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I partecipanti all’Ironman, maratoneti o monaci?

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Credere - pubblicato il 02/08/17

L'importante è azzeccare la gara giusta, prima del traguardo definitivo

di Emanuele Fant

Ironman vuol dire “uomo di ferro”. È il nome di una disciplina sportiva di cui si sente sempre più spesso parlare. È la competizione più dura al mondo: 3,8 km di nuoto nel mare, poi 180 km in bicicletta, infine, 42 km di corsa. Il tutto da portare a termine in meno di 17 ore.

Se devo dire la verità, io ho detto addio al nuoto al largo da quando ho visto il film Lo squalo (appena supero la boa, visualizzo l’inquadratura del mio corpo da sotto, scrutato da creature sottomarine digiune); non vado a lungo in bicicletta per non alimentare la strage estiva dei moscerini negli occhi; mi rifiuto di fare jogging perché ho letto su una rivista medica che gli atterraggi del piede in corsa producono irreparabili microtraumi cerebrali.




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Ciò premesso, la virile ostinazione degli iscritti a queste gare mi incuriosisce. Ho chiesto a un amico che le frequenta, il motivo per il quale, dopo il lavoro, indossa la cuffia e gli occhialini, o spinge sui pedali, o corre pure se non ha una coincidenza che lo aspetta in stazione. Mi ha risposto che lo fa per spostare avanti l’asticella dei suoi limiti.

È strano quando un altro essere umano prova a comunicarci una passione che non condividiamo. Lui si accende di entusiasmo, brilla come se non vedesse l’ora di ricominciare. Noi, nel nostro intimo, cerchiamo le ragioni per declassare il suo interesse a fissazione.

D’un tratto, una illuminazione me lo ha fatto sentire più vicino: quella tensione atletica tradiva una parentela con l’attitudine degli uomini che ho conosciuto nei monasteri. Persone che per scelta si alzano quando vorrebbero dormire, tonificano già prima dell’alba l’apparato locomotorio interiore, lottano con la distrazione durante le veglie, compromettono il menisco sull’inginocchiatoio, si allenano a tacere se non servono parole.

Anche l’aumento di iscrizioni alle bizzarre competizioni degli aspiranti “uomini di ferro”, confermano che siamo fatti per una gara estrema. L’importante è, prima del traguardo, puntare tutto su quella vera.




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