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Papa Francesco spiega come riconoscere un cattivo superiore o un cattivo vescovo

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© Antoine Mekary / Aleteia

Gelsomino Del Guercio - Aleteia Italia - pubblicato il 06/09/17

Pigrizia, noia, assenza di pietas, perdita di memoria. Così l'allora Padre Jorge tratteggiava i mali della Chiesa

Un cattivo superiore o un cattivo vescovo. Ecco come riconoscerli. A spiegarlo è direttamente Papa Francesco in un volume del 1983.

L’allora padre Jorge Mario Bergoglio aveva scritto un saggio dal titolo “Il cattivo superiore e la sua immagine“. Si riferiva al superiore all’interno della Compagnia di Gesù che ha una precisa missione pastorale.

La Civiltà Cattolica, in un articolo di padre Diego Javier Fares (Quaderno 4013, 5 settembre), spiega: per Bergoglio-Francesco, il superiore e pastore è un uomo ad aedificationem. Edificare implica, oltre che la costruzione della Chiesa con pietre vive, anche la capacità di condannare: «Sant’Ignazio c’insegna che edificare comporta la capacità di condannare».

Tale capacità è stata ed è un tratto distintivo di Bergoglio-Francesco. I suoi “no” sono chiari.

IL CATTIVO SUPERIORE

Bergoglio individua tre caratteristiche del superiore cattivo. La prima è quella di essere «pigro», e segno distintivo ne è «la cattiva stanchezza». La seconda è che «egli perde la memoria», e segno caratteristico ne è «la noia esistenziale». La terza caratteristica è propria del superiore che è «carente di pietas», e segno distintivo ne è «uno spirito lamentoso».




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IL CRITERIO DELLA CROCE

Come si capisce se queste tre caratteristiche non logorano il superiore? Bergoglio dà come criterio sicuro quello della croce. Se c’è di mezzo la croce del Signore, si può «fiutare» la presenza di un buon superiore; quando invece compare il «negoziare» e il voler fare bella figura, è probabile che si abbia a che fare con un cattivo superiore.

IL CRITERIO DELLE SOFFERENZE

La domanda chiave che ogni superiore deve porsi riguarda le proprie sofferenze e tristezze, per capire di che segno sono. «Lo spogliano sempre più di se stesso e lo avvicinano a Cristo crocifisso? Allora sono di Dio, sono la forgia della passione».

«Alimentano in lui qualche risentimento? Gli propongono ambizioni future a compensazione di insuccessi precedenti? Allora sono del cattivo spirito, forgiano fariseismo nella sua anima, lo portano alla sterilità e lo trasformano in un asino».

IL CRITERIO DELL’EREDITA’

Bergoglio offre un ultimo approfondimento in chiave di paradosso, giocando sulla differenza che intercorre tra «non vedere» ed «essere cieco». Un ulteriore criterio per distinguere il buono e il cattivo superiore. «Se un superiore accoglie l’eredità ricevuta e vuole trasmetterla fedelmente, non può fare altro che accettare di “non vedere” la pienezza di quell’eredità. Perché la legge della fedeltà a qualsiasi eredità consiste nel “consegnarla” e nel rinunciare a goderne la pienezza».

Questo «non vedere» è il contrario del «negoziare», che rende cieco chi non vuole trasmettere l’eredità, ma piuttosto godersela.

ABRAMO CONTRO SANSONE

Le immagini bibliche che ispirano Bergoglio, e che si contrappongono totalmente a quelle scelte per illustrare che cosa sia un cattivo superiore, sono quelle di Abramo e degli anziani Simeone e Anna: persone che «hanno il coraggio di salutare la promessa da lontano» ed esultano nella speranza (cfr Gv 8,56).

Completamente agli antipodi di queste immagini sono quelle che Bergoglio sceglie per illustrare che cos’è un cattivo superiore.


L’immagine di Sansone, annoiato dalla vita e irretito dalla sensualità, che perde la forza e cade nelle mani dei nemici che lo accecano, sicché deve ricorrere a una sciagura per riparare in qualche modo al male arrecato. E ancora l’immagine di Esaù, vagabondo e lamentoso, che vende la primogenitura per un piatto di lenticchie. E quella di Anania e Saffira, che ingannano e si fanno passare per devoti, mentre sono calcolatori e meschini.

IL CATTIVO VESCOVO

Il cattivo vescovo rimarca le tre caratteristiche del cattivo superiore. Francesco, in particolare, bacchetta la pigrizia pastorale quando essa svaluta il tesoro e la ricchezza più grandi dell’eredità ricevuta: il popolo fedele e i suoi sacerdoti.




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1) LA DISTANZA CON I FEDELI

Un aspetto caratteristico di tale tentazione è la distanza tra il vescovo e il suo popolo. «È necessario per i nostri pastori superare la tentazione della distanza, e lascio ad ognuno di voi di fare la lista delle distanze che possono esistere». Ogni volta che ne ha l’occasione, Francesco fa ricorso a una specie di rappresentazione del vescovo distante, che non risponde alle chiamate telefoniche dei suoi preti.

Anche la gente ha bisogno di sentire vicino il proprio pastore: «La presenza! La chiede il popolo stesso, che vuole vedere il proprio vescovo camminare con lui, essere vicino a lui. Ne ha bisogno per vivere e per respirare!»; oppure: «Al gregge serve trovare spazio nel cuore del pastore».




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ANTIDOTO: CORDIALITA’

Ci sono molte maniere per frapporre distanza, e una sola per ridurla: la cordialità che si esercita verso il proprio gregge giorno dopo giorno, in particolare con le persone più problematiche e bisognose.

ANTIDOTO: KERIGMA

La distanza non è soltanto affettiva. C’è una distanza peggiore, che consiste nel rendere inaccessibili la Parola di Dio e i sacramenti. Perciò Francesco esorta i vescovi a essere «kerigmatici». Il kerigma è sempre annuncio che «il Regno è vicino».

ANTIDOTO: PAZIENZA

Altro antidoto alla distanza è la pazienza. Francesco ricorda: «Dicono che il cardinale Siri soleva ripetere: “Cinque sono le virtù di un vescovo: prima la pazienza, seconda la pazienza, terza la pazienza, quarta la pazienza e ultima la pazienza con coloro che ci invitano ad avere pazienza”».

La pazienza di cui parla Francesco è eminentemente dinamica. Si tratta di «entrare in pazienza» davanti a Dio: «Il vescovo dev’essere capace di “entrare in pazienza” davanti a Dio, guardando e lasciandosi guardare, cercando e lasciandosi cercare, trovando e lasciandosi trovare pazientemente davanti al Signore».

2) IL “PERSONAGGIO”

La seconda caratteristica del vescovo che «vende l’eredità» è quella di aver perduto la memoria dell’eredità ricevuta, e ciò lo priva del coraggio di discernere. Egli dubita, cavilla, rinvia o non vede ciò che conduce al bene e ciò che conduce al male nella vita del suo popolo. E questo ha a che fare con la vanità, con il guardare a se stessi, invece di guardare al bene e al male degli altri che richiedono un intervento».

Negli scritti di Francesco possiamo vedere un segno della mancanza di tale memoria nell’immagine del vescovo «personaggio». Il Papa lo tratteggia in un testo breve, ma molto energico, rivolto ai nuovi vescovi: «Tanti oggi si mascherano e si nascondono. Amano costruire personaggi e inventare profili. […]

L’ASINO

Costruire «personaggi» e inventare «profili» è vanità superficiale e, più in profondità, è assenza di memoria.

La memoria è «collirio che purifica gli occhi dei pastori» e dà loro quel «senso “deuteronomico” della vita» come storia di salvezza, liberandoli dalla «malattia dell’Alzheimer spirituale”». L’immagine utilizzata da Bergoglio è quella dell’«asino»

3) PRIVO DI “PIETAS”

La terza caratteristica del cattivo superiore è quella di essere una persona a cui manca la pietas. Nel caso del cattivo vescovo, questa mancanza si può nascondere dietro l’atteggiamento di esagerare la pietà su alcuni punti e nello stesso tempo trascurarla in altri. Come chi è molto pio nei confronti dell’Eucaristia e poi è impaziente e poco delicato nel rapporto con gli impiegati o con i poveri. O chi difende come un gladiatore un aspetto della dottrina o della morale e ne perde di vista altri.

I “CIRCOLI CHIUSI”

Riguardo alle malattie della Curia, Francesco ha messo in risalto il sintomo di tale tentazione, parlando delle «mormorazioni» e di coloro che formano «circoli chiusi». Nei vescovi un simile modo di agire è sintomo di qualcosa di più grave: la mancanza di spirito sinodale.




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