Pregliasco in una intervista a Vita

Dunque il vero rischio di contagio si ha solo andando in regioni a rischio? Si, la malaria non c’è in Italia e l’unico vero rischio è andare all’estero senza fare la chemioprofilassi. Di questi casi ne abbiamo centinaia l’anno. Di cui una buona quota è relativa bimbi di seconda generazione che tornano nei paesi di origine ma che sono vergini rispetto a queste infezioni e quindi più esposti. L’immigrazione può essere un veicolo di infezione malarica? No, gli immigrati non c’entrano. In primo luogo perché non arrivano da zone a rischio. In secondo luogo perché, anche arrivasse qualcuno malato, le nostre zanzare, anche le anofele locali, non sono in grado di allargare l’infezione.

L’ipotesi del campeggio

Tuttavia ogni ipotesi investigativa, soprattutto da parte del ministero della Salute. «Stiamo valutando con più attenzione la possibilità che la bambina sia stata contagiata mentre era a Bibione, cioè prima del ricovero in ospedale a Portogruaro, dove è stata il 13 agosto, e a Trento, dove era dal 16 al 21 agosto» ha spiegato in un’intervista a Repubblica Raniero Guerra, direttore generale della prevenzione sanitaria del ministero e a capo della task force incaricata da Lorenzin di indagare sulla vicenda. Guerra ha fatto riferimento ai tempi di incubazione della malaria, tra i 14 e i 20 giorni, che sarebbero «più compatibili con le date in cui Sofia era al mare» (Avvenire)

La caccia all’untore

Eppure tutti coloro che hanno completato le scuole superiori hanno letto Manzoni e l’episodio dell’untore dei Promessi sposi, eppure ci sono giornali che hanno deciso che invece di approfondire, capire, e spiegare ai propri lettori cosa stava succedendo hanno preferito attaccare a testa bassa:

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o anche:

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Nel frattempo il nonno della piccola Sofia ribadisce che “non facciamo accuse. Rilevo che il mondo è cambiato, che tutti andiamo lontano, che assieme alle persone e alle merci possono viaggiare anche insetti e virus. È la globalizzazione. Forse anche gli ospedali devono prendere atto che il quadro e il clima non sono più quelli di prima” riferendosi al fatto che i bambini di origine africana con la malaria non fossero in qualche forma di isolamento e si chiede, che “pazienti con questa malattia, o i loro parenti con i bagagli, entrino in contatto con gli altri”. La responsabilità dunque andrebbe cercata – se vogliamo – in una profilassi ospedaliera insufficiente (TgCom24).

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