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Salire la Scala di Giacobbe con i gradini verticali di una cella di prigione

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Robert Kurland - pubblicato il 27/07/17

Un carcerato offre lezioni su come vivere seguendo la Regola di San Benedetto

L’“Opzione Benedetto” è stata discussa parecchio di recente, ma non è stata riservata molta attenzione a un suo aspetto fondamentale, la Regola di San Benedetto. La Regola, stabilita da San Benedetto nel VI secolo come base della vita monastica, dev’essere imparata e seguita dai monaci e dalle monache benedettini, nonché dagli oblati benedettini (benedettini laici), ed è una guida quotidiana per la vita.

Sono un oblato benedettino, e in quanto tale sono stato mentore dei novizi che vogliono diventare oblati, incluse due persone rinchiuse in prigione. Ho spesso scambi epistolari con i reclusi, rispondendo alle loro domande e ponendone a mia volta. Uno di questi carcerati ha invertito i ruoli, diventando per me un esempio di come si dovrebbe vivere in base alla Regola, qualunque siano le circostanze.




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L’umiltà è la virtù essenziale per seguire la Regola, una virtù che dà la forza di salire gradino dopo gradino sulla Scala di Giacobbe. E allora come fa il mio mentore – chiamiamolo John – a praticare questa virtù, e com’è incarnata nella Regola di San Benedetto? Risponderò prima alla seconda domanda.

Prima, però, serve un chiarimento. Ci sono molte discussioni su umiltà e Regola, nei libri e su Internet. Non cercherò di riassumerle, ma di dare la mia interpretazione. Non elencherò i 12 gradi di umiltà che usava San Benedetto per i gradini della sua scala, concentrandomi su quelli messi in pratica da John e che sto cercando di inserire nella mia vita quotidiana.

Alla base di tutto c’è l’ingiunzione di Gesù “Chi si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato” (Matteo 23, 12).

È il riconoscimento del fatto che siamo creature di Dio, e che come Adamo siamo fatti per la terra. Qualsiasi talento e dono abbiamo viene quindi da Dio, non da noi. Riconoscere questo è il “timore del Signore” che rappresenta il primo gradino – non avere paura di Lui, ma provare reverenza per il Suo potere creatore.

Perché sia così dobbiamo compiere varie cose:
Praticare la sottomissione all’autorità
Essere pazienti nelle situazioni difficili
Fare un elenco dei propri vizi e delle proprie virtù
Essere felici di ciò che si ha, anche se non è quello che si desidererebbe.

In altre parole, dobbiamo abbandonare la nostra volontà e la nostra gratificazione – una sfida che dura una vita.

Si apprezza meglio il modo in cui John sale la Scala di Giacobbe – la Scala dell’Umiltà – sapendo qualcosa di lui. Ha tra i 40 e i 50 anni. Non so da quanto sia in prigione, ma è molto più di tre o quattro anni – dovrebbe uscire l’anno prossimo sulla parola. La sua famiglia è importante per lui – genitori, nonna anziana, nipoti, cugini. Si è convertito al cattolicesimo circa tre anni fa ed è diventato oblato benedettino nel novembre dello scorso anno. È rispettato dagli altri reclusi e riconosciuto come un leader. È un abile scrittore, e coglie molto bene il senso delle Scritture.

Nelle sue lettere John non si lamenta per il fatto di trovarsi in prigione. Non mi dice che sta crescendo nell’umiltà. Lo deduco io dai suoi commenti su come la Regola si applichi alla sua routine quotidiana e dalle sua citazioni della Scrittura. Dalle sue lettere emerge chiaramente che l’istituto in cui si trova non è come alcuni che ho visitato come ministro straordinario della Santa Comunione e catechista – niente palestre, niente computer, niente televisione personale o libri da leggere. La sua preoccupazione è mostrare con l’esempio agli altri reclusi che Cristo è suo amico e che sarà anche il loro, ovunque si trovino.

Quando leggo le lettere di John torno indietro di 12 anni, quando ero un oblato benedettino novizio e studiavo il Capitolo 7 della Regola – “Sull’umiltà” – negli incontri al diaconato locale. Capivo sempre più quanto sarebbe stata migliore la mia vita se avessi conosciuto la spiritualità benedettina e avessi seguito i precetti di Benedetto 10 o 20 anni prima.




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Anche ora mi rendo conto di dover compiere ancora un lungo percorso – mi ritrovo spesso ad essere insoddisfatto del mio lavoro e della sua efficacia, o sono impaziente e scontento per ciò che ho. E non sono recluso dietro delle sbarre verticali. Per me i gradini della scala sono orizzontali.

E allora torno a leggere l’ultima lettera di John e poi il Capitolo 7 della Regola, e decido: un gradino in basso oggi, ma domani due in alto. Saliamo e scendiamo.

“Discesa e salita che non possono certamente essere intese da noi se non nel senso che con l’esaltazione si discende e con l’umiltà si sale. La scala poi che si rizza, non è se non la nostra vita terrena, che per l’umiltà del cuore venga dal Signore diretta su verso il cielo. Diciamo infatti che il corpo e l’anima nostra sono i lati di questa scala, nei quali la divina chiamata inserì diversi gradini di umiltà e di esercitazione spirituale da salire” (Regola di San Benedetto, Capitolo 7).

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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