Il pontefice scrive la prefazione di un libro di un ex sacerdote vittima di abusi “Testimonianze come la sua … fanno luce su una terribile oscurità della Chiesa … Una testimonianza, necessaria, preziosa e coraggiosa … Chiedo perdono per i preti pedofili: un segno del diavolo, saremo severissimi”: sono riflessioni di Papa Francesco contenute nella Prefazione scritta per il libro, in libreria da giovedì prossimo, dell’ex monaco svizzero, Daniel Pittet, oggi 57 anni, nel quale racconta una sua esperienza dolorosa mantenuta segreta per molti anni. Nel libro Mon Père, je vous pardonne (“Padre mio, la perdono”), Edizioni Philippe Rey, Pittet racconta di essere stato vittima di ripetuti stupri, decine e decine, da parte di un frate cappuccino svizzero, p. Joel Allaz.
L’autore del libro, e vittima di questa vicenda, dice di aver aspettato 20 anni prima di comunicare alle autorità ecclesiastiche quanto aveva subito e sofferto e di averlo fatto solo dopo essere venuto a conoscenza di atti simili ad un’altra vittima del cappuccino. Daniel Pittet, vittima riconosciuta e risarcita dalla diocesi di Friburgo e dall’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, racconta le diverse fasi del processo aperto nel 2002 presso il tribunale ecclesiastico di Grenoble (Francia) dove Allaz fu trasferito, ma chiuso un anno dopo “per mancanza di prove.” Intanto il cappuccino, sul quale crescevano i sospetti sulle sue condotte, veniva spostato da una diocesi all’altra. Solo nel 2008 sono state aperte nuove indagini a seguito di altre denunce di 24 vittime ma i reati, commessi tra il 1958 e il 1995, erano caduti in prescrizione sia in Svizzera che in Francia. Alla fine, nel dicembre 2011, Joel Allaz si salverà dalla galera con una sospensione condizionale della pena (due anni). Allaz “non è mai stato ridotto allo stato laicale”, assicura Daniel Pittet, e aggiunge: oggi lui ha 76 anni e vive ancora in comunità, in Svizzera.
Daniel Pittet, oggi, a Friburgo lavora come bibliotecario e si occupa dell’Associazione, da lui fondata, “Pregare e Testimoniare”. Due anni fa l’ ex sacerdote Daniel Pittet, poi sposato e padre di sei figli, ha incontrato il Pontefice in Vaticano e gli ha raccontato la sua storia.
Testo della Prefazione del Papa
Per chi è stato vittima di un pedofilo è difficile raccontare quello che ha subito, descrivere i traumi che ancora persistono a distanza di anni. Per questo motivo la testimonianza di Daniel Pittet è necessaria, preziosa e coraggiosa. Ho conosciuto Daniel in Vaticano nel 2015, in occasione dell’ Anno della vita consacrata. Voleva diffondere su larga scala un libro intitolato “Amare è dare tutto”, che raccoglieva le testimonianze di religiosi e religiose, di preti e di consacrati. Non potevo immaginare che quest’ uomo entusiasta e appassionato di Cristo fosse stato vittima di abusi da parte di un prete. Eppure questo è ciò che mi ha raccontato, e la sua sofferenza mi ha molto colpito. Ho visto ancora una volta i danni spaventosi causati dagli abusi sessuali e il lungo e doloroso cammino che attende le vittime. Sono felice che altri possano leggere oggi la sua testimonianza e scoprire a che punto il male può entrare nel cuore di un servitore della Chiesa. Come può un prete, al servizio di Cristo e della sua Chiesa, arrivare a causare tanto male? Come può aver consacrato la sua vita per condurre i bambini a Dio, e finire invece per divorarli in quello che ho chiamato «un sacrificio diabolico», che distrugge sia la vittima sia la vita della Chiesa? Alcune vittime sono arrivate fino al suicidio. Questi morti pesano sul mio cuore, sulla mia coscienza e su quella di tutta la Chiesa. Alle loro famiglie porgo i miei sentimenti di amore e di dolore e, umilmente, chiedo perdono. Si tratta di una mostruosità assoluta, di un orrendo peccato, radicalmente contrario a tutto ciò che Cristo ci insegna. Gesù usa parole molto severe contro tutti quelli che fanno del male ai bambini: «Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare» (Matteo 18, 6). La nostra Chiesa, come ho ricordato nella lettera apostolica “Come una madre amorevole” del 4 giugno 2016, deve prendersi cura e proteggere con affetto particolare i più deboli e gli indifesi. Abbiamo dichiarato che è nostro dovere far prova di severità estrema con i sacerdoti che tradiscono la loro missione, e con la loro gerarchia, vescovi o cardinali, che li proteggesse, come già è successo in passato. Nella disgrazia, Daniel Pittet ha potuto incontrare anche un’ altra faccia della Chiesa, e questo gli ha permesso di non perdere la speranza negli uomini e in Dio. Ci racconta anche della forza della preghiera che non ha mai abbandonato, e che lo ha confortato nelle ore più cupe. Ha scelto di incontrare il suo aguzzino quarantaquattro anni dopo, e di guardare negli occhi l’ uomo che l’ ha ferito nel profondo dell’ animo. E gli ha teso la mano. Il bambino ferito è oggi un uomo in piedi, fragile ma in piedi. Sono molto colpito dalle sue parole: «Molte persone non riescono a capire che io non lo odii. L’ ho perdonato e ho costruito la mia vita su quel perdono». Ringrazio Daniel perché le testimonianze come la sua abbattono il muro di silenzio che soffocava gli scandali e le sofferenze, fanno luce su una terribile zona d’ ombra nella vita della Chiesa. Aprono la strada a una giusta riparazione e alla grazia della riconciliazione, e aiutano anche i pedofili a prendere coscienza delle terribili conseguenze delle loro azioni. Prego per Daniel e per tutti coloro che, come lui, sono stati feriti nella loro innocenza, perché Dio li risollevi e li guarisca, e dia a noi tutti il suo perdono e la sua misericordia.