Un racconto intimo. Il libro “Grâce à toi, du secret au pardon” [“Grazie a te. Dal segreto al perdono”, N.d.T.] racconta la prova di una coppia quando il passato nascosto di uno salta fuori. Lorène d’Elissagaray s’è appoggiata alla propria fede per attraversare questa prova. L’abbiamo incontrata per Aleteia For Her, e torna con noi su quest’avventura coniugale che ha cambiato le loro vite.
Questa storia di coppia potrebbe essere la nostra, potrebbe essere la vostra. È la storia di un segreto pesante rivelato tardi. Ma soprattutto è una bella e grande avventura umana: quella del perdono offerto e ricevuto. Testimonianza scritta a quattro mani da Lorène e Jaean Renaud d’Elissagaray, “Grâce à toi, du secret au pardon”, è stato stampato dalle edizioni Salvator nel 2016 e racconta come, nove anni dopo il loro incontro, il passato di Jean-Renaud sia tornato a galla con la rivelazione del suo figlio cileno. A sbrindellare la coppia non è stata tanto l’esistenza di questo ragazzino, concepito prima del loro matrimonio, bensì il veleno del segreto. Lorène s’è appoggiata sulla sua fede per attraversare questa prova. Eccola che torna con noi su questo sentiero del perdono.
Dopo sei anni di matrimonio, ha sperimentato il bisogno di consultare un’accompagnatrice spirituale. Perché?
Senza cause scatenanti, sono diventata estremamente gelosa. Un dubbio si è installato in me, insidiosamente. Ho allora pensato che mio marito mi nascondesse qualcosa. Più ero sospettosa, più Jean-Renaud si snervava. Allora mi sono detta che forse era il mio sguardo su di lui a non essere giusto, che magari dovessi modificare quello invece di prendermela con lui. Allora ho fatto un cammino con un’accompagnatrice spirituale benevola, psicologa di formazione. Era importante che fosse tale, perché potesse fare la sua parte nella mia rilettura della mia vita (la mia storia, le mie reazioni, le mie scelte importanti, i miei limiti, i miei fallimenti…) tra ciò che afferiva all’ambito spirituale e quanto andava trattato sotto l’aspetto di una spiegazione psicologica. Con lei ho capito tante cose, soprattutto riguardo ad avvenimenti che risalivano alla mia infanzia e che mi avevano resa fragile.
Che cosa le ha dato il ritiro nel foyer de charité La Flatière sul tema “rileggere la propria vita attraverso la fede”?
Quella settimana ha approfondito il lavoro avviato con la psicologa, e mi ha introdotta nelle preghiera davanti al Santissimo Sacramento. Molte cose si erano così pacificate, in me, ma restava questo nodo di fondo – e anche delle reazioni inappropriate. Così tanto che sono tornata a trovare la psicologa, che allora mi ha detto: «Ad ogni modo, tu non mollerai finché non sarai arrivata in fondo al tuo cammino di verità». A quella frase, qualcosa scattò. L’accompagnatrice mi conferiva che il cuore del problema non era stato scoperto, che le reazioni appropriate continuavano, che l’appagamento non era totale, e mi ha quindi incoraggiata a continuare il mio cammino di verità. Un anno dopo, ho coinvolto Renaud in un weekend sulla comunicazione in coppia, organizzato da amici con – tra gli altri – Nadine Grandjean, consulente di coppia e di famiglia dalla fede cristiana. Il weekend si suddivideva in insegnamenti e domande da farsi in coppia. La domenica, durante un esercizio a due, bisognava domandarsi se ci fossero tra di noi delle zone d’ombra o dei non-detti, non mi ricordo l’espressione esatta. Davanti a questa domanda secca, Jean Renaud non poteva più tergiversare. Mi ha buttato là che c’era qualcosa che non mi aveva mai detto, né a me né ad altri, e che da troppo tempo portava quella croce. Quel primo passo mi ha commossa – sapevo che questo passo era difficile per lui – ma anche molto sollevata: non ero scema, qualcosa c’era! Pensai a una sofferenza d’infanzia, ma non ho osato avanzare l’ipotesi. In seguito al mio rilancio, un mese dopo mi ha proposto di vederci alla Basilica di Montmartre, davanti al Santissimo. Voleva iscrivere questa relazione nel quadro della nostra fede e del sacramento del nostro matrimonio – prendeva Dio e chiamava Gesù a testimonianza. Prima di confidarsi, ha voluto che pregassimo insieme… Ma poi non si è confidato. Non fu che una settimana più tardi, dopo aver ricevuto un “vivo richiamo all’ordine”, disse – in sostanza una mail di suo figlio che gli chiedeva di poterlo incontrare – che si è deciso a dirmi tutto.