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Il culto del glorioso Alberto che, da morto, parlava attraverso la voce della zia

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Il glorioso Alberto che mori' a 21 anni in un incidente. Da allora è stato oggetto di uno strano culto popolare.

Gelsomino Del Guercio - Aleteia Italia - pubblicato il 05/08/17

A 21 anni viene investito mortalmente in un incidente stradale. Da allora una presunta trance di una sua parente ha avviato una strana devozione popolare

Un culto, basato sulla magia e sulla superstizione, che ha fatto riversare a Serradarce (Salerno) – fino agli anni ’80 – migliaia e migliaia di persone. Un culto che appassiona antropologi, sociologi, studiosi, giornalisti e che però non è stato mai riconosciuto dalla Chiesa cattolica. Ancora oggi – a circa 60 anni dalla morte di Alberto Gonnella – fedeli e nostalgici di quel periodo si incontrano per pregare un santo che la Chiesa cattolica non ha mai (né intende) canonizzare (

).

LO SVENIMENTO DELLA ZIA

La storia di questo culto prende le mosse da una semplice tragedia: la morte, avvenuta nel 1956, del 21enne Alberto, rimasto incastrato sotto il piano ribaltabile di un camion di suo zio a causa di una manovra maldestra di quest’ultimo. La tragedia sembrava sul punto di trasformarsi in una faida familiare quando, la mattina prima del funerale, Giuseppina Gonnella, una zia di Alberto, si era sentita male ed era svenuta mentre era in visita a casa del nipote.

POSSESSIONI CONTINUE

Al suo risveglio, dopo un sonno durato 24 ore, la donna aveva cominciato a parlare a nome del nipote morto e a pronunciare profezie. All’inizio si pensava fosse impazzita ma poi, dopo aver riferito dettagli del funerale di Alberto che non poteva conoscere non avendovi partecipato e dopo aver dato indicazioni per ritrovare il basco che il giovane aveva dimenticato sotto il sedile del camion, gli abitanti di Serradarce avevano cominciato a credere che fosse davvero posseduta.

Mentre gli episodi di “possessione” continuavano a verificarsi con sempre più regolarità, la voce della presunta santità di “Zia Peppina” si era diffusa e le parrocchie della zona avevano cominciato a organizzare pellegrinaggi in sua compagnia (www.vice.com, 5 maggio 2016) .

ALLE 8.34 DEL MATTINO

Quando la Chiesa aveva cercato di arginare e censurare il fenomeno, Giuseppina Gonnella aveva reagito organizzando un vero e proprio culto autonomo. Gli eventi di “possessione” avevano assunto cadenza regolare, avvenendo tutti i giorni—tranne la domenica e i festivi—alle 8.34, l’ora dell’incidente che aveva portato alla morte di Alberto.

LA TRANCE

Anche le forme esteriori del culto erano state codificate: ogni mattina alle otto “Zia Peppina” arrivava a casa di Alberto in auto, accompagnata dal fratello, e si faceva strada tra i pellegrini che già dall’alba o dalla notte prima affollavano le scale e l’androne dell’abitazione. Poi si sedeva su uno sgabello al secondo piano e, con gli occhi chiusi e nel silenzio generale, iniziava a iperventilare, gemere e ruttare finché non apriva gli occhi e saliva in piedi sullo sgabello, tra le urla, gli applausi e le invocazioni dei presenti.




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DOPPIA PERSONALITA’

Nel momento della trance, la donna manifestava una diversa personalità, presentandosi in prima persona come Alberto e parlando, con voce alterata, uno strano idioma che poteva apparire perfetto italiano, laddove la donna, analfabeta totale, avrebbe dovuto esprimersi solo in un incomprensibile dialetto: attraverso la voce della medium, l’anima del giovane rievocava i dettagli raccapriccianti della morte occorsagli (da lui definita sbrigativamente “martirio”) e rivelava agli astanti il prodigio del suo corpo, che sarebbe rimasto incorrotto dopo la morte (un fenomeno presunto, e mai verificato).




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LE DUE SEZIONI DEL PURGATORIO

Si lamentava, poi, di non aver trovato “ancora un posto a sedere nel reparto dei santi in Paradiso”. Svelava poi l’esistenza di un struttura “bipartita” nel Purgatorio: una sezione “leggera”, dotata di un sistema di “fuoco autonomo“, per penitenze inferiori ai cento anni, e una “pesante”, con un fuoco fornito direttamente dalle fiamme dell’Inferno, destinata a punizioni di durata superiore.

PERCORSO DI SALVEZZA

Prometteva, infine, un percorso di salvezza a chi era afflitto dal male e dal dolore, e si proclamava capace di “guarire” le persone colpite da malocchio, fatture e maledizioni e di alleviare la sofferenza delle anime penitenti del Purgatorio. Quest’ultima promessa veniva accompagnata dalla richiesta di un’offerta di cento lire (la richiesta era sottolineata dal gesto del braccio sollevato che esibiva una moneta da 100 lire tenuta tra le dita: in realtà, le offerte ammontavano a ben più della somma suggerita dalla medium.

Infine, Giuseppina benediceva la folla e si ritirava in una stanza, la “Camera del Segreto”, dove riceveva altri fedeli in udienza privata.

PROBLEMI PSICHIATRICI

Secondo quanto riportato da Michele Risso in Miseria, magia e psicoterapia: una comunità magico-religiosa nell’Italia del sud, nei primi anni Cinquanta Giuseppina Gonnella aveva sofferto di diversi disturbi di probabile origine psichiatrica. Stando alla testimonianza del parroco di Serradarce, già nel 1949 era stata vittima di un episodio di possessione diabolica ed era stata sottoposta a un esorcismo; inoltre sembra che i suoi compaesani la considerassero una strega.

IL TEMPIO E L’INNO

In quel periodo, il culto portava a Serradarce circa 500 pellegrini al giorno, che diventavano 10mila il 26 ottobre, anniversario del “martirio” di Alberto. Secondo alcune stime il totale era di circa 200mila pellegrini all’anno, ciascuno dei quali versava almeno 1000 lire; il giro d’affari stimato era di circa mezzo milione di lire al giorno. Venne costruita anche una chiesa per Alberto: “Il tempio del glorioso Alberto”.




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A tutto questo andava a sommarsi una vera e propria economia del sacro, di cui la famiglia Gonnella aveva ovviamente il monopolio. Fuori dal tempio si vendevano souvenir, santini e icone con l’immagine di Alberto, oltre a rimedi medici consigliati da “Zia Peppina,” registrazioni delle prediche e persino un 45 giri in vinile contenente un “Inno a Sant’Alberto” inciso dal popolare cantante neomelodico Aurelio Fierro.

L’OMICIDIO DI GIUSEPPINA

La svolta avvenne la mattina dell’11 gennaio 1972, come racconta La Stampa (15 gennaio 1972), quando durante la solita cerimonia di possessione, un uomo nascosto tra i fedeli aveva sparato un colpo di lupara verso Giuseppina Gonnella, ferendola mortalmente all’addome. Dopo aver rischiato il linciaggio ed essere stato salvato dai carabinieri, l’assassino era stato identificato in Francesco Manganello, un camionista del luogo.

“ERA UNA TRUFFATRICE”

Il settimanale Oggi aveva riportato le sue prime dichiarazioni fatte ai carabinieri dopo il delitto: “[Giuseppina Gonnella] accumulava denaro truffando il prossimo. Io faccio il camionista, trascorro intere notti al volante di un autocarro eppure quasi muoio di fame. Lei invece si arricchiva senza lavorare fingendo di essere la sacerdotessa di un santo inesistente“.




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