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Colosseo islamico? Se dobbiamo litigarci quelle benedette rovine…

Pope Francis celebrates ‘Via Crucis’ procession at Colosseum in Rome

© Giuseppe Ciccia / NurPhoto / AFP

Giovanni Marcotullio - Aleteia Italia - pubblicato il 29/08/17

Pare che non si terrà più all'Anfiteatro Flavio, la manifestazione musulmana che voleva pregare in pubblico per condannare gli islamisti. Forse è meglio così, ma desta doloroso stupore la “nostra” incapacità di analisi

Colosseo pagano, Colosseo cristiano, Colosseo islamico… peccato che nessuno sembri ricordarsi di quando si diceva che l’Anfiteatro Flavio fosse (ovvero sia stato, in tratti della sua lunga storia) tempio satanico: sarebbe l’unico culto “del circuito” ancora escluso.

A lanciare l’allarme contro l’islamizzazione del più celebre rudere del mondo è un quotidiano italiano, noto ai più per i toni pittoreschi di certi suoi titolisti:

L’appuntamento è il primo settembre. Quel giorno i musulmani invaderanno il Colosseo per trasformare la zona in una moschea a cielo aperto.

In realtà è stato Il Tempo la prima testata a diramare la nota dell’associazione che promuove l’evento, con tanta meno enfasi da ricordare al lettore che una cosa simile accadde già nello scorso ottobre. Né sembra che alla fine accadrà, o almeno non al Colosseo: la Questura di Roma ha infatti negato l’autorizzazione e vietato la manifestazione. Questa si terrà pertanto in Largo Preneste, sempre il 1mo settembre, alle 7 del mattino. Certo non un orario azzeccato per attirare l’attenzione e far versare un po’ d’inchiostro, per quanto il comunicato dell’associazione Dhuumcatu richiami calorosamente i media:

Invitiamo la stampa a seguire questo evento carico di contenuti, incentrato sulla pace e la giustizia, e per il quale era stata chiesta la location nei pressi del Colosseo, che ci è stata negata, e per il cui diniego stiamo valutando il ricorso al TAR.

Il diniego è stato motivato per motivi di ordine pubblico, essendo il luogo obiettivo sensibile del terrorismo internazionale: sembra difficile, in tali circostanze, che il Tar possa accogliere il ricorso – e con un così esiguo margine di tempo.

L’associazione Dhuumcatu anticipa che

con l’occasione ci pronunceremo sulle tematiche per le quali ci viene frequentemente chiesto di prendere posizione, come il recente attentato a Barcellona, e su tematiche di solito snobbate, come l’islamofobia, la persecuzione dei musulmani nella Birmania del Premio Nobel Aung San Su Key, e le limitazioni al Culto Islamico nella città di Gerusalemme ad opera dello stato di Israele.

Dunque un piatto ricco, interessante e delicato per più di un verso. Si potrebbe ingenuamente obiettare che non sembrano sussistere le condizioni per un attacco islamista, ma le triste razzie dell’Isis (specie in Iraq e in Siria) ci hanno già mostrato con perfino eccessiva dovizia di dettagli che per certi invasati si ravvisano “infedeli” anche tra i correligionari…

Dunque da una parte la pittoresca testata e i suoi affezionati lettori possono tirare un sospiro di sollievo: salvo eventi non probabili, il Colosseo non diventerà “moschea a cielo aperto”. Dall’altra parte vale comunque la pena di riflettere: e sul senso religioso della proposta di Dhuumcatu; e su quanto nella storia viene da loro rievocato.

Qualcuno difatti ironizzava, particolarmente sui social, sull’apologia che altri facevano, stracciandosi le vesti in quanto il Colosseo sarebbe “luogo cristiano”. E giù i primi a sfoggiare le reminiscenze del sussidiario snocciolando che «in realtà fu costruito da pagani». È vero, l’ignoranza di certi anticlericali è tale e tanto tronfia che ispira quasi più simpatia che compassione: essi difatti ignorano che il Colosseo (oggi ancora parzialmente godibile per i numerosi restauri operati dai Romani Pontefici nei secoli…) è non solo un luogo cristiano, ma più propriamente una chiesa.

Tale la rese, dopo debito esorcismo, quel Benedetto XIV noto al secolo col nome di Prospero Lambertini; ovvero quel Papa che François-Marie Arouet, noto al secolo col nome di Voltaire, ossequiava con una devozione che non trova posto nei sussidiari di cui sopra. Un giorno sarebbe bello narrare questa storia, che però oggi ci porterebbe lontano. Sta di fatto che “l’uomo più colto d’Europa” (così Voltaire definiva abitualmente Papa Lambertini) ebbe prima l’idea di allestire stabilmente una Via Crucis nel Colosseo e poi, precisamente un lustro più tardi, di dichiararlo chiesa consacrata a Cristo e ai suoi testimoni.

Non una devozione da beghine (e che siano sempre lodate le beghine!), quella di Benedetto XIV, ma una profonda riverenza all’intelligente opera del predecessore Clemente X, il quale nel corso del Giubileo del 1675 aveva fatto installare una grande croce al centro del Colosseo, corredata di due epigrafi (tuttora visibili) che invitavano i pellegrini a scaldarsi il cuore con la memoria dei martiri e della loro fortezza.

Del resto, neppure quella di Clemente X era una fantasia personale: già nella benedetta Roma di un secolo prima, che aveva ospitato insieme Ignazio di Loyola, Camillo de Lellis, Filippo Neri e, appena più tardi, Cesare Baronio e molti altri, un nuovo fervore riaccendeva di passione i cristiani per i luoghi di martirio e per le catacombe. Era la primavera archeologica che germogliava felicemente dalle riscoperte “lettere cristiane”: erano gli avi di Ludovico Antonio Muratori e di tanti altri che, giorno dopo giorno, avrebbero strappato Roma all’incuria e all’oblio.

L’antica chiesetta detta “di Santa Maria della Pietà”, del resto, non l’aveva certo costruita san Filippo coi suoi ragazzi: era lì da mille anni, all’epoca, o poco meno.

Poi però uno va sui social e si sente spiegare da un Pinco Pallo come ormai tutti sappiano che «al Colosseo non furono martirizzati mai i cristiani». Ohibò, e come fanno a saperlo, tutti quanti? Codesto non si sa, né si può sapere, ma non per questo lo si può contestare: vedo che Wikipedia cita a sostegno il “IV volume” della Guida rapida d’Italia, a cura del Touring Club Italiano. E allora sì: che vogliamo che ne sapessero Muratori, Baronio, Lambertini, Altieri e gli altri…

La digressione è stata sferzante (spero – per il candido lettore – non noiosa), ma penso opportuna: in un contesto dimentico di tutto questo, in cui il Colosseo significa i selfie e la metro, come potremo mai comprendere la proposta dell’associazione islamica? A voler essere generosissimi con lo spessore dell’opinione pubblica, potremmo dividere quest’ultima nei partigiani della “via crucis del Papa”, da un lato, e nei nostalgici della “gloriosa romanità pagana” dall’altro. In mezzo uno sparuto drappello di figli dei fiori (fuori dal vaso), che si stracciano le vesti per il tanto sangue sparso lì dentro… senza che sappiano bene come, dove, perché… Ma a parte questo, la ricezione strumentale e bassamente polemica della proposta di Dhuumcatu deve far riflettere: sulla nostra pochezza.

Fermi tutti, non ho detto che bisogna accoglierla supinamente – figuriamoci: io ancora piango la profanazione di Santa Sofia… – dico che è drammatica la nostra incapacità di analisi. Su che basi potremo sperare di impostare una qualsivoglia reazione (di dialogo fruttuoso, si spera)?

Perché in realtà il Sacrificio di Abramo è uno dei pochi punti di contatto tra le religioni che – più o meno a ragione – vengono dette abramitiche: non avremmo Kierkegaard, senza quelle pagine della Genesi, né la patristica avrebbe prodotto moltissimi testi cristologici, senza la terribile ascensione sul monte Moria.

È un’esperienza radicale e archetipica della fede in quanto tale, la “festa del sacrificio”, in cui facilissimamente i cristiani scorgono le tracce del vero Isacco, che porta il legno sul monte e sul legno si rivela per “l’agnello di Dio”, cioè per quell’agnello che – Abramo lo promise al figlio – «Dio stesso avrebbe provveduto» (Gen 22, 8).

Forse perché legata al culto patriarcale – e non a caso l’islamismo prescrive il pellegrinaggio rituale per quel giorno – questa festa ci riporta tutti, indistintamente, allo stato di «pellegrini e stranieri» (non lo scrisse un Papa comunista: è san Pietro nella Bibbia – 1Pt 2, 11), e forse serba nella propria magia una verità universale. A questa verità universale i cristiani dovrebbero essere ansiosi di appoggiare la loro parola, che porta una verità particolare – perché non sbagliò la teologia idealista a definire Cristo “l’universale concreto” – quella sola che,

proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione.

Gaudium et Spes 22, CCC 1701

Specialmente in un luogo dove in tanti e tante manifestarono gloriosamente quel Dio «che dona agli inermi la forza del martirio», il cristiano poteva prendere per mano il musulmano e il pagano, e accompagnarli entrambi in quella pace che, oltre ogni contesa, realmente desiderano. Questo sarebbe il contributo che dei cristiani potrebbero dare alla società dei nostri giorni, e sarebbe un contributo al contempo d’identità e di dialogo. Che ci si incarti nelle beghe di chi non conosce il cristianesimo più di quanto conosca l’islamismo è invece una delle ragioni per cui davvero una festa così importante e densa diventa un rischio troppo forte a cui esporre la Città che fu eterna e che ora appare vecchia. Per carità, a queste condizioni fa bene la Questura a vietare la manifestazione. Però forse tutti perdiamo qualcosa.

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