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La blasfemia, un peccato contro Dio e contro l’uomo?

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Nomad Soul / Shutterstock

padre Robert McTeigue, SJ - pubblicato il 28/07/17

La reverenza nei confronti di Dio richiede quella per il corpo e l'anima umani

“Lavati la bocca con il sapone!” Vi è mai stato ordinato da un genitore o da un insegnante? Ricordate cosa avevate detto per provocare quella punizione?

Abbiamo sempre saputo che le parole hanno un potere, che quello che possiamo dire può riflettere lo stato della nostra anima e, nel bene e nel male, influire sull’anima altrui. C’è stata un’epoca in cui sapevamo più chiaramente che c’erano parole indegne della nostra dignità di esseri umani, persone civilizzate e cristiani. C’è stata un’epoca in cui sapevamo più chiaramente che i giovani, gli innocenti e i vulnerabili non dovevano essere esposti a parole oscene e all’oscurità relativa. C’era un accordo – più o meno – sul fatto che dovessero essere protetti. Dio ha bisogno di una protezione di questo tipo?

Lo chiedo come parte delle nostre meditazioni sui Dieci Comandamenti. Il Secondo Comandamento dice: “Non nominare il nome di Dio invano” (cfr. Esodo, 20). Proibisce la blasfemia – parlare in modo irriverente, provocatorio o abusivo di ciò che è sacro, soprattutto il Santissimo Nome di Dio. Ovviamente Dio non può essere ferito da un linguaggio scriteriato come può accadere a un bambino impressionabile, ma può essere offeso dall’irriverenza – un peccato di ingiustizia nei confronti del nostro dovere di riconoscere la santità di Dio. L’irriverenza disonora Dio. Ci ferisce indebolendo la nostra capacità e il nostro desiderio di amare e adorare Dio, che è la nostra realizzazione e la nostra unica vera dimora.

Provo un’ansia crescente per la cecità che possiamo avere nei confronti della blasfemia. Possiamo essere blasfemi verso noi stessi? Possiamo profanare (disonorare ciò che è sacro) noi stessi? Capite che non sto parlando di peccare contro il culto dell’autostima di cui la nostra cultura soffre negli ultimi cinquant’anni. A preoccuparmi sono i doveri di reverenza e le proscrizioni verso la blasfemia che derivano dall’essere sia umani che cristiani.

Come umani, siamo fatti a “immagine e somiglianza di Dio” (genesi 1, 27). Non siamo mai “solo” o “semplicemente” umani; Dio ha associato a noi parte della sua dignità e del suo onore. Come cristiani, siamo “templi dello Spirito Santo” (1 Corinzi 6, 19). Battezzati, abbiamo un carattere sacro che il mondo non può dare, ma può sicuramente offuscare. Non possiamo immaginarci a distruggere uno splendido esempio di arte religiosa. Non dovremmo considerare l’ipotesi di portare oscenità in un santuario. Ma facciamo proprio questo, siamo blasfemi – violiamo il Secondo Comandamento – con i peccati contro l’integrità dei nostri corpi umani e la sacralità delle nostre anime cristiane.

Quando ingeriamo con noncuranza i veleni di una dieta non sana; quando abusiamo senza pensarci due volte dell’alcool o consumiamo droghe pericolose; quando ci sottoponiamo a mutilazione o sterilizzazione o alla “riassegnazione del genere” – non siamo blasfemi nei confronti della presenza di Dio in noi? Dio non prenderà nota quando cerchiamo di cancellare l’immagine che ha posto in noi?

San Tommaso d’Aquino ha scritto che “nulla è nell’anima che prima non sia stato nei sensi”. In altre parole, i sensi sono la via per l’anima. Se dovessimo guardare materiale pornografico, ascoltare conversazioni lascive, cantare canzoni dai testi osceni, non porteremmo sporcizia nel tempio della nostra anima attraverso i nostri sensi? Perché qualcuno dovrebbe farlo? Perché qualcuno dovrebbe pensare che questo comportamento possa essere gradito a Dio? Come potrebbe pensare qualcuno che un sacrilegio di questo tipo contro l’anima umana santificata da Dio possa portarci alla felicità del Cielo?

Le persone superficiali potrebbero scrollare le spalle di fronte a queste domande e pensare che rischiamo di diventare moralisti, mentre i più scrupolosi potrebbero iniziare a desiderare una lista precisa e completa di tutte le immagini, le parole, i suoni ecc. da proibire. Non cadiamo né in un eccesso né nell’altro.

Non c’è bisogno di grande saggezza per riconoscere questa verità: “Non profanate ciò che è santo” (detto in termini positivi, “Riverite ciò che è sacro”). La santità di Dio è al di là di ogni misura, e non si può onestamente negare che sia degno di reverenza, gratitudine e giusta adorazione. Aggiungendo meraviglia a meraviglia, il nostro status come sue creature e la nostra dignità come suoi eredi in Cristo richiede che siamo vigilanti nel custodire la presenza divina che caratterizza il nostro corpo umano e la nostra anima cristiana.

In una cultura sana, l’esortazione “Comportatevi dunque in modo degno” (Filippesi 1, 27) dovrebbe essere un motivo per impegnarsi con gioia piuttosto che causa di proteste. In una cultura sana, insegnare ai nostri figli che ciò che entra nella loro anima è importante almeno tanto quanto quello che esce dalla loro bocca dovrebbe essere un compito solenne e considerato. È il momento di riesaminare il nostro comportamento alla luce del Secondo Comandamento.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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