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Papa Francesco: la psicanalisi mi ha aiutato, quando avevo 42 anni

Pope Francis General Audience June 28, 2017

Antoine Mekary | ALETEIA

Aleteia Italia - pubblicato il 01/09/17

Le Figaro Magazine pubblica ampi estratti di un’opera del Papa che sta per essere pubblicata. Un libro di dialoghi fuori dai denti, pieno di sorprese.

L’impegno per i migranti

«Gesù stesso è stato un rifugiato, un immigrato»

Dominique Wolton: A Lesbo lei disse, nel gennaio 2016, una cosa bella e rara: «Siamo tutti dei migranti, siamo tutti dei rifugiati». Nell’ora in cui le potenze europee e occidentali si chiudono, che dire a margine di questa frase magnifica? Che fare?

Papa Francesco: C’è una frase che ho detto – e dei bimbi migranti ce l’avevano scritta sulle magliette –: «Non sono un pericolo: sono in pericolo». La nostra teologia è una teologia di migranti. Perché dalla chiamata di Abramo in qua, con tutte le migrazioni del popolo di Israele a seguire, tutti lo siamo; e poi Gesù stesso è stato un rifugiato, un immigrato. E poi, esistenzialmente, proprio nell’atto della fede, siamo dei migranti. La dignità umana implica necessariamente «di essere in cammino». Quando un uomo, o una donna, non è in cammino, è una mummia. È un pezzo da museo. Così la persona non è viva.

[…] Dominique Wolton: Un anno e mezzo dopo questa frase che ha pronunciato a Lesbo, la situazione è peggiorata. Molte persone hanno ammirato le sue parole, ma poi nient’altro. Che potrebbe dire, oggi?

Papa Francesco: Il problema comincia nei Paesi da dove vengono i migranti. Perché lasciano la loro terra? Per mancanza di lavoro o a causa della guerra. Sono due ragioni principali. La mancanza di lavoro, perché sono stati sfruttati – penso agli africani: l’Europa ha sfruttato l’africa… non so se lo si può dire, ma certe colonizzazioni europee… sì, l’hanno sfruttata. Ho letto che un capo di Stato africano, recentemente eletto, ha sottoposto al Parlamento, come primo atto di governo, un piano per il rimboscamento del Paese – ed è stata approvata. Le potenze economiche mondiali avevano disboscato dappertutto. Rimboscare. La terra è arida per essere stata troppo lungamente sfruttata e non c’è più lavoro. La prima cosa che si deve fare, e l’ho detto alle Nazioni Unite, al Consiglio d’Europa, dappertutto, è di trovare laggiù delle risorse che creino posti di lavoro – e investirci. È vero che l’Europa deve investire anche in sé stessa. Perché pure qui la disoccupazione è un problema. L’altra ragione delle migrazioni sono le guerre. Si può investire, la gente avrà di che lavorare e non avranno più bisogno di partire, ma se c’è la guerra dovranno fuggire comunque. Ora, chi è che fa la guerra? Chi dà le armi? Noi.

«L’Europa, in questo momento, ha paura. Così chiude, chiude, chiude…»

Papa Francesco: Credo che l’Europa sia diventata una “nonna”. E io invece vorrei vedere un’Europa madre. Per quanto riguarda le nascite, la Francia è in testa ai paesi sviluppati con, mi pare, più del 2%. Ma l’Italia, che sta intorno allo 0,5%, è molto più debole. Vale lo stesso per la Spagna. L’Europa può perdere il senso della sua cultura, della sua tradizione. Pensiamo che è l’unico continente ad averci donato una così grande ricchezza culturale, e questo voglio sottolinearlo. L’Europa deve ritrovarsi tornando alle sue radici. E non avere paura. Non avere paura di tornare ad essere l’Europa madre. […]

Dominique Wolton: Per l’Europa qual è la sua principale inquietudine? E quale la speranza?

Papa Francesco: Non vedo più degli Schumann, e neanche degli Adenauer…

Dominique Woltono: [ride] Beh, c’è lei comunque. E anche altri…

Papa Francesco: L’Europa, in questo momento, ha paura. E quindi chiude, chiude, chiude…

[…] E poi l’Europa è una storia di integrazione culturale, multiculturale come dice lei, molto forte. Da sempre. I Longobardi, antenati dei nostri Lombardi odierni, sono dei barbari arrivati tanto tempo fa… E poi tutto s’è mescolato e noi abbiamo la nostra cultura. Ma qual è la cultura europea? Come la definirei io, oggi, la cultura europea? Sì, ha delle importanti radici cristiane, è vero. Ma questo non basta per definirla. Ci sono tutte le nostre capacità. Capacità di integrare, di ricevere gli altri. C’è pure la lingua nella cultura. Nella nostra lingua spagnola il 40% delle parole viene dall’arabo. Perché? Perché sono stati in Spagna per sette secoli. E hanno lasciato la loro traccia.

[…]

«L’identità argentina è un meticciato, e io mi sono sempre sentito un po’ così»

Dominique Wolton: In che cosa si sente argentino? E secondo lei in che consiste l’identità argentina?

Papa Francesco: In Argentina ci sono dei nativi. Abbiamo dei popoli indigeni. L’identità argentina è un meticciato. La maggior parte del popolo argentino viene dal meticciato. Perché ondate di immigrazione si sono mescolate, mescolate e mescolate… Penso che sia accaduto lo stesso negli Stati Uniti, dove ondate di immigrazione hanno mescolato i popoli. I due Paesi si assomigliano abbastanza. E io mi sono sempre sentito un po’ così. Per noi, era assolutamente normale avere a scuola diverse religioni insieme.

[…] Alcuni Paesi sono stati capaci di integrare gli immigrati nella loro vita. Ma degli altri, per due o tre generazioni, li hanno “oggettivati” nei ghetti. Senza integrazione.

La Chiesa e la società

«Le religioni non sono delle sotto-culture»

Papa Francesco: Lo Stato laico è una cosa sana. Esiste una sana laicità. Gesù l’ha detto: bisogna rendere a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. Tutti noi siamo uguali davanti a Dio. Ma credo che in certi Paesi come la Franci questa laicità abbia una colorazione ereditata dai Lumi… parecchio più forte, che costruisce un immaginario collettivo nel quale le religioni sono viste come una sottocultura. Io credo che la Francia – è la mia opinione personale, non quella ufficiale della Chiesa – dovrebbe “innalzare” un po’ il livello della laicità, nel senso che dovrebbe dire che le religioni fanno parte anch’esse della cultura. Come esprimere questa cosa laicamente? Mediante l’apertura alla trascendenza. Ognuno può trovare la propria formula di apertura. Nell’eredità francese, i Lumi pesano troppo. Comprendo quest’eredità della Storia, ma dilatarla è un lavoro che va fatto. Ci sono dei governi, cristiani o no, che non ammettono la laicità. Che vuol dire uno Stato laico “aperto alla trascendenza”? Che le religioni fanno parte della cultura, che non sono delle sottoculture. Quando si dice che non bisogna portare al collo delle croci visibili o che le donne non devono portare questo o quello… è una sciocchezza. Perché l’una e l’altra attitudine rappresenta una cultura. Uno porta la croce, l’altra porta un’altra cosa, il rabbino porta la kippàh, il Papa porta lo zucchetto [ride]… Ecco, la sana laicità! Il Concilio Vaticano II parla molto bene di questa cosa, con tanta chiarezza. Credo che, su questi argomenti, ci siano delle esagerazioni, specialmente quando la laicità viene posta al di sopra delle religioni. Quindi le religioni non farebbero parte della cultura? Sarebbero delle sottoculture?

«Scegliere il cammino della castità»

Papa Francesco: Rinunciare alla sessualità e scegliere il cammino della castità o della verginità è tutta una vita consacrata. E qual è la condizione venendo meno la quale questo cammino muore? È che il cammino conduca alla paternità o alla maternità spirituali. Uno dei mali della Chiesa sono i preti “scapoloni” e le suore “zitellone”. Perché sono pieni di amarezza. Al contrario, quelli che hanno raggiunto questa paternità spirituale – sia mediante la parrocchia, sia a scuola o in ospedale – stanno bene… Ed è la stessa cosa per le suore, perché sono “madri” […]. È una rinuncia volontaria. La verginità, che sia maschile o femminile, è una tradizione monastica che preesiste al cattolicesimo. È una ricerca umana: rinunciare per cercare Dio alle fonti, per la contemplazione. Ma una rinuncia dev’essere una rinuncia feconda, che conservi una sorta di fecondità – differente dalla fecondità carnale, dalla fecondità sessuale. Anche nella Chiesa ci sono dei preti sposati. Tutti i preti orientali sono sposati, è una cosa che esiste. Ma la rinuncia al matrimonio per il Regno di Dio è un valore in sé. Questo significa rinunciare per essere al servizio, per contemplare meglio.

«Se un prete abusa di qualcuno è un malato»

Papa Francesco: Prima, si spostava il prete, ma il problema si spostava con lui. La politica attuale è quella che Benedetto XVI e io abbiamo messo in opera attraverso la Commissione di tutela dei minori fondata due anni fa, qui in Vaticano. Tutela di tutti i minori. È per far prendere coscienza di che cosa sia questo problema. La Chiesa madre insegna come prevenire, come far parlare un bambino, fare in modo che dica la verità ai genitori, che racconti ciò che succede e via dicendo. È un cammino costruttivo. La Chiesa non deve andare in posizione difensiva. Se un prete è un abusatole, è un malato. Su quattro abusato, due sono stati abusati quando erano bambini. Sono le statistiche degli psichiatri.

«Il matrimonio è un uomo e una donna»

Papa Francesco: Che pensare del matrimonio di persone dello stesso sesso? “Matrimonio” è una parola storica. Da sempre, nell’umanità, e non solamente nella Chiesa, s’intende cosa di un uomo e una donna. Non si può cambiare questa cosa così, alla carlona… […] Non si può cambiare questo. È la natura delle cose. Le cose sono così. Allora le chiamiamo “unioni civili”. Ma non scherziamo con le verità… è vero che dietro tutto questo c’è l’ideologia del gender. Anche nei libri i bambini imparano che uno può scegliere il proprio sesso. Perché il genere, essere una donna o un uomo, sarebbe una scelta e non un fatto di natura? Ecco cosa favorisce questo errore. Ma diciamo le cose come stanno: il matrimonio è un uomo e una donna. Ecco il termine preciso. E chiamiamo “unione civile” l’unione dello stesso sesso.

«L’ideologia tradizionalista»

Papa Francesco: Come cresce la tradizione? Cresce come una persona: col dialogo, che è come l’allattamento per il bambino. Il dialogo col mondo che ci circonda. Il dialogo fa crescere. Se non si dialoga, non si può crescere: si resta racchiusi, piccoli… nani. Non posso accontentarmi di camminare coi paraocchi: io devo guardarmi intorno e dialogare. Il dialogo fa crescere, e fa crescere la tradizione. Dialogando ed ascoltando un’altra opinione posso, come nel caso della pena di morte, della tortura, dello schiavismo, cambiare il mio punto di vista. Senza cambiare la dottrina. La dottrina è cresciuta con la comprensione. Ecco la base della tradizione.

[…]

Invece, l’ideologia tradizionalista ha una fede così [mima i paraocchi con le mani]: la benedizione deve darsi così, le dita durante la messa devono stare così, “con i guanti”, “come si faceva prima”… Ciò che il Vaticano II ha fatto della liturgia è stato veramente una grandissima cosa. Perché ha aperto il culto di Dio al popolo. Adesso il popolo partecipa.

Musulmani: «Non accettano la reciprocità»

Dominique Wolton: E sul dialogo con l’Islam, non si dovrebbe chiedere un poco di reciprocità? Non c’è vera libertà, per i cristiani, in Arabia Saudita e in altri Paesi musulmani. È difficile per i cristiani. E i fondamentalisti islamisti assassinano nel nome di Dio…

Papa Francesco: Non accettano il principio di reciprocità. Alcuni Paesi del Golfo però sono aperti, ci aiutano a costruire chiese. Perché sono aperti? Perché hanno operai filippini, cattolici, degli Indiani… Il problema, in Arabia Saudita, è davvero una questione di mentalità. Con l’Islam, comunque, il dialogo procede bene, perché – non so se lo sa – ma l’imam di Al-Azhar è venuto a trovarci. E ci sarà un incontro laggiù, e ci andrò. Penso che farà loro bene, studiare criticamente il Corano, come noi abbiamo fatto con le Scritture. Il metodo storico-critico li farà evolvere.

Le sfide della Chiesa

«La Chiesa è il popolo, non i vescovi, il papa, i preti»

Papa Francesco: Ci sono i peccati di chi guida la Chiesa, che manca d’intelligenza o si lascia manipolare. Ma la Chiesa non è i vescovi, il papa e i preti. La Chiesa è il popolo. E il Vaticano II ha detto: «Il popolo di Dio, nel suo insieme, non si sbaglia». Se lei vuole conoscere la Chiesa, vada in un paesino dove si vive la vita ecclesiale. Vada in un ospedale dove ci sono tanti cristiani che vengono ad aiutare; dei laici, delle suore… Vada in Africa, dove si trovano tanti missionari. Ci bruciano la vita, laggiù! E fanno delle vere rivoluzioni. Non per convertire – era una volta che si parlava di conversioni – ma per servire.

«Ciò che mi colpisce di più, nella Chiesa, è la sua santità feconda, ordinaria»

Papa Francesco: C’è così tanta santità… È una parola che voglio utilizzare nella Chiesa oggi, ma nel senso della santità quotidiana, nelle famiglie… E questa è un’esperienza personale: quando parlo di questa santità ordinaria, che in altri contesti ho chiamato “la classe media della santità”… sa a che cosa mi fa pensare? All’Angelus di Millet. Questo è ciò che mi sale allo spirito. La semplicità di due contadini che pregano. Un popolo che prega, un popolo che pecca e poi si pente dei propri peccati. C’è una forma di santità nascosta, nella Chiesa. Ci sono degli eroi che partono in missione. Voi francesi avete fatto molto: alcuni hanno sacrificato la vita. Quello che mi colpisce di più, nella Chiesa, è la sua santità feconda, ordinaria. Questa capacità di diventare santi senza farsi notare.

«C’è il grande pericolo di fare morale solo sotto la cintura»

Papa Francesco: Ma noi cattolici, come la insegniamo la morale? Non si può insegnare con ordini tipo “Non puoi fare questo”, “devi fare quello”, “tu devi”, “tu non devi”, “tu puoi”, “tu non puoi”. La morale è una conseguenza dell’incontro con Gesù Cristo. È una conseguenza della fede, per noi cattolici. E per gli altri, la morale è una conseguenza dell’incontro con un ideale, o con Dio, o con sé stessi, ma con la migliore parte di sé. La morale è sempre una conseguenza.

Dominique Wolton: Il messaggio più radicale della Chiesa, da sempre, dal Vangelo in qua, è la condanna della follia del denaro. Perché questo messaggio non è inteso?

Papa Francesco: Non arriva mai? Ma perché alcuni preferiscono parlare di morale, nelle omelie o dalle cattedre di teologia. C’è un grande pericolo in agguato sui predicatori, che è quello di scadere nella mediocrità. Di non fustigare che nella morale – mi perdoni – sotto la cintura. Ma gli altri peccati, che sono i più gravi – l’odio, l’invidia, l’orgoglio, la vanità, uccidere il prossimo, portar via la vita… – di questi non si parla altrettanto.

«Si può dare la comunione ai divorziati?»

Papa Francesco: […] C’è quello che ho fatto io, dopo i due sinodi: Amoris Lætitia… È una cosa chiara e positiva, che alcuni dalle tendenze troppo tradizionaliste combattono dicendo che non è quella la vera dottrina. Quanto alle famiglie ferite, dico che nel capitolo VIII ci sono quattro criteri: accogliere, accompagnare, discernere le situazioni e integrare. E questo non è una norma fissa: apre una strada, un cammino di comunicazione. Mi hanno subito chiesto: «Ma si può dare la comunione ai divorziati?». Rispondo: «Parlate col divorziate, parlate con la divorziata, accogliete, accompagnate, integrate, discernete!». Ahimè, noi preti siamo abituati alle norme fisse. Alle regole di ferro. Ed è difficile, per noi, questo «accompagnare sul cammino, integrare, discernere, dire del bene». Ma la mia proposta è questa. […] Quello che accade, in realtà, è che si sente la gente dire: «Quelli non possono fare la comunione», «Quelli non possono fare questo, quello»: eccola qua, la tentazione della Chiesa. Ma no, no e ancora no! Questo tipo di divieti è ciò che si trova nel dramma di Gesù coi farisei. Lo stesso! I grandi della Chiesa sono quelli che hanno una visione che va al di là, quelli che comprendono: i missionari.

«Ormai ogni prete può assolvere dall’aborto»

Papa Francesco: Durante il Giubileo della Misericordia ho fatto estendere la facoltà di assolvere il peccato di aborto a tutti i preti. Attenzione, questo non significa banalizzare l’aborto. L’aborto è grave, è un peccato grave. È l’omicidio di un innocente. Ma se c’è il peccato bisogna facilitare il perdono. Poi, alla fine, ho deciso che questa misura sarà permanente. Ormai ogni prete può assolvere questo peccato.

Dominique Wolton: La sua posizione aperta e umanista suscita delle opposizioni nella Chiesa cattolica.

Papa Francesco: Una donna che ha una memoria fisica del bambino, perché questo è spesso il caso, e che piange, che piange da anni senza il coraggio di andare dal prete… finché ha sentito quello che ho detto… lei si rende conto del numero di persone che finalmente respirano?

«Io ho paura della rigidità»

Papa Francesco: Dietro ogni rigidità c’è un’incapacità di comunicare. E io ho sempre trovato… Prenda quei preti rigidi che hanno paura della comunicazione, prenda gli uomini politici rigidi… è una forma di fondamentalismo. Quando m’imbatto in una persona rigida, specie se è giovane, mi dico subito che è malata. Il pericolo è che cercano la sicurezza. A proposito, le racconto un aneddoto. Quando ero maestro dei novizi, nel 1972, accompagnavamo per un anno o due i candidati che volevano entrare nella Compagnia. […] Mi ricordo di uno di loro, di cui si vedeva che era un po’ rigido ma che aveva delle grandi qualità intellettuali, e che io trovavo di ottimo livello. Ce n’erano altri, molto meno brillanti, di cui mi domandavo se sarebbero passati. Pensavo che sarebbero stati rifiutati, perché avevano delle difficoltà, ma alla fine quelli sono stati ammessi perché avevano quella capacità di crescere, di riuscire. E quando il test del primo studente è arrivato, quelli hanno detto subito di no.

– Ma perché? È così intelligente, è pieno di qualità.

– Ha un problema – mi spiegarono – è un po’ costruito, un po artefatto su alcune cose, un po’ rigido.

– E perché è così?

– Perché non è sicuro di sé.

Si sente che certi uomini presentono inconsciamente che sono “psicologicamente malati”. Non lo sanno, lo sentono. E quindi vanno a cercare delle strutture forti che li difendano nella vita. Diventano poliziotti, si arruolano nell’esercito o nella Chiesa. Delle istituzioni forti per difendersi. Fanno bene il loro lavoro, ma una volta che si sentono assicurati, inconsciamente, la malattia si manifesta. E là arrivano i problemi.

E io ho chiesto: «Ma, dottoressa, come si spiega? Non capisco». E lei mi ha dato questa risposta: «Lei non si è mai chiesto perché ci sono dei poliziotti torturatori? Quei giovani, quando arrivarono, erano dei bravi ragazzi, sì, ma malati. Poi sono diventati sicuri di sé, e la malattia è venuta allo scoperto». Io ho paura della rigidità. Preferisco un giovane disordinato, con dei problemi normali, che si arrabbia… perché tutte queste contraddizioni lo aiuteranno a crescere.

Confidenze personali

«Mia madre… e le fidanzatine»

Dominique Wolton: […] Qual è il ruolo delle donne nella sua vita?

Papa Francesco: Personalmente, ringrazio Dio di aver conosciuto delle vere donne, nella mia vita. Le mie due nonne erano molto differenti, ma entrambe erano delle vere donne. Erano delle madri. Lavoravano, erano coraggiose, passavano del tempo coi loro nipoti… Ma sempre con questa dimensione della donna… […] Poi c’era mia madre. Mia madre… ho visto mia madre sofferente, dopo il suo ultimo parto – ne ha avuti cinque – quando ha contratto un’infezione che l’ha lasciata senza poter camminare per un anno. L’ho vista soffrire. E ho visto come si ingegnava per non sprecare niente. Mio padre aveva un buon lavoro, era contabile, ma il suo salario ci permetteva appena appena di arrivare alla fine del mese. E ho visto questa madre, il modo in cui affrontava i problemi uno dopo l’altro… […] Era una donna, una madre. Poi le sorelle… È importante per un uomo di avere delle sorelle, è molto importante. Poi ci sono state le amiche dell’adolescenza, le “fidanzatine”… Tessere sempre un rapporto con le donne mi ha arricchito. Ho imparato, anche in età adulta, che le donne vedono le cose in modo molto differente dagli uomini. Perché di fronte a una decisione da prendere, di fronte a un problema, è importante ascoltare entrambe le voci.

«Una donna mi ha insegnato a pensare la realtà politica. Era comunista»

Dominique Wolton: Dopo l’infanzia e l’adolescenza, ha incontrato delle donne che l’hanno segnata?

Papa Francesco: Sì. Ce n’è una che mi ha insegnato a pensare la realtà politica. Era comunista.

Dominique Wolton: È ancora viva?

Papa Francesco: No… Durante la dittatura è stata “pffff…”, uccisa. È stata catturata nel medesimo gruppo delle due suore francesi, stavano insieme. Era una chimica, capo del dipartimento in cui lavoravo, nel laboratorio bromatologia. Era una comunista del Paraguay, del partito che laggiù si chiama “Febrerista”. Mi ricordo che mi aveva fatto leggere la condanna a morte dei Rosenberg! Mi ha fatto scoprire ciò che c’era dietro quella condanna. Mi ha dato dei libri, tutti comunisti, ma mi ha insegnato a pensare la politica. Devo tanto a quella donna.

[…] Dominique Wolton: Qual era il suo nome?

Papa Francesco: Esther Balestrino De Careaga.

[…] Mi hanno detto una volta: «Ma lei è comunista!». No. I comunisti sono i cristiani. Sono gli altri che ci hanno rubato la bandiera!

«A me niente fa paura»

Dominique Wolton: Le sue origini latino-americane e la sua formazione gesuitica le danno modo di vivere le cose altrimenti?

Papa Francesco: Un esempio che mi viene in mente, ma non saprei come dirlo: sono libero. Io mi sento libero. Questo non vuol dire che faccio quel che mi pare, no. Ma non mi sento imprigionato, in gabbia. In gabbia qui, in Vaticano, sì, ma non spiritualmente. Non so se è per questo… A me niente fa paura. Sarà forse dell’incoscienza, o dell’immaturità!

Dominique Wolton: Tutte e due!

Papa Francesco: Ma sì, le cose vengono così, si fa quel che si può si prendono le cose come vengono, si evita di fare delle cose, alcune funzionano, altre no… Forse è superficialità, non lo so. Non so come chiamarla. Mi sento come un pesce nell’acqua.

«Ho consultato una psicanalista ebrea»

Papa Francesco: […] In un momento della mia vita ho avuto bisogno di andare in analisi. Ho consultato una psicanalista ebrea. Per sei mesi, sono andato da lei una volta a settimana per chiarire certe cose. È stata molto in gamba. Molto professionale come medico e come psicanalista, ma è sempre rimata al suo posto. E poi un giorno, quando era sul punto di morire, mi ha chiamato. Non per i sacramenti – era ebrea – ma per un dialogo spirituale. Un’ottima persona. Per sei mesi mi ha molto aiutato. Avevo già 42 anni, all’epoca.

[Traduzione da LeFigaro.fr a cura di Giovanni Marcotullio]

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