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“The War”, ultimo capitolo della nuova triologia de “Il pianeta delle scimmie”

CattoNerd - pubblicato il 27/07/17

Il frainchising che ti ascimmia!

di Alex Pac-Man

Non ho memoria di quando vidi per la prima volta “Il pianeta delle scimmie” diretto da Franklin J. Schaffner, scritto da Amanda SilverRick Jaffa e Jamie del ’68. Saranno stati gli anni ’90 e io ero un bambino curioso, che non capiva se quello che aveva davanti era un film sulla teoria di Darwin o sulla religione. In realtà era più la seconda, in quanto il film si discostava di molto dal romanzo di Pierre Boulle. Sarà il remake di Tim Burton, del 2001, ha rappresentare la miglior trasposizione del libro. Infatti lo rende a mio avviso il meno interessante tra i nove film, in quanto riduce la storia de “Il pianeta delle scimmie” ad un discorso evoluzionista o Neodarwinistapiuttosto scontato e meno suggestivo. Vincono i più “evoluti” o “forti”, non i prescelti! Sì, un po’ mediocre nei contenuti.

Il novo popolo eletto… le scimmie!

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La locandina del film del 1968Sì, assolutamente religioso fu invece il tema del primo film: l’astronauta George Taylor crede di essere finito in un nuovo pianeta, ma finisce per scoprire di trovarsi sulla terra a soli poche migliaia di anni di distanza dal suo tempo. Eh sì, ci sono nuove specie a dominare la terra. Ossia le scimmie. Il film non si pone questioni evoluzionistiche e lascia tranquillamente sottintendere che in pochi migliaia di anni l’Onnipotente ha creato nuove razze di scimmie antropomorfe capaci di soppiantare l’uomo. Le scimmie, non a caso, sono piuttosto devote nei confronti del loro Dio e non vedono nell’uomo altro che il demonio. Il conflitto di Taylor è proprio quello di dover accettare l’inaccettabile: le scimmie hanno ragione! L’uomo è la più infame delle creature. Pertanto i nuovi arrivati fanno bene a dominare gli esseri umani sopravvissuti all’olocausto nucleare.

Seguirono altri quattro film, con viaggi nel tempo e pianeti che esplodono, ma nessuno di loro fu in grado di mantenersi davvero coerente con il tema portante del primo capitolo. Dunque, nessuno se li ricorda un granché. Lo stesso vale per il remake di Tim Burton, il quinto, che per quanto mi riguarda fa l’errore di ignorare l’aspetto profondamente esistenzialista del film del ’68.

Poi arrivò Cesare…

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Cesare, il leader!

Per questi e altri motivi nessuno si aspettava un granché dal nuovo franchising de “Il pianeta delle scimmie”. Io non avevo alcuna aspettativa, ma dopo aver visto “L’alba del pianeta delle scimmie” e “Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie” quella suggestione che provai da ragazzino con il film di Schaffner tornò più forte che mai: un mondo dove non soltanto l’uomo è soppiantato da nuove specie “antropomorfe”, ma che viene mostrato nella sua apocalisse/genesi. C’è una fine e un nuovo inizio. C’è un nuovo capostipiteCesare. Ed è il protagonista. Sì, il protagonista non è un uomo… ma una scimmia! Una scimmia nata tra gli uomini e potenziata dagli stessi con un virus mutageno creato in laboratorio per curare alzheimer. Cesare ama gli esseri umani, ama il suo padrone, ma finirà per dover scegliere tra il bene dei suoi simili e quello dell’umanità. La scelta giusta, ovviamente, sarà la prima. Si scopre che gli umani, piaccia o no, non sono affatto degni di dominare le scimmie intelligenti appena nate e finiscono per diventare gli antagonisti della storia. Il virus si propaga su tutto il globo, uccidendo più del 90% degli umani e potenziando le scimmie (intelligenza e dono della parola); e l’apocalisse della nostra specie ha inizio.

Sia ben chiaro, nella nuova saga de “Il pianeta delle scimmie” non c’è alcuna demonizzazione del genere umano come avviene per altri film smaccatamente animalisti o per altre opere di matrice gnostica. Semplicemente gli sceneggiatori prendono atto della verità messa in risalto dalla narrazione: Cesare e le sue scimmie non sono perfette nel senso stretto del termine. Anzi, possono commettere errori, ma indubbiamente si rivelano più buone di noi. Perché? Beh, gli manca quel qualcosa di “sbagliato” che in noi invece c’è… Non a caso, nella genesi di Cesare manca un “peccato originale”. Anzi, alla rovescia Cesare diventa quello che è per colpa della superbia non sua ma dall’uomo; e si ritrova, nolente o volente, ad essere una vera e propria “punizione divina” per tutta l’umanità. Però, paradossalmente, ne sarà anche la salvezza? Vabbè, niente spoiler. Vedetevi il film.

Dunque… più o meno religioso?

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Cesare viene fatto prigioniero dall’esercito degli uomini del Colonnello McCullough… e comincia il martirio

La nuova saga de “Il pianeta delle scimmie” non è smaccatamente teista e animalista come lo fu il primo film, né darwinista od evoluzionista come lo fu il romanzo e/o il film di Tim Burton. Ma si pone nel mezzo: non ci interessa conoscere le origini dell’uomo (non è l’uomo il protagonista!), né se abbiano ragione i creazionisti o gli evoluzionisti, ma sappiamo per certo che l’uomo odierno può crearsi da solo la sua rovina. Cesare e i suoi non hanno alcuna colpa, semplicemente combattono l’umanità che cerca di prevaricarli.

Colonnello McCullough: “Sei eccezionale, intelligentissimo, più forte di noi. Ma hai preso questa cosa troppo sul personale. Troppo a cuore!”

Inconsciamente emerge quella verità che ognuno di noi sente dal di dentro, ma che per colpa di tanti tabù/pregiudizi culturali e religiosi si ha paura di riconoscere: l’uomo è sbagliato, non è così che dovevamo essere! Cesare e compagni, se pur apparentemente più “animaleschi”, non sono dei selvaggi ma da subito si organizzano come una civiltà che ambisce al bene comune, anche a quello degli umani. La verità è che il problema non è il libero arbitrio acquisito dalle scimmie per via della superbia umana, ma la propensione al male che contraddistingue l’uomo. Si finisce così per tifare per Cesare e suoi non soltanto perché il protagonista è una scimmia con cui si empatizza per ben tre film eccellenti, ma per la consapevolezza che se ci trovassimo anche noi lì, in quel conflitto epico tra umani e scimmie, la cosa giusta sarebbe dare ai nuovi arrivati la libertà di “crescere e moltiplicarsi” (Gn 9, 1).

Una suggestione o una reminiscenza?

Una razza superiore che deve convivere a grande fatica con una razza “inferiore” e malvagia. Una delle due è stata creata o generata dall’altra. La mitologia è piena di queste cose, come in quelle della teogonia, ma naturalmente alludo sopratutto ai Figli di Dio diGenesi 6, 1-4. Solo che qui, ne “Il pianeta delle scimmie”, viene esteriormente rovesciata l’immagine mitologica: le scimmie, solitamente associate al bestiale e al selvaggio, sono il popolo intrinsecamente buono, l’uomo quello malvagio e bestiale nei fatti. E per di più il popolo buono è stato “creato” da quello cattivo, altro rovesciamentoNel film del ’68 l’uomo è addirittura “regredito” e appare come incapace di tornare alla civiltà, mentre nella nuova trilogia le scimmie si confrontano con un’umanità ancora dominatrice della terra ma appaiono nettamente superiori sia sul piano morale che fisico e, conseguentemente, destinate a prendere il posto dell’uomo. Trattandosi di una sorta di “prequel”, sappiamo già che Cesare e suoi non estingueranno l’umanità, ma daranno inizio ad una lunga e difficoltosa convivenza con una specie incapace di coesistere pacificamente con altre creature senzienti.

Si noti un altro aspetto, tutto tranne che secondario: le scimmie non sono un’unica razza, ma tre specie distinte: scimpanzè, orangotango e gorilla. Tre specie che sanno perfettamente coesistere e sostenersi come un unico popolo. Non sono quindi le differenze a rendere impossibile la coesistenza tra scimmie ed esseri umani, ma i limiti di questi ultimi.

Nonostante il discorso possa sembrare scollegato, in realtà la saga de “Il pianeta delle scimmie” evidenzia la questione del cosiddetto “peccato originale” e delle sue conseguenze. L’istinto di prevaricazione dell’uomoresta il problema di fondo. Perché l’uomo è così prevaricatore e bellicoso? Noedarwinismo a parte (che vedrebbe l’uomo ancora non del tutto “evoluto”), la risposta ci riporta sulla storia della caduta, uno dei temi più importanti di sempre. O almeno per me!

Conclusione

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Tecnicamente, “Il pianeta delle scimmie” si colloca nel genere post-apocalittico

Il nuovo franchising de “Il pianeta delle scimmie” è impeccabile sotto ogni aspetto (tecnico, narrativo, visivo, scelta degli attori), proponendo una delle più grandi suggestioni letterarie e cinematografiche di sempre: può l’uomo odierno considerarsi una specie degna di popolare il mondo? Verrà prima o poi qualcuno a prendere il nostro posto? Ora da un punto vista prettamente cristiano (il mio!) noi possiamo essere quel popolo santo capace di custodire e proteggere la terra e il nostro prossimo. Possiamo entrare in relazione con Dio anche se siamo feriti e limitati. Poi c’è una promessa in cui personalmente ho fede: Dio riporterà l’uomo alla sua condizione originaria e perfetta con la resurrezione della carne. Anzi, torneranno i suoi angeli (tra noi) a fare giustizia. Ma nell’attesa di ciò, beh, godetevi questo film eccezionale!

QUI L’ORIGINALE

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