separateurCreated with Sketch.

Ecco il corpo scelto dell’esercito di Dio

whatsappfacebooktwitter-xemailnative
Paola Belletti - Aleteia Italia - pubblicato il 04/09/17
whatsappfacebooktwitter-xemailnative

I più piccoli e abbandonati, i sofferenti, gli scartati sono la truppe d’assalto che sfondano le linee nemiche«Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». Dice Gesù, parlando del giorno del giudizio in Matteo 25, 31-46.

Domani, 20 anni fa moriva, beata lei, Madre Teresa di Calcutta.

Beata lei che è arrivata dove voleva, dove tutti vogliamo. Tranne chi si perverte e si ostina nell’impenitenza definitiva, ma a quel punto non è più quasi nessuno; è un pasto della bestia.

Non avete anche voi una voglia irresistibile di Cielo? Di paradiso, bellezza, pace, consolazione, stupore, carità perfetta?

Sì, può essere anche la stanchezza ma è anche il nostro cuore. Il mio fa così. Si spinge avanti un battito alla volta, obbedendo a chi sa lui, e mi dice che siamo attesi altrove.

Intanto però, l’altrove è qui. Il mio alibi, la mia vita. Le loro (dei figli, soprattutto) vite tutte attorcigliate alla mia.

Sì. Qui, A casa mia. Io ce l’ho in casa uno, uno solo, dei Suoi fratelli più piccoli.

Gli ho appena dato da mangiare, con una certa fatica, e temo la cosa andrà peggiorando. No, non c’entra pensare positivo. O un miracolo oppure un’assistenza H24 con riabilitatori esperti e la nostra vita e la sua sconvolte oppure una normalità faticosissima nella quale c’è anche la riabilitazione, le terapie, e ci sono le visite e tutto quanto. E me ne occupo sempre io. Anche, è la parola che mi abbatte.

Un gancio di una lega pesantissima al quale si attaccano vagoni e vagoni di cose, urgenze, stupidate ma da fare ora e a volte si portano via la vita, la vita normale, di cose normali.

Ma non importa. Siamo fortunati. Perché noi, ve l’ho detto, uno dei Suoi fratelli più piccoli ce lo abbiamo a casa. Dorme ancora in camera nostra, mia e di mio marito. Anche se ha 4 anni e quasi nel lettino che doveva essere di fortuna non ci sta più. Ma almeno se ha crisi brutte me ne accorgo.

E lo amiamo con molta naturale convinzione. Lo prendiamo spesso in giro. Lui e i suoi capelli fitti fitti che crescendo in fretta lo trasformano nel Mago Silvan, in Rick Astley (siamo dei quarantenni e i nostri immaginari si sono formati, poveretti, negli anni’80). Gli urliamo forte che è il più bello del mondo. Lo baciamo con tanti schiocchi. Mio marito lo fa saltare e lui sorride ancor prima che cominci.

Ho in mentre tre cose, di tre persone, due vivissime, una ancora viva.

La prima, Madre Teresa di Calcutta, che domani ricorderemo tutti: i più deboli, i più bisognosi, diceva, sono la cura alla lebbra occidentale. La solitudine. E adesso, mi dico, di cosa proviamo più ribrezzo? Dei miseri, dei menomati gravi, dei reietti? O non fa forse più impressione un uomo mangiato dalla lebbra? Poco importa. Madre Teresa si avvicinava a passo svelto ad entrambi.

Noi occidentali, che vogliamo vedere in giro solo membra sane e gente giovane e veloce, siamo così stupidi da volerci liberare dell’unica nostra medicina. I miseri, i piccoli, gli handicappati. (Ovvero di chiunque, presto o tardi).  Amateli e guarirete.

E siamo anche la causa della più grande sofferenza di questi miseri e dei loro cari: il fastidio, l’esclusione, il sentirsi un peso, le umiliazioni continue per ottenere poco e ogni volta doverlo riottenere e rinegoziare, l’indifferenza. Queste cose opprimono. Ma ach’esse si possono offrire, ora che ci penso. A me in particolare anche il capire che quasi nessuno mi possa capire davvero (lo so, per tutti, in fondo è così. Ma nella sofferenza grande è molto intenso).



Leggi anche:
Ti costa curare con amore chi ha bisogno di te? Recita questa preghiera di Madre Teresa

A volte nemmeno io mi rendo davvero conto del carico che porto. Nemmeno il marito, fino in fondo. Qualche amica, forse. Per davvero credo solo chi lo ha già vissuto o i grandi santi. Infatti sono queste due categorie di persone che poi si inventano e tirano in piedi associazioni, ordini, servizi d’eccellenza. E mica con l’intenzione di risolvere i problemi o eliminare il male! Solo col desiderio di dare sollievo. E servire Cristo.

Che poi magari alle inaugurazioni, agli anniversari, alle premiazioni ci vanno pure i sindaci o altre autorità; quegli stessi che per farti avere qualche ora di assistenza ogni anno ti seviziano di forse, di riduzioni, di idiozie senza senso. Lo chiedo senza vergogna: davvero, siete proprio sicuri che sia necessario risparmiare su queste cose? E se non dipende dai sindaci, là al livello più alto, anche voi siete sicuri che sia proprio così? Avete fatto davvero bene i conti?

L’altro pensiero che si è presentato da solo alla mia mente è di Giovanni Paolo II. Parla dei deboli, dei malati, dei sofferenti anche dei dementi, di chi è offeso nella sua umanità in vari modi, come della porzione scelta del popolo di Dio. Del corpo d’armata più potente dell’Esercito del Signore degli eserciti. Dice che dobbiamo inchinarci davanti alla maestà della sofferenza (Angelus 11 febbraio 1979).

Si preoccupava sempre, nei suoi viaggi, nelle tappe fondamentali della Sua vita, di incontrare, consolare e chiedere preghiere ai malati. Il loro apostolato era quello a cui teneva di più. Diceva anche che Lui poteva compiere il Suo ministero grazie a loro. Fino a che non è diventato uno di loro. Disse nell’ Angelus del 29 maggio 1994  “che cosa può portare il Papa davanti ai potenti della terra? La sua sofferenza!”. Ringrazia Maria del dono della sofferenza. e prima diceva di un Vangelo superiore. Il Vangelo della sofferenza, necessario a preparare il Terzo Millennio per le famiglie. Per la famiglia. Perché è aggredita e minacciata.



Leggi anche:
La sofferenza, campo fondamentale della nuova evangelizzazione

E infine Papa Francesco, all’Angelus di domenica scorsa: “Sempre, anche oggi, la tentazione è quella di voler seguire un Cristo senza croce, anzi, di insegnare a Dio la strada giusta”. E anche lui ringrazia e chiede aiuto alla Madonna: “Maria Santissima, che ha seguito Gesù fino al Calvario, accompagni anche noi e ci aiuti a non aver paura della croce, ma una croce con Gesù inchiodato; a non avere paura di soffrire per amore di Dio e dei fratelli, perché questa sofferenza, per la grazia di Cristo, è feconda di risurrezione”

Ecco signori. Tutto qua. La Croce è necessaria. La croce è la strada, quella giusta. Avete una bella croce nella vostra vita?

Amatela.

E noialtri, tutti noi intorno, facciamo un po’ di staffetta.

A seconda di quel che ci tocca, nei diversi momenti della vita, facciamoci Cristi e Cirenei. Bisogna portarla fino in cima e morirci.

Segue Risurrezione.