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Perché la presenza di Padre Paolo Dall’Oglio dava fastidio alla Siria

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia Italia - pubblicato il 27/07/17

Quattro anni fa la scomparsa in Siria. Il giornalista amico: sul suo rapimento troppe speculazioni, Paolo mai mi ha fatto trapelare che fosse seguito o pedinato

Sognate la Siria libera“. Ecco le ultime parole di padre Paolo Dall’ Oglio. Le ultime tracce di padre Paolo Dall’Oglio si perdono a Raqqa, pochi minuti dopo le 22.37 del 28 luglio di quattro anni fa.

Quella sera il gesuita, 59 anni, aveva scelto di parlare ancora, nonostante sapesse che su di lui incombeva la doppia minaccia dell’islamismo radicale e del regime di Bashar Al Assad, che lo aveva inserito nella lista nera sin da quando il sacerdote aveva denunciato le sue atrocità. «A Raqqa si accarezza un sogno. E se Dio vuole sarà l’ inizio della libertà in tutta la Siria», disse nel suo arabo perfetto a centinaia di studenti che lo avevano accolto.

“NON ANDARE, E’ PERICOLOSO!”

Quando la manifestazione si sciolse, padre Paolo salutò e respinse l’invito a lasciare la città. «Gli dicemmo che era pericoloso. Ma lui era determinato: rispose che voleva incontrare Al Baghdadi. Era già stato al quartiere generale dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria due o tre volte e non lo avevano lasciato entrare. Voleva provare ancora. Ci salutò e andò per la sua strada», ricorda Al Hamza, uno dei studenti.

IL MISTERO DELLA SCOMPARSA

Del religioso da quella notte non si sa più nulla. Sulla sua sorte sono circolate le ipotesi più disparate: che sia stato ucciso immediatamente da un miliziano saudita, irritato dall’insistenza nel voler incontrare il leader; che sia stato preso prigioniero e sia poi morto di stenti; che sia ancora vivo e tenuto come una preziosa merce di scambio; oppure che sia stato eliminato dai Servizi segreti siriani.

La stessa incertezza domina negli ambienti investigativi. L’ unico fatto resta la scomparsa. E la mancanza di una rivendicazione (La Repubblica, 27 luglio).

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IL FRATELLO: E’ UN OSTAGGIO PREZIOSO

Eppure sulla sorte di suo fratello Giovanni continua a dirsi ottimista: «Sono certo che gode della grazia di nostro Signore a cui si è abbandonato quando scelse la sua strada, che è quella di donare la sua vita agli altri».

Continua quindi a credere in una sua possibile liberazione. «Sì, perché ufficialmente lui ancora risulta come “assente”, e poi perché non sappiamo in che mani sia finito. Potrebbe anche essere stato rivenduto da chi l’ ha rapito alle forze del presidente siriano Bashar al Assad, del quale aveva denunciato gli orrendi crimini contro i civili sia all’ Onu sia in Vaticano, e che l’ aveva espulso dalla Siria».

Infine, per chiunque lo tenga prigioniero, «Paolo è un ostaggio prezioso da usare come ultimo lasciapassare per salvarsi la pelle» (La Repubblica, 27 luglio).

LA RESISTENZA DI MAR MUSA

Lo cercano ancora con speranza, anche i suoi amici della comunità religiosa al monastero di Mar Musa, fondata dallo stesso gesuita nel 1991. Dopo il rapimento di padre Paolo, sono rimasti solo in quattro o cinque, tra monaci e monache, tutti siriani, nella comunità guidata da suor Houda, dove continuano a fare un prezioso lavoro di assistenza ai profughi tra mille difficoltà.

Resistono con coraggio e smentiscono in modo categorico le voci secondo cui avrebbero intenzione di lasciare tutto e trasferirsi in Turchia: «Il nostro posto è qui» (La Repubblica, 27 luglio).




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“INCARNAVA LA SFIDA DELLA FRATELLANZA”

Riccardo Cristiano, giornalista e fondatore dell’Associazione Giornalisti Amici di Padre Dall’Oglio, evidenzia: «Sappiamo che la sua presenza in Siria, dove era rientrato clandestinamente dopo l’espulsione decretata nel 2012 dal regime di Bashar al Assad, era una sfida, insopportabile. Una sfida per tutti quei poteri fondati sulla barbarie e che intendono fare della Siria o un sedicente stato confessionale o famigliare. E lui, Paolo, lo sapeva. Sapeva di incarnare una sfida entrando in un conflitto dove le paure legittimano la repressione, che crea l’estremismo, che giustifica le paure. E siccome lui credeva nell’amicizia, nella fratellanza islamo-cristiana, voleva sfidare questo conflitto che usava e usa le religioni conto l’altro».

UNA STORIA CHE DOVEVA RESTARE SCONOSCIUTA

Paolo, prosegue il giornalista, è stato sino a quel giorno «la voce narrante più autorevole di una storia che doveva restare sconosciuta, rimossa; la storia di una rivoluzione nonviolenta in terra araba, in terra islamica. E la coniugazione di non violenza, mondo arabo e islam è la più importante per il futuro. Paolo è stato, e sarebbe, la voce narrante più forte di quella storia che andava cancellata, negata».

GHIRAT, CAROLINE E LE TORTURE

La storia che lui ha portato a galla attraverso, ad esempio, Ghiyat e Caroline. «Nel marzo del 2011 – aveva scritto Paolo – Ghiyat Matar andava a offrire l’acqua fresca ai soldati e porgeva loro dei fiori. Fu torturato e ucciso. Una giovane donna, Caroline Ayoub, era andata a distribuire uova di Pasqua di cioccolato ai figli dei rifugiati con un versetto del Corano e parole del Vangelo. E’ stata arrestata e torturata. Le persone venivano torturate perché il governo non poteva concepire né, tanto meno, accettare la nonviolenza» (Reset.it, 27 luglio).




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LE SORTI DELL’AMICA

Cristiano aggiunge ad Aleteia: «Ad oggi il dato è che non abbiamo idea di cosa sia realmente successo quella notte. Un sequestro dell’Isis? Anche un’amica di Paolo manifestava tutti i giorni a Raqqa contro lo Stato Islamico e non è stata sequestrata. Perché Paolo si? E poi ad oggi non ci sono rivendicazioni. Allora la finalità può essere estortiva o intimidatoria. Insomma ci sono troppi punti oscuri…».

L’OMBRA DELLE SPECULAZIONI

La speranza che Padre Dall’Oglio sia ancora vivo «non è un non voler fare i conti con la realtà – precisa il giornalista – ma è perché ipotizziamo scenari con approssimazione. Tutto quello che è trapelato ad è in via ufficiosa, spesso frutto di speculazioni, di chi vuol fare depistaggio per assegnare responsabilità».

«Segnali che temesse per un suo rapimento? A me non hai mai detto nulla. L’unica cosa di cui sono sicuro è che aveva piena consapevolezza dei pericoli – chiosa Cristiano – ma che si sentisse pedinato o perseguitato questo no».

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