Il dolore innocente e la sua potenza inerme
Prima stazione
Gesù viene condannato a morte
Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta. Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba. Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: «Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.
Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua». Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò: «Chi dei due volete che vi rilasci?». Quelli risposero: «Barabba!». Disse loro Pilato: «Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?». Tutti gli risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli aggiunse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora urlarono: «Sia crocifisso!».
Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell’acqua, si lavò le mani davanti alla folla: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli». Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.
Mt 27, 15-26
12 aprile: il giudice Francis dell’Alta Corte di Londra stabilisce che i medici possono staccare la ventilazione a Charlie e lasciarlo morire. La decisione, spiega il magistrato, è stata presa «con la più profonda tristezza nel cuore», ma nella “piena convinzione” che fosse nel migliore interesse del piccolo.
In Italia qualcuno parla di accanimento terapeutico, ma non è questo il caso: a Charlie vengono garantiti solo ventilazione, alimentazione e idratazione, che sono trattamenti efficaci, non rischiosi, non gravosi per il paziente e non eccezionali. Ma nella cultura anglosassone non esiste l’accanimento terapeutico, c’è solo la distinzione tra trattamento utile o futile. Quindi, se non ci sono speranze di miglioramento, è inutile. Il “best interest” di un paziente nasconde il best interest della sanità pubblica, finalizzata alla massima efficienza con la minima spesa. Non si tratta di morale, ma di denaro.
I genitori fanno ricorso alla corte europea dei diritti umani, denunciando le decisioni dei tribunali britannici «come un’interferenza iniqua e sproporzionata nei loro diritti genitoriali».
19 giugno: la CEDU impone la sospensione della sentenza inglese per tre settimane. Sale dal mondo un coro di preghiere, Connie e Chris postano foto di Charlie col passaporto in mano, ma la corte britannica fa pressioni e commenta: «Ci sentiremmo in serissima difficoltà se ci fosse chiesto di agire ancora contro i migliori interessi di Charlie ordinando una perfino più lunga estensione del rinvio».
27 giugno: la CEDU rigetta il ricorso per via «[…] del considerevole margine di manovra che gli Stati hanno nella sfera dell’accesso alle cure sperimentali per malati terminali e nei casi che sollevano delicate questioni morali ed etiche».
Le parole del protocollo di Gröningen sull’eutanasia per i neonati gravemente malati riecheggiano nell’aria con sinistre eco: «Quando i genitori ed i medici sono convinti che ci sia una prognosi estremamente negativa, questi possono essere in accordo sul fatto che la morte è più umana della continuazione della vita».
Per Charlie la morte è più umana della vita. Anche se medici e genitori non sono d’accordo.
(Lucia Scozzoli, redattrice per La Croce quotidiano)
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Seconda stazione
Gesù è caricato della croce
I capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio» …
Allora [Pilato] lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota.Gv, 19,6-7,16-17
Quando gli eletti di Dio sono chiamati a offrire la propria vita con il martirio del sangue, sin dall’inizio è chiaro chi è che prende la Croce. II Stazione della via Crucis del piccolo Charlie: Gesù è caricato della Croce. Dunque eri tu Gesù, e non Charlie? Come sarebbe questa cosa? Ma è stato Charlie a soffrire no? Hanno umiliato lui nel suo essere persona unica e irripetibile; sederanno e soffocheranno lui per cancellare dalla terra, pietosamente, addirittura per il suo bene ci dicono, il mistero della sofferenza. Ma Gesù in quell’ospedale non l’ha visto nessuno. Non un lancio d’agenzia, non una foto, non una notizia; e sì che Lui, il Figlio di Dio, se si fosse affacciato da quelle parti avrebbe strappato sicuro sicuro una notizia in prima pagina, una roboante apertura del Tiggì. E invece no, non ti ha visto nessuno caricare la Croce di Charlie.
Ma perché, quando sei apparso di persona duemila anni fa qualcuno ti ha riconosciuto? Solo i piccoli, i poveri, gli ultimi, i Charlie di Galilea han saputo riconoscere in te l’amore di Dio fatto carne. I grandi, i sapienti e gli intelligenti secondo la carne, quelli cioè che avevano ridotto la religione a orgoglio di razza e strumento di potere, insieme a quelli che la religione se l’erano cucita addosso facendosi chiamare dio, senza smettere di adorare idoli vani, loro no che non ti hanno reputato degno di attenzione se non per un certo fastidio generato dalle tue parole e dai tuoi gesti. E ti hanno caricato una croce addosso, perché è così che si fa con chi osa mettere in discussione la sapienza mondana. Perché così si doveva fare con Charlie, piccola pietruzza che, con la sua malattia abbracciata con tutto l’amore del mondo dal suo papà e dalla sua mamma, stava rotolando da troppo tempo incontro alle tante statue inanimate dei troppi Nabucodonosor autoproclamatisi signori incontrastati della vita e della morte dell’umanità.
Accidenti se quella pietruzza incandescente d’amore è pericolosa, tanto quanto il Rabbì di Nazaret con le sue parole inopportune e così politicamente e religiosamente scorrette. Dunque c’eri e ci sei Signore accanto a Charlie, in Charlie, e ben prima di caricare la sua croce, la tua… C’eri e ci sei perché il Padre ti aveva inviato in missione in quelle carni fragili e limpide come cristallo; «Dio, infatti, ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono». Ovvio che i sapienti tronfi di superbia luciferina, i forti dai piedi d’argilla, coloro che si illudono di essere perché gonfi di vanità non ci stessero ad essere confusi e ridotti alla realtà tragica del loro nulla. Ovvia quindi la Croce, di nuovo caricata sulle stesse spalle preparate dall’eternità e fatte carne in un bimbo inerme e indifeso.
Come Isacco caricato della legna, anche Charlie è stato eletto da sempre con i suoi genitori ad essere segno autentico e credibile che sul Monte il Signore provvede misteriosamente l’Agnello che salva e redime. Perché «questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore. Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano la distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e alla liberazione dell’umanità. Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza. Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini» (Benedetto XVI).
No, non è un caso, un ghigno tragico del destino la malattia di Charlie, come non lo è nessuna delle debolezze che rimpiccioliscono nel bisogno ogni uomo. Certo, come ogni malattia è un frammento della ferita che il peccato ha inferto alla creazione, perché Dio non ha creato la morte, entrata nel mondo a causa dell’invidia di satana. Ma proprio come accadde a Cristo, fatto malattia e persino peccato per annichilire l’una e l’altro nella sua morte e farne il grembo misterioso della sua resurrezione, anche per Charlie quella malattia non è per la morte, ma per la vita, il tabernacolo dove compiersi lo stesso Mistero Pasquale del Signore. Quella malattia, ha ferito la sua carne perché, dischiusa, potesse accogliere quella del Signore. E Charlie è diventato carne della carne di Gesù in quella malattia rarissima che, azzannando ogni centimetro della sua vita come il flagello avventatosi su quella del Signore, la preparava e plasmava per accogliere la Croce che, sola, redime il mondo. È scandaloso, è terribile e ineffabile allo stesso tempo, ma non v’era sulla terra altra carne dove la Croce del Signore potesse adagiarsi senza correre il rischio di scivolare via e rendere vano il sacrificio.
No, non è una bestemmia, ma, come scriveva Péguy, se Charlie, e i mille e mille Charlie sconosciuti al mondo ma non a Dio, sono stati eletti «è precisamente perché non hanno agli angoli delle labbra quella piega d’ingratitudine e d’amarezza, questa ferita dell’invecchiare, questa piega d’avvertimento, questa piega di memoria che vediamo a tutte le labbra». Charlie innocente nell’Innocente, invisibile Agnello che carica la Croce che schiaccia il mondo dei sapienti, dei potenti, degli illuminati dalla malizia del mentitore sin da principio. Non poteva non accadere che la Croce impossibile da portare per il mondo dei forti, dei sani, di coloro ai quali veste a pennello la qualità della vita stabilita con i parametri della vanità, fosse caricata su colui che, ultimo tra gli ultimi, debolissimo tra i debolissimi, non può neppure difendersi dai batteri infiltratisi nel suo corpo.
E Gesù in Charlie non ha opposto resistenza, muto e mite come Agnello condotto al macello l’ha abbracciata, compiendo in questa generazione impazzita perché sedotta dalla menzogna del demonio, il testacoda divino che, solo, può salvare l’umanità, convertendo il suo cammino verso l’inferno in un sentiero di speranza. A Londra si compie di nuovo il miracolo del più piccolo che offre la sua vita per salvare chi si illude d’essere il più grande, del Servo che, caricando il fallimento e l’impotenza, redime chi si crede padrone di se stesso e della vita degli altri.
Che il Mistero di dolore e di Grazia di cui è intrisa la Croce caricata sulla carne del piccolo Charlie unito indissolubilmente al suo Fratello maggiore, sia oggi per noi una Parola che ci chiama a conversione; essa significa camminare nella Chiesa per giungere alla statura adulta della fede che fa discernere in ciascuno di noi, come nel coniuge, nei figli, nei genitori e nei fratelli di carne e di Spirito, Charlie, l’Agnello, Cristo stesso che Dio ha pensato, giorno per giorno, perché vi possa adagiare la Croce attraverso la quale aprire su questo mondo la porta della Speranza. Che Charlie ci aiuti a non dimenticare che «il prezzo della giustizia è sofferenza in questo mondo: lui, il vero re, non regna tramite la violenza, ma tramite l’amore che soffre per noi e con noi. Egli porta la croce su di sé, la nostra croce, il peso dell’essere uomini, il peso del mondo. È così che egli ci precede e ci mostra come trovare la via per la vita vera» (Card. Joseph Ratzinger).
(don Antonello Iapicca,
sacerdote missionario a Takamatsu, Giappone.
Suoi i blog I segni dei Tempi e Vangelo del giorno)
Terza stazione
Gesù cade per la prima volta
Venite a me,voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero.
Mt 11, 28-30
Summum ius summa iniuria diceva Cicerone e nella vicenda di Charlie abbiamo visto testimoniata la morte della giustizia nel trionfo della legalità e del diritto.
Se il diritto consente la soppressione di un innocente ha perso la sua ragione di essere: perfino le belve hanno cura dei propri figli! Se uno stato ordina la soppressione di un lattante è definitivamente scomparso ogni limite dettato dalla pietà e l’organizzazione della polis per quanto perfetta ed efficiente non differisce da quella di un formicaio.
Mai l’Europa era caduta così in basso nella sua storia, mai il rifiuto della sua matrice cristiana era giunto a conseguenze tanto estreme, ma non voglio cedere al sentimento della rabbia, per quanto umanissimo e comprensibilissimo. L’occasione di questo scritto è un’occasione di preghiera e di questo d’altronde ha bisogno la mia anima per non cedere alla barbarie, per non diventare come loro, dunque voglio pregare e non gridare le mie proteste.
Tutti sono caduti e non si sa se mai si rialzeranno. Sono caduti i medici, che pure lavorano in un ospedale di eccellenza ed hanno certamente già salvato decine se non centinaia di vite, ma non hanno saputo fare quel passo indietro che l’umanità stessa esige di fronte al dolore dei genitori, continuando invece a seguire ciecamente il protocollo. Sono caduti i giudici che anziché della verità si sono preoccupati dell’opportunità, anziché ispirarsi alla giustizia si sono affidati alla legalità. Sono caduti i giornalisti che con il loro assordante silenzio hanno seppellito Charlie ancora prima che morisse. Sono caduto anche io forse, quando in preda alla rabbia ho desiderato, lo confesso, di fare giustizia io stesso.
Solo due sono rimasti in piedi in questo generale crollo dell’umanità e di tutto ciò che ha senso: Connie e Chris, i genitori di Charlie. Da loro non una parola di biasimo, non una condanna, neppure un sussulto di rabbia, nemmeno un accenno di violenza, solo la pacata e dolente richiesta ad un potere a cui d’umano è rimasta solo la sembianza, di riconoscere quel diritto umano basilare che è la pietà, e che sola dà senso e giustificazione alla follia che è diventato vivere.
Voglio mettermi alla loro scuola oggi e non usare parole di condanna, ma di pietà…
Cari medici, cari giudici, cari giornalisti nonostante tutto siete ancora uomini e verrà un giorno, o più probabilmente una notte, in cui ve ne ricorderete e vi sveglierete gridando di angoscia nella consapevolezza improvvisa di ciò che avete fatto. Sono un confessore, l’ho visto accadere decine di volte. In quel giorno sarà tale il disprezzo che proverete per voi stessi da invocare un giudice che vi condanni e il più severamente possibile per poter tornare a guardarvi allo specchio senza inorridire. In quel giorno scoprirete che la vita davvero improduttiva ed indegna di essere vissuta è stata la vostra, se la si misura sull’unico parametro che conta, quello dell’amore.
Rischierete forse perfino di impazzire quel giorno per il senso di colpa e, credetemi, sono sincero nel dirvi che prego per voi, perché io stesso, io per primo, sono passato in quell’abisso e non posso augurarlo a nessuno. prego per voi perché in quel giorno che viene il volto che vedrete sia quello di Colui che avete creduto di poter eliminare come un disturbo fastidioso, quel Cristo che, invece è il solo che può ancora aver misericordia di voi.
Prego per voi, perché possiate conoscere il volto misterioso del Dio che credete di avere abbattuto e invece si è lasciato uccidere proprio per poter essere vicino a tutti i Charlie del mondo, prego per voi perché la misericordia di Dio vi soccorra e salvi la vostra umanità, o almeno ciò che ne resta. Il Dio caduto vi stia accanto e rialzandosi rialzi l’anima vostra, che avete gettato via come un residuo inutile in voi stessi.
(don Fabio Bartoli, parroco nella diocesi di Roma, scrittore di libri e blog )
Quarta stazione
Gesù incontra sua madre
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Gv 19, 25-27
Gesù, ti sei fatto battezzare da Giovanni nel punto più basso della terra per scendere con ogni uomo fino al fondo di ogni suo dolore, di ogni sua sofferenza e debolezza, per prenderle su di te. Ed ecco, durante il cammino della croce hai incontrato e assunto anche questo dolore, forse il più grande che cuore umano possa conoscere: il dolore di una madre che vede soffrire e morire suo figlio. Da quel giorno nessuna mamma è più sola nella sua angoscia. La mamma di Charlie non è sola, ci sei tu, c’è tua Madre accanto a lei, e, senza bisogno di preghiere piene di parole, lei sa. Siete accanto all’agnello innocente mandato a morte, e siete accanto anche alla donna a cui morire al posto di suo figlio sembrerebbe persino poco. Con te c’è tua Madre che ha visto la tua schiena flagellata, la tua testa trafitta di spine, la croce trascinata, i chiodi conficcati nella carne del suo bambino, in quella carne custodita e cullata e allattata e accarezzata. In quella carne che avrebbe voluto proteggere, ma ha saputo consegnare al Padre obbedendo fino alla fine. Perciò Maria sa quello che prova ogni madre di fronte al dolore del figlio. Sa lo strazio che toglie il fiato e squarcia le vene.
Gesù ti preghiamo per le madri che soffrono con i figli inchiodati a una malattia o persi nel peccato. Che i loro cuori non cedano. Ti preghiamo anche per le madri che senza sapere quello che fanno uccidono i loro bambini nel grembo che avrebbe dovuto custodirli. Che neppure i loro cuori cedano, quando sapranno quello che hanno fatto. Ti preghiamo per le donne che non hanno ricevuto un figlio, guarda questo enorme dolore della loro attesa, perché ogni donna è madre in attesa della salvezza del figlio.
(Costanza Miriano, giornalista Rai, scrittrice, blogger)
Quinta stazione
Gesù è aiutato dal Cireneo a portare la croce
Mentre conducevano via Gesù, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù.
Lc 23,26
Costretto a portare la croce dell’Innocente degli innocenti, ma non l’ho fatto: il potere dei meschini, farisei e burocrati della vita, mi ha imposto di staccarti dalla croce. Insopportabile sofferenza di chi non riesce a soffrire. Dato che non parli, continuerò a imporre il silenzio. Dovevano costringermi – fu così per Gesù – a caricarmi e chinarmi per un breve tratto nell’abbracciare il dolore, la sofferenza ma tu non parlavi, piccola croce – anche tu, come Lui, muto agnellino condotto al macello. Non ho ascoltato il tuo farfugliare, non sono riuscito a cogliere le tue richieste di vita, fino alla fine, non indotta, perché anche se breve non era la fine, ma il fine.
Sognarti è stato un dono, mi dicevi, così come fu in un sogno mia madre, chiamato ad andare a benedire un morto, alla benedizione il morto si svegliò; i parenti piangevano, ma continuarono a farlo, non per la gioia dei richiami della vita, ma per il fatto che doveva rimanere morto: tutto era stato pianificato, divisa l’eredità… il morto doveva rimanere morto; così come vogliono i burocrati dell’antivita.
Incontrai lì anche mia madre, sorpreso della sua presenza le dissi: perché sei qua? Mi rispose: per dirti di dire che noi non siamo morti, ma vivi! Che prepotenza: il potere che decide anche per me di ritirarmi in sordina, di guardare senza operare e invece dovrebbe costringermi a chinarmi sul dolore innocente, dell’innocenza. Volevo portarti sulle mie spalle per un breve tratto, perché si tratta di un lieve e leggero giogo, quello di accompagnarti fino all’ultimo respiro. Volevo sentirti spirare e tutto quello che, nella vita di Gesù, come nella tua breve vita, volevo cogliere quel che, rimasto di non detto e di non dicibile a parole, è racchiuso in quel grido, in quel vagito dopo il parto che ti portò e ti porta ora alla nuova vita. Volevo che mi costringessero a farlo, ma non è stato così. Non per farti morire, perché la morte è mia nemica.
Chi ha bisogno di cura, chi soffre, chi è senza tutela, chi è angustiato ha necessità di uomini e donne, di comunità e di pastori audaci e coraggiosi – cirenei – che sappiano guardare e chinarsi. Spero che una scheggia della tua croce mi sia rimasta infissa sulla mia spalla, per ricordarmi di tutti gli innocenti e che diventi l’eco del tuo farfugliamento: dei piccoli di Gesù che non meritano il soffocamento da parte del potere. Per la vita, solo per la vita.
(Don Fortunato Di Noto, fondatore e presidente dell’Associazione Meter)
Sesta stazione
La Veronica asciuga il volto di Gesù
Dio, che disse: «Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo.
2 Corinzi 4,6
Eccoci Charlie. Siamo le altre donne, quelle che non sono tua mamma. Ci siamo affiancate anche noi. Quasi veroniche, cerchiamo frugando nelle cose da stirare un qualche panno, pulito. Ci calchiamo sopra le mani, in fretta, per stenderne le fibre. Ci facciamo largo tra i corpi che si accalcano lungo la tua salita per avvicinarci al tuo. Il tuo corpicino, il tuo viso, la tua piccola testa reclamano anche da noi, da tutte le altre donne, la quota di tenerezza che ti sarebbe dovuta in una vita lunga. Siamo le donne che si sono aggiunte dopo, lungo la via di un dolore già incamminato. Non sappiamo a che punto ce ne siamo accorte, ma abbiamo visto: ecco il vero volto, ecco la bellezza. La tua infanzia è una trasfigurazione naturale che la malattia non riesce a deturpare, la mamma ti pettina i capelli finissimi e biondi e vi spruzza intorno una rugiada di greve poesia.
Alla spensieratezza che vi è preclusa lei risponde con una spazzolina dalle setole morbide per tenerti il ciuffo ordinato, a destra. Sui nostri teli comprati e non tessuti, sulle nostre stoffe sbrigative, vogliamo imprimere il tuo piccolo volto, sicure che quanto più assomiglia ai due giovani che ti hanno messo al mondo, tanto più ricorda i tratti del Signore che ha fatto e il mondo e quei due ragazzi. Che ti hanno generato e non vorrebbero più vivere senza di te. Sono milioni i volti, i tratti, i sorrisi, le pic of the day, gli hashtag che si rincorrono sugli schermi che teniamo sempre in mano. Uno solo è il Volto. E il tuo, adorabile Charlie, è vera icona dell’unico Volto Santo. Va bene Charlie, facciamo come dici tu: guarderemo a Lui e a te e saremo raggianti.
Presto diremo insieme “Morte, dov’è la tua vittoria?”
(Paola Belletti, redattrice For Her, Aleteia Italia)
Settima stazione
Gesù cade per la seconda volta
Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti.
1, Pt, 2,21b-24
Sono i nostri peccati, le nostre colpe, le nostre miserie e le nostre debolezze ad appesantire quella croce. Ogni volta che disdegniamo una vita perché fragile, malata, sofferente, quando ci mettiamo a cavillare di “qualità” di questa vita, quando arriviamo a teorizzare e poi anche stabilire che sia la morte la soluzione del dolore, la croce di Gesù si fa più pesante. Quando non prendiamo posizione, quando rinunciamo a dare ragione della nostra fede, quando non sappiamo difendere uno dei nostri figli più piccoli e fragili, quando lasciamo che tutti i Charlie del mondo morire da soli, la croce si fa più pesante. E Gesù si accascia, cade pur di non lasciare quella croce perché sa che quando il peso si fa così gravoso a cadere nella polvere sanguinanti, lacerati e miseri, siamo noi.
Cade per poterci rialzare, per poterci salvare. Anche Charlie, tenacemente aggrappato alla sua croce, immobile in un letto con una sentenza di morte che pende sul suo capo, ci ha salvato. Ha sollevato il nostro viso dalla polvere delle nostre giornate frenetiche e ci ha fatto volgere lo sguardo in alto, supplicando Dio di ascoltare il nostro grido. Gesù che cade senza lasciare quella croce, è la certezza che la nostra preghiera non rimane inascoltata, la conferma che per sangue versato siamo stati salvati, la prova provata che Charlie vive glorioso nell’Eternità.
(Raffaella Frullone, giornalista)
Ottava stazione
Gesù incontra le donne di Gerusalemme
Gesù, voltandosi verso le donne, disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?”
Luca. 23, 28-31
Gesù lo sapeva, quando le ha viste. La sua strada era al termine, la salita stava finendo. Il Dolore sarebbe aumentato a dismisura, fino a farlo gridare al Cielo chiedendo perché.
Ma Lui lo conosceva il perché, lui sapeva il motivo della sua Sofferenza. Lui ha amato ed accolto la Croce perché fosse strumento di salvezza per noi.
Vittima innocente, Vittima purissima.
E ora il Risorto si china verso il bimbo di 10 mesi e lo tiene stretto tra le sue amantissime braccia, piccolo sacrificato come un agnellino dagli stessi uomini che hanno sacrificato il loro Signore. Diversi motivi, stessa tragedia. Deve morire. L’uomo ha deciso.
Ci continuano a guardare, noi donne; ora, insieme, splendenti della luce di gloria, ci guardano, gli occhi profondi dell’Uomo-Dio e quelli attoniti del bambino-vittima. E ci avvertono.
“Donne , madri, non piangete su di Noi, ma sui vostri figli. Se ci hanno fatto questo, vantando un’umanità tradita, cosa faranno ai vostri figli? Figli feriti, piagati, disprezzati e offesi. Figli amati e per ora protetti e difesi. Ma fino a quando riuscirete a custodirli? Fino a quando potrete impedire la lor messa in croce? Fino a quando potrete deviare la lancia dal loro cuore e dal vostro, perché per il mondo è meglio che muoiano?”
Sotto quegli sguardi, il mio animo trema e le mie ginocchia si piegano. Il mio urlo di madre indifesa raggiunge quello di Gesù sulla Croce e quello della madre di Charlie.
Gesù, Charlie, perdonateci, amateci, proteggeteci, pregate per noi. E per le creature che abbiamo affidate. Il nostro corpo sara’ scudo, ma voi siate la nostra forza.
Gesù, Charlie, intercedete per noi.
Fate quello che noi non abbiamo saputo fare per voi. Salvateci da questa umanità.
(Annalisa Sereni, autrice del libro Semplicemente una mamma e del blog omonimo)
Nona stazione
Gesù cade per la terza volta
«Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove e io preparo per voi un regno,come il Padre mio l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno …
Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli».
Lc 22, 28-30a,31-32
Gesù cade per la terza volta
Caro Charlie, piccolo Gesù, la caduta di nostro Signore sotto il peso della croce mi fa pensare alla caduta di noi uomini adulti di questo tempo, alle nostre continue infedeltà, al secolarismo senza Dio che ci attanaglia le caviglie e spinge a terra, sempre più in basso, dove ci vuole il demonio. Tu, vittima innocente, sei estraneo a queste ambiguità e scelleratezze. Ferito e affaticato nella carne mantieni uno spirito intatto, puro, casto. “Gesù che cade per la terza volta” mi fa pensare a te, alla sofferenza che patisci, preziosissima e santa agli occhi di Cristo, inutile per professoroni e dottori, pseudo intellettuali di questo mondo marcio e putrefatto che vorrebbero ucciderti per non incontrare più il tuo sguardo. Eppure il tuo dolore non è senza senso! Quanti cuori sta muovendo! Quante vite sta convertendo! Quanti peccatori sta redimendo! Situazioni piccole, impensabili, lontane o vicinissime. Che grazia enorme! Magari l’infermiera che ti vede tutti i giorni in reparto e non parla con suo fratello da anni per vecchi rancori, osservando la tua famiglia stretta intorno a te, l’unione e l’amore incondizionato dei tuoi genitori, ha sentito un moto di nostalgia, lo sai? Ha pianto ogni giorno di nascosto nella stanza degli armadietti, da quando ha incontrato tua mamma in ascensore. Si è riscoperta creatura, umile, bisognosa di tutto come te, e magari domanderà al Padre la grazia di perdonare il fratello. Chissà quante persone stai purificando con la tua piccola, malata e debole vita! Quanti peccati stai scontando per noi, non possiamo immaginarlo ma sappiamo che è così.
Perché non capiamo che tu, Charlie piccolo e malato, sei la terapia per la guarigione di noi sani impazziti? Perché non comprendiamo che tu, inerme e povero, sei la cura di questo mondo ricco e smidollato, che si crede padrone di tutto? Che si fa eroe per gli animali e assassino degli uomini?
Possiamo solo rendere grazie a Dio e a te, Charlie, che preghi per noi con la tua vita. Che senza far nulla, restituisci la vista ai ciechi.
Signore, abbi pietà di noi che non viviamo per darti gloria e per amare ma per essere utili, produttivi, prestanti!
Signore, abbi pietà di noi che continuiamo a cadere! Tu che sei il Risorto, rialzaci! Salvaci! Santificaci!
Così sia
(Silvia Lucchetti, redattrice ForHer, Aleteia Italia)
Decima stazione
Gesù è spogliato delle vesti
Dal Vangelo secondo Giovanni. 19, 23 – 24
I soldati poi… presero le vesti di Gesù, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato – e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamola a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: “Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte”… E i soldati fecero così.
Gv 19,23-24
Charlie Gard muore umiliato, come umiliati sono i suoi genitori, ridotto a nulla, a mera cosa fallata di cui sbarazzarsi in fretta. La ragione? La cupidigia. Sotto la Croce, con noncuranza, i carnefici di Gesù lo spogliano delle vesti. Non hanno alcun rispetto per la dignità umana del condannato, è un oggetto da usare, a cui togliere oltre la vita anche la pudicizia nella sua essenza. Ma la tunica di Gesù è “senza cuciture”, tessuta in un solo pezzo “da cima a fondo”. Devono giocarsela a sorte.
Sembra di vederli rotolare ancora quei dadi davanti al giaciglio del piccolo Charlie. Ancora una volta l’inconsapevolezza umana si consegna ad un’aleatorietà di cui non intravede il pericolo. Uccidono Charlie Gard senza sapere quello che stanno facendo, chiusi nel loro piccolo mondo di piccoli desideri, di vesti da stracciare in quattro parti e tuniche insanguinate di cui sperare il possesso. Piccoli guadagni compiuti sul corpo di un innocente morituro, compiuti con la grettezza di chi ha lo sguardo fisso solo sul qui ed ora, per questo inevitabilmente privo d’intelligenza delle cose future.
Puntandolo all’orizzonte, invece, sarebbero capaci di scorgere finalmente una luce e dentro quella luce la grandezza del piccolo Charlie che di vesti non ha più bisogno. A spogliare Gesù delle sue vesti, a giocarsi la tunica ai dadi, a umiliarlo privandolo di ogni dignità, sono i maschi che presidiano l’esecuzione. Le donne, ai lati del quadro, piangono. La salvezza è nelle lacrime della madre di Charlie, delle tante madri che oggi empatizzano con quella donna, immagine della Vergine Maria ai piedi della Croce. Le donne no, le mamme no, loro non potrebbero mai. La luce è nel prossimo neonato a cui una femmina darà nascita e nudo nascerà, senza vesti di cui essere spogliato. Lo chiameremo Charlie.
(Mario Adinolfi, direttore de La Croce quotidiano)
Undicesima stazione
Gesù viene inchiodato alla croce
Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta. Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba. Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: «Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.
Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua». Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò: «Chi dei due volete che vi rilasci?». Quelli risposero: «Barabba!». Disse loro Pilato: «Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?». Tutti gli risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli aggiunse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora urlarono: «Sia crocifisso!».
Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell’acqua, si lavò le mani davanti alla folla: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli». Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.
Mt 27, 15-26
È come essere crocifissa. È come avere tre chiodi infissi nella carne.
Il primo insopportabile dolore: la diagnosi. No, non è vero: quello è stata il secondo.
I primi segni non sono stati meno terribili, quando si infrange quello che è il normale sogno di ogni normale vita: un bimbo sano. Un bimbo sano che cresce sano, che gattonerà, camminerà, dirà mamma, nuoterà nell’oceano e nell’acqua di una più modesta piscina, imparerà a scriverà, salterà i compiti per leggere fumetti. Questa normalità è durata otto settimane. Un bimbo molto bello, lo so lo dice ogni madre ed è giusto così, con uno sguardo profondo, già in un bimbo così piccolo. Poi i primi segni, le visite dal medico, le prime corse in ospedale. I suoi muscoli cedevano. La deglutizione è diventata troppo faticosa, un rischio anche perché non sarebbe riuscito a tossire. Guardavo il mio bimbo e il terrore si disegnava nella mia mente: un bambino per sempre malato, la vita su una sedia a rotelle.
Il secondo chiodo inflitto nelle mie carni è stata la diagnosi. Deplezione del DNA mitocondriale. Un ammasso di sillabe, il cuore in gola. La diagnosi confermata, le notti passate su internet a cercare un significato di quelle sillabe maledette. Volevano dire molto peggio di un bambino per sempre malato, la vita su una sedia a rotelle. Ora quello scenario, un bambino sempre malato su una sedia a rotelle, diventava il mio sogno: un bimbo vivo che vive una sua vita più piccola e diversa. I sogni si rimpiccioliscono, ma non per questo sono meno preziosi. Anzi più si rimpiccioliscono, più diventano preziosi. Il mio bambino mi guardava, seguiva la mia voce con gli occhi. Io sentivo la sua contentezza quando gli parlavo. Il mio cuore si riempiva di gioia.
Poi i suoi occhi si sono chiusi. Le palpebre si sono abbassate. È tornato cieco come è stato nel mio ventre.
Un altro pezzo si è aggiunto alla diagnosi. Solo 16 casi, ma lui è il più grave. La sua vita è solo dolore. Non ha senso accanirsi a prolungarla. Il suo faccino angelico non vi inganni. Non ha i muscoli sufficienti per mostrare il dolore, il dolore dei decubiti dei sondini, delle inevitabili infiammazioni. Una vita che nessuno vorrebbe vivere. Nessuna speranza. I tentativi di cura sono per altri, altri sottotipi di malattia. Per lui non c’è nulla, salvo una vita che è già tortura.
“Dovete lascialo andare”, ci dicono. “E se non potete , noi lo lasceremo andare per voi, incapaci di farlo.”
Il terzo chiodo: l’unico bene di tuo figlio è la morte.
Altri hanno deciso per nostro figlio. altri decideranno per i figli di altri. Il mio corpo ha portato Charlie per nove mesi, lo ha nutrito e protetto. Io so. Io sento che la sua vita non è dolore, è gioia, per la nostra vicinanza, per la nostra voce, quella calma e bassa di suo padre, la mia, che più spesso trema per il pianto. Questo è stato il terzo chiodo nella mia carne, la carne che lo ha portato. Altri sanno più di me cosa è bene per lui, altri sanno che per lui l’unico bene è la morte. Io l’ho portato cieco e felice per nove mesi, con vicino a me suo padre, l’uomo che lo generato nel mio ventre. Vogliamo che Charlie viva fino a quando il suo cuoricino non si ferma. Vogliamo che possa ancora ascoltare le nostre voci. Vogliamo poter guardare ancora il suo faccino, troppo angelico perché la sua vita sia solo dolore. Vogliamo fare l’ultimo inutile tentativo, ma lui non può morire prima che abbiamo tentato ogni strada. Lui non può morire “prima”.
Io l’ho portato nella mia canne, quella carne dove ora sono conficcati tre chiodi.
Suo padre lo generato nella mia carne con la sua, quella carne dove ora sono conficcati tre chiodi.
Chiediamo che Charlie possa avere l’ultima possibilità di una speranza folle e se questa fallisce che possa morire a casa.
Il sogno è ancora più piccolo e più dolente. Quindi ancora più prezioso e sacro. Dove c’è dolore il terreno è sacro, e diventa il luogo dove l’uomo incontra Dio.
(Silvana De Mari, medico, psicoterapeuta, scrittrice, blogger, Silvana de Mari Community)
Dodicesima stazione
Gesù muore sulla croce
Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura,disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «E’ compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
Gv, 19, 28-30
Tutto è compiuto piccolo Charlie, il ritorno alla casa del Padre è per te il sollievo dalla sofferenza ma è anche il triste distacco per chi, come noi, resta. In primis i tuoi genitori che come leoni hanno combattuto per te. Fossimo noi come questi tuoi genitori, accanto alla Croce con dignità e speranza, senza rassegnazione, saremmo uomini e donne migliori, saremmo cristiani con la “C” maiuscola. Oggi il mondo guarda alla tua piccola culla con trasporto, conscio che qualcosa non è andato nel verso giusto, che qualcosa di sbagliato nel tenerti lontano dalle speranze dei tuoi genitori c’è. Da quella tua croce ci guardi, e metti a nudo la nostra ipocrisia: si fatica a darti da bere, la legge e la Giustizia oggi non si danno la mano, anzi. Un grido di umanità si leva, come il grido del Golgota, dalle nostre coscienze spesso anestetizzate. Tutto è compiuto piccolo Charlie, di nuovo l’agnello è stato sacrificato, di nuovo la vittima si staglia in tutta la sua innocenza, il Mondo, in tutta la sua colpevolezza. Prega per noi quando sarai in Cielo, qui noi ladroni facciamo il tifo per te.
(Lucandrea Massaro, giornalista, Co-Editor per Aleteia Italia)
Tredicesima stazione
Gesù è deposto dalla croce e consegnato alla Madre
Vennero i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco,e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate (…)
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù.Gv, 19, 32-35,38
La Passione del Signore Gesù è intrecciata indissolubilmente a quella della Sua SS.ma Madre: un Sacrificio di Corpo dell’Uno, un sacrificio di Spirito dell’Altra.
Questa stazione racchiude in sé il grande mistero dell’amore dei genitori per il figlio, un amore che non può, dal più profondo dell’anima, accettare passivamente la sofferenza della carne della propria carne; soprattutto non può rimanere inerme quando questa è innocente, indifesa, totalmente dipendente dalle loro cure, dal loro amore e dalla loro dedizione.
Nella situazione come quella del piccolo Charlie Gard (o di nostro figlio Gregorio), questa necessità di agire, di reagire, di difendere, di accudire si trasforma, in virtu’ della Grazia di Dio, in un atto di Offerta. Quando la ragione capisce che la vita del figlio si fa più fragile, più sottile, più breve, e che il tempo a disposizione è brevissimo, intervengono la Fede e la Speranza, e quell’inevitabile sacrificio diviene consapevole e volontaria Offerta del figlio a Dio: allora la sofferenza è redenta e può diventare via di Salvezza anzitutto per i genitori, poi per tutti coloro che vengono a contatto con quel piccolo Cristo Crocifisso su un lettino di ospedale.
Ma cos’è che né l’intelletto, né il cuore, né la Fede di un genitore possono accettare? Quand’è che questa situazione diventa per loro uno strazio insopportabile tanto che ogni cellula del loro corpo si ribella? E’ il fatto che questa offerta, questo sacrificio, questo dolore immenso sia immolato non a Dio, vero Autore della Vita e Padre amorevole, ma alla scienza, alla politica, agli interessi umani, biechi, immorali, dimentichi del vero valore della vita, al tentativo diabolico di togliere dignità alla vita sofferente, e di ergersi a giudici del bene altrui, calpestando inesorabilmente il Dono stesso della vita. Quando cioè questa offerta del sangue e della carne del proprio figlio è fatta contro Dio e contro la sua creatura!
Ecco perché l’eutanasia di Charlie Gard non può e non deve essere permessa, taciuta, e attuata senza che il mondo alzi un grido assordante di orrore per questo atto.
“Ed era ben giusto che colui, per il quale e del quale sono tutte le cose, volendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che li ha guidati alla salvezza […] Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.
Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.” Eb 2,10-18
(Giuditta e Jacopo Coghe, genitori di Gregorio, bimbo nato e vissuto solo poche ore.
Jacopo è Presidente di Generazione Famiglia – La Manif Italia
e Co-fondatore del Comitato Difendiamo i Nostri Figli)
Quattordicesima stazione
Gesù è deposto nel sepolcro
Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta. Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba. Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: «Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.
Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua». Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò: «Chi dei due volete che vi rilasci?». Quelli risposero: «Barabba!». Disse loro Pilato: «Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?». Tutti gli risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli aggiunse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora urlarono: «Sia crocifisso!».
Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell’acqua, si lavò le mani davanti alla folla: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli». Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.
Mt 27, 15-26
Siamo con te Charlie. Rimarrai con noi come il Risorto nel giorno della gioia pasquale. Gesù è vita. Lo sei anche tu. Piccolo fagotto nelle mani dei tuoi genitori ansimanti come le donne che vegliavano il sepolcro. Ci dai forza. La tua malattia diventa emozione e innalza le nostre miserie. Sei coraggio e debolezza. Specchio e vittima delle contraddizioni di un contemporaneità complessa dove il senso della vita perde per strada la sua dimensione di Assoluto. Sei il frutto dell’amore. Il tassello mancante e riempente della tua splendida famiglia. Così piccolo, così indifeso. Sei tutto questo e tanto altro. Osservarti ci provoca smarrimento come i discepoli di Emmaus increduli di fronte all’incontro con Gesù. Non capiamo. La tentazione di lasciarti andare si annida nel nostro cuore. Così come la rabbia espressa da giorni su ogni terreno della nostra relazione. Sei diventato senza volerlo il centro del nostro parlare. Tesi e antitesi. Posizioni e contrapposizioni. Sui media. Sui social network. Figura Christi o paladino di (presunte) libertà. Caro Charlie, sei solo un bambino. Bellissimo come ogni creatura creata. Come ogni figlio amato e abbracciato dal primo all’ultimo giorno. Figlio del Padre Celeste che non ha mai lasciato la tua manina. Figlio di Chris e Connie. Figlio mio e dell’umanità intera che ti guarda e prega per te. E, nonostante i disonori e gli oltraggi, il sepolcro nuovo ti aspetta. Perché ogni tuo respiro profuma di Cristo e produce molto frutto. Come quel chicco di grano da cui comincia la moltiplicazione del pane e rende il mondo migliore. Caro Charlie, oggi quel chicco sei tu.
(Massimiliano Padula, Presidente dell’AIART)