In un esercizio di anticlericalismo a tesi troviamo alcuni spunti interessanti da discutere col fondatore di Meter: «C’è chi usa la pedofilia per colpire la Chiesa ma poi lavora per normalizzare la depravazione»
Mentre anche il giornalista collettivo italiano, nei giorni scorsi, accettava obtorto collo che il Rapporto Weber non incrimina affatto, ma anzi semmai scagiona monsignor Georg Ratzinger dalle accuse di connivenza che strumentalmente gli erano state rivolte, qualche conclamata testata laicista si produceva in un tardivo esercizio di corsivo anticlericale a tesi.
Quindi su Il Fatto Quotidiano abbiamo letto, a firma di Marco Marzano, “Così la Chiesa fabbrica pedofili già nei seminari”. Già il titolo ci dice una cosa: se la Chiesa fosse un po’ meno occupata a guardarsi in casa, l’incauto titolista avrebbe lucrato al Direttore e alla Redazione una sonora querela. Il “commento” di Marzano è un abbecedario di luoghi comuni della propaganda anticlericale più trita: della Chiesa leggiamo che, «[…] pensandosi costruita a immagine e somiglianza di Dio» essa si riterrebbe «perciò dotata di diritti superiori a quelli di ogni altra creatura». L’articolista poi smussa e sfuma (o fa per provarci): un “involontariamente” concesso di qua, un “probabilmente” accatastato di là, e finalmente la perentoria conclusione – “la verità”, si compiace di definirla – con la quale si delinea la fisionomia psicologica dei preti pedofili, accomunati
soprattutto dall’aver acquisito la convinzione profonda di essere, in virtù della tonaca che indossavano, superiori alla media degli esseri umani e quindi di poter usare e abusare del prossimo a piacimento.
Il raffinato concetto è ribadito ancora da Marzano con la perentorietà di chi pare convinto di star enunciando il passaggio decisivo di un’analisi epocale:
Quei preti erano da un canto immaturi affettivamente e quindi incapaci di stabilire relazioni amorose paritarie e responsabili, dall’altro assetati di occasioni per manifestare la propria volontà di dominio e di potere appresa con tutta probabilità proprio nei seminari, dopo essere stati a propria volta oggetto di abusi e di violenze ma anche dopo aver imparato, nelle classi e nei corridoi, che Dio ha diviso gli esseri umani in due blocchi: quelli normali e i preti.
Il livore tracima irrefrenabile, sembra proprio che non si possa chiedere a Marzano lo sforzo di attenersi ai fatti nel tentativo di formulare ricostruzioni e analisi più prudenti. Ad ogni buon conto, se non possiamo certo pensare di insegnare l’arte del buon giornalismo alle firme del FQ, possiamo almeno estrapolare qualche implicazione del testo di Marzano e discuterne con un uomo che alla lotta alla pedofilia ha dedicato un trentennio di vita, non tremila battute di chiacchiere. Quest’uomo è un prete – Marzano e il FQ lo sappiano. Ecco invece una sintesi di cosa impariamo dalle colonne del quotidiano di Marco Travaglio: la Chiesa “forma pedofili”
- col celibato sacerdotale;
- con la reiterazione dei comportamenti sessuali di giovani che a loro volta erano stati violentati;
- per via della non-promiscuità sessuale degli ambienti di formazione del clero.
Ora, la prima chiosa è così stantia che non ci sentiamo di riprenderla per contestarla (scrivemmo qualcosa anche qui), mentre la seconda merita qualche osservazione e la terza ci lascia addirittura a bocca aperta: se noi non sapessimo da che parte sta il FQ giudicheremmo quest’ultima osservazione come sospetta di omofobia (massimo crimine della dittatura del relativismo pilotata dalle lobby LGBT): in tal caso ci ripugnerebbe anche solo discuterne. Fortunatamente, però, sappiamo che nulla è alieno a certe testate come l’indipendenza di giudizio in questa materia, quindi con don Fortunato Di Noto, fondatore dell’Associazione Meter e nemico giurato di ogni forma di pedofilia, possiamo parlare liberamente anche di questo aspetto.
Don Fortunato, ha letto anche lei questo “commento”. Che ne pensa? È vero che la Chiesa, nei seminari, “continua” a formare legioni di pedofili?
Don Fortunato Di Noto: Credo che chi scrive questo credo sia non solo fuori dalla realtà, ma millanta un’attendibilità che non esiste e tradisce una grave superficialità nell’affrontare la formazione dei seminaristi nei seminari in Italia e nel mondo.
Se si avanza l’idea che la Chiesa è una multinazionale di prodotto pedofilo e di pedofili, veramente qui siamo fuori e non riusciamo più a capire il problema. Forse anzi facciamo un danno allo scopo ultimo stesso, che è il contrasto alla pedofilia, alla pedopornografia e agli abusi sessuali sui minori nel mondo.
Ancora, se avanziamo l’idea che i seminari non siano altro che fucine di giovani pedofili – ignorando che spesso vi sono anche adulti che fanno scelte radicali, fondamentali nella loro esistenza – e se si pensa che gli educatori siano correi o conniventi in simili piaghe (quindi parlo di Rettore, Vicerettore, Padre Spirituale… e in molti seminari si sta tentando di avere anche figure intermedie che aiutino il percorso di discernimento nella vocazione…); se da parte laica si osa dire questo allora cosa dovremmo pensare noi di altri settori sociali, dove davvero accadono fatti gravissimi?
Mi riferisco ad esempio a tutto ciò che è accaduto come scandalo nelle scuole di calcio, nelle associazioni sportive.
Che dire poi dell’insegnamento, dei docenti, dei professori nelle scuole? Qual è la formazione che hanno? Cosa dovrei pensare di altre categorie sociali? Io credo che occorra stare attenti a non far sì che la pedofilia diventi soltanto il tema principale di un attacco spudorato contro la Chiesa, che non ha niente a che vedere con la tutela dei piccoli. Ci sono stati degli errori? Io credo che la Chiesa stia cercando – con fatica, con difficoltà, con delle normali incapacità – di dare delle risposte serie, chiare e ben precise.
È però vero che i trascorsi oscuri di Regensburg non sono espressione del disagio di un singolo, e in questo l’articolo riporta un’osservazione condivisibile: come si formano, secondo lei, simili “strutture di peccato”?
Don Fortunato Di Noto: Guardate, io cerco di considerare sempre il problema a 360 gradi, e se mi permettete vorrei proporre una prospettiva che coinvolge la struttura di peccato (e di reato) nella Chiesa. Ma non solo nella Chiesa.
Se è vero come è vero (l’ha recentemente dichiarato la polizia inglese) che ci sono 850mila predatori di bambini solo nel Regno Unito; se è vero come è vero che ci sono 18 milioni di bambini abusati e maltrattati in Europa (e neppure questi sono dati miei); se è vero come è vero che ci sono milioni e milioni di bambini prepuberi abusati e picchiati (e questo lo può attestare la nostra associazione Meter, perché ogni giorno svolgiamo attività di monitoraggio e di denuncia), allora il problema si pone eccome.
La struttura di peccato – ma direi anche “la struttura di reato” – è sotto gli occhi di tutti… ma forse si fa ben poco. Evidentemente, ciò che è accaduto è grave: io dico sempre che basta una sola vittima, nell’ambito della nostra comunità cristiana o in certe strutture, ad evidenziare un’aberrazione sistematica, oltre che la deviazione di un sistema mentale. Però è anche vero che in questi decenni si sta cambiando, si sta comprendendo: si diceva nei giorni scorsi degli aspetti educativi negli anni ’40… ma posso parlare anche della mia personale esperienza. Quando io ero alle elementari, e oggi ho 54 anni, il nostro maestro ci strappava le basette a sangue. Lo dico per indicare che queste cose accadono: non che siano giustificabili (non c’è assolutamente da giustificare niente), perché anzi è vero che esiste sì una struttura di peccato, ma il peccato è sempre personale.
Il peccato personale che si fa nel consesso dei figli dell’iniquità – diciamola con la categoria biblica – ovvero di quanti vivono una condizione profonda di malizia per la quale si portano a ledere i piccoli e i deboli, certamente diventa poi una vera e propria struttura. Se è vero come è vero che i dati sono quelli che ho indicato sopra – e potrei continuare a sciorinare dati e numeri a mo’ di rosario del dolore – questo sta a dire che c’è nel mondo qualcosa che non va, non solo nella Chiesa, nella nostra comunità cristiana (o meglio, in alcuni membri: io sono prete, ma non sono pedofilo!).
Anche nei seminari bisogna avere attenzione e discernimento, certo. Oppure nel coro di Ratisbona sono accaduti questi fatti gravissimi e nessuno se n’è accorto… ciò è possibile appunto perché esiste una struttura di peccato, che si protegge con trame di omertà: i panni sporchi si lavano in famiglia… e cose così.
Io sono rimasto impressionato dalla testimonianza di una delle vittime di Ratisbona che diceva di essere stato abusato duecento volte. E diamine… quando uno non si accorge di una cosa del genere questo avviene anche perché non si è in grado di parlarne, né di aiutare a parlarne… ma comunque si tratta di un fatto drammatico, gravissimo, da non sottovalutare. Che provenga dalla Chiesa, da un papà, da organizzazioni pedocriminali, è un fatto gravissimo e lo ripeterò sempre. Questo però esige che il fronte di chi combatte tanto male si compatti e si unisca: la pedofilia e la pedopornografia si vincono non frammentando l’azione o distruggendoci l’uno con l’altro, ma anzi alleandoci. Questa è la sfida.
Forse involontariamente, Marco Marzano ha giustapposto alla classica accusa al celibato anche un velato riferimento agli ambienti sessualmente non-promiscui dei seminari. Statisticamente, sembra che un 80% dei cosiddetti preti pedofili coinvolga bambini e/o ragazzini maschi: le cose stanno così?
Don Fortunato Di Noto: Allora, credo che sia giusto precisare un fatto. Sono dati riscontrabili e quindi in un certo senso ufficiali, dato che ormai ogni anno la Congregazione per la Dottrina della Fede li espone.
Io ricordo che qualche anno fa si poté appunto rilevare, tra questi dati, come tra 3000 casi vagliati negli ultimi dieci anni dalla CDF sì e no un 30% riguardava sacerdoti che avevano abusato di minori prepuberi (la pedofilia, in senso stretto esige appunto questo): si tratta di un aspetto importante, perché il pedofilo si nutre di bambini al di sotto dei 12 anni, visto che la pedofilia in senso proprio si esprime anche con un’attività di dominio e di predominio psicologici (e ciò vale per il pedofilo tout court, non solo per il prete omosessuale).
Nell’ambito ecclesiale, invece, risulta che per un 70% di quei 3000 suddetti casi, i preti erano efebofili, che hanno avuto rapporti (omo- ed eterosessuali) – certamente anche con violenza – con adolescenti e giovani al di sotto dei 18 anni. Sono entrambi fatti gravissimi, ma va segnalata una differenza importante: si aprono scenari impressionanti, perché è vero che ci sono eterosessuali e omosessuali che vanno con minori (anche al di sopra dei 14 anni: e ciò richiede una lettura diversa del problema), ma il problema è che nessuno ha il coraggio di incrociare questi dati e accostare la pedofilia nel clero all’omosessualità nel clero.
Certamente non tutti gli omosessuali sono pedofili, ma i numeri dicono che quasi tutti i preti pedofili (specie se “pedofili” in senso lato, cioè anche efebofili) sono omosessuali.
Volendo quindi schematizzare, possiamo dire che il pedofilo – e la pedofilia non è una malattia, ma è un altro disturbo della sfera sessuale – sfocia nella perversione e desidera, sceglie, vuole, bambini prepuberi. Questo è scientificamente scontato, non lo sto dicendo io. Il DSM 5 [Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, N.d.R.] stabilisce questa tassonomia. Per quanto riguarda il clero, le statistiche mostrano che in una larghissima percentuale interna dei casi si tratta di omosessuali efebofili pederasti con grandi disturbi nella sfera sessuale: si procurano relazioni (con tutte le dinamiche sfociano nell’abuso e nella violenza, nel maltrattamento, nel dominio) con minori maschi sopra i 14 anni. In quasi l’80% dei casi, per quanto riguarda le vittime del clero pedofilo, si tratta di maschietti. Le restanti sono femminucce, di età compresa tra i 14 e i 18 anni. Sto approssimando numeri e percentuali, ma non sono cifre buttate lì così, anzi: sono ben documentabili, e pongono di per sé un’ulteriore riflessione: la Chiesa lo dice, nei suoi documenti sui “Criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali”. O meglio, la Chiesa lo scrive ma per la gravissima dittatura del politically correct tutti temiamo anche solo di parlarne. Anche la nuova Ratio fundamentalis per i Seminari dice cose importanti sulla formazione e sulla prevenzione degli abusi. Non è che ce l’abbiamo con gli omosessuali: stiamo analizzando un fenomeno.
Appunto per analizzare a 360 gradi sulla base di quei dati che riportava: nella sua esperienza sul campo, le risultano uguali proporzioni fuori dal clero?
Don Fortunato Di Noto: Ecco, ringrazio molto per la domanda, che è veramente fine e opportuna: di fatto nel mondo della pedofilia di per sé valgono le tendenze inverse, con numeri praticamente ribaltati. Cioè a dire: noi abbiamo almeno il 75% (per non dire l’80%) di abusi su femminucce e la restante percentuale si distribuisce sui maschietti. La cosa ancora più drammatica – e non temo smentite in merito – è che in questo versante si attesta anche l’impennata dei fenomeni di infantofilia, cioè degli abusi su neonati. Io lo dico perché il fenomeno dell’abuso è un fenomeno complesso, drammatico e criminale. Però quell’inversione di proporzioni torna a interpellarci: il fenomeno, dicevo, ha diverse facce, e quindi deve essere affrontato con diversi approcci.
Si dice che i pedofili siano stati a loro volta vittime di pedofilia: le risulta? In ogni caso, pensa che ci siano (altri) fattori scatenanti?
Don Fortunato Di Noto: Il tema della pedofilia, dicevamo, va affrontato con giusta multidisciplinarietà e da molte prospettive. Ora rispondo con una domanda, perché è una domanda – cui anche molti accademici non sanno rispondere – quella che va posta: «La pedofilia è un crimine contro l’umanità?». È una domanda che io pongo da anni, e anche da tavoli accademici internazionali non ho avuto risposte univoche. Per l’esattezza, se ne davano due:
- sì, per il sentire sociale è una cosa abominevole;
- dal punto di vista scientifico dobbiamo avere un altro approccio.
Resta da capire che cosa significa “un altro approccio”, perché ci sono tendenze – anche di accademici, di psicologi, di psichiatri, ma pure di altre lobbies… – a sostegno di cosiddetti “pedofili virtuosi”. In quei circoli si dicono e si sentono dire cose come: «Ma noi mica facciamo del male ai bambini? Siamo così e dovete accettarci. Magari ci aiutate a contenere le nostre pulsioni verso i bambini; ci aiutate a evitare, per quanto è possibile, contatti sessuali diretti, ma per il resto dovete accettarci».
Vede qual è il problema: questi soggetti sono stati denunciati? Se è vero che per poco meno dell’80% le vittime sono di sesso femminile, stando l’ipotesi esposta nella domanda noi dovremmo avere in circolazione più donne pedofile. Il che non sembra affatto: abbiamo sempre uomini, maschi, pedofili e abusatori (anche se c’è una non trascurabile frangia, purtroppo in aumento, di donne pedofile). Chiaramente tutte le statistiche su quest’argomento sono viziate dall’incognita del sommerso, che però un analista serio non può in alcun modo calcolare. Ciò che noi possiamo – io come don Fortunato e come associazione Meter, con annesso Osservatorio Mondiale – è denunciare: noi denunciamo migliaia e migliaia di video e di foto, oltre a dialoghi e situazioni.
Non si tratta di un’azione solo repressiva, e vorrei che passasse questo concetto, perché vedo che anche nell’ambito ecclesiale c’è qualcuno che dice che «la Chiesa non deve denunciare» [i casi di pedofilia “esterni” alle proprie strutture, N.d.R.]. Dicono che la Chiesa non è chiamata a fare azioni che aiutino la repressione. Secondo me chi dice questo si sbaglia di grosso: la denuncia, se accompagnata profeticamente all’aiuto per uscire fuori dal male, deve essere fatta.
Non è la denuncia tout court che ci interessa: s’immagini quanto abbiamo denunciato noi in 30 anni di attività nel settore… La denuncia permette anzitutto di fermare il male, per quanto ciò sia possibile, e il nostro pensiero deve andare prima di tutto alle vittime, la nostra azione dev’essere volta a far sì che non si sentano sole; poi permette di indicare dei percorsi di recupero, anche per i pedofili. Chiaro: ci vogliono un giusto processo e, se si acclara la reità, anche una congrua pena. In caso il condannato sia un prete, non dovrebbe più esercitare il ministero, e purtroppo non siamo ancora tutti unanimi su queste linee. Cose che appaiono secondarie, ma sono invece di fondamentale importanza. Anche una società con un relativismo acre e una erotizzazione eccessiva perfino del bambino ci porta ad abbassare la soglia di guardia: ecco allora che scattano degli elementi – perché l’erotismo, se non educato e aiutato, diventa facilmente perversione (e non a caso il DSM 5 vi dedica ampio spazio) – che portano alla “normalizzazione” del fenomeno.
Quindi bisogna avere una capacità educativa responsabilizzante, però ovviamente la società, la mondanità, la cultura, la cosiddetta “normalizzazione” producono i propri effetti. Si pensi a come classifichiamo certe notizie: «Branco stupra una dodicenne» – «Beh, è una ragazzata…». E quando noi denunciamo casi di abuso su neonati nessuno reagisce: non si reagisce per paura? Di cosa non l’ho capito… Ma ecco, molte volte anche questo silenzio favorisce la normalizzazione. Ed è quello che non dovrebbe accadere.
Capisco benissimo, difatti l’ultima domanda che avevo preparato riguarda appunto la “normalizzazione”…
Don Fortunato Di Noto: Quanto a questo posso garantire che c’è un forte, forte, fortissimo movimento… chiamiamola “lobby” – io uso questa parola da vent’anni – e intendiamo con ciò gruppi, persone, realtà che si associano, fanno opinione, avanzano proposte legali, raccolgono fondi e muovono capitali… il tutto al fine di sdoganare il concetto per cui nulla ci sarebbe di male quando adulti si innamorano di bambini.
Si presentano casi di diciottenni o di ventenni che s’innamorano di bambine di otto anni… e poi ci troviamo da un lato a fare campagne contro le spose bambine e dall’altro ammettiamo che un diciottenne può avere una relazione con una bambina di otto anni.
Ecco, ma se allora posso dettagliare meglio la domanda direi che si ha talvolta l’impressione che “il mondo” soffra di amnesie selettive, per quanto riguarda la pedofilia: la durezza che (giustamente) usa col clero pedofilo non trova riscontro quando si dà il caso di Mario Mieli o di certe ambigue dichiarazioni di noti politici già comunisti. Va bene l’anticlericalismo (diciamo così), ma secondo lei perché la pedofilia di certi teoreti viene quasi sempre passata in sordina o guardata con una certa indulgenza?
Don Fortunato Di Noto: Ma Mieli e l’ex governatore sono ormai superati. Spero di non risultare sconcertante, ma queste espressioni da loro rilasciate negli scorsi decenni – e mai ritrattate, almeno nel caso del politico (Mieli le scrisse in libri, non c’è niente di più esplicito e cosciente) – sono ormai superate e supportate da migliaia e migliaia di realtà pedofile che avanzano la normalizzazione e la giustificazione dell’orientamento pedofilo.
Il loro scopo è dichiarare la pedofilia un orientamento, non una perversione: di conseguenza non ci sarebbe niente di male nell’avere relazioni tra adulti e bambini. Hanno stabilito la “giornata dell’orgoglio pedofilo”, di cui ormai nessuno dice nulla, nessuno neanche reagisce… l’ultima è stata fatta il 21 giugno scorso, meno di un mese fa… questi signori raccolgono fondi, hanno contatti con migliaia e migliaia di singoli o gruppi o di veri e propri movimenti internazionali.
Pur avendo noi una legislazione comunitaria che proibisce la promozione e l’apologia della pedofilia (anche attraverso l’internet) – Meter fu promotrice della norma italiana, disgraziatamente disattesa da noi e in Europa –, dall’altra parte ci sono tanti agenti culturali e politici o parapolitici, alimentati e orientati da lobbies sessualizzate che vogliono far passare queste cose.
Sono liberamente accessibili sul web dei portali nient’affatto illegali che pubblicizzano e rivendicano questi “diritti” come Boylinks.net. In tutto il mondo: non c’è Paese al mondo in cui nessuno avanzi la normalizzazione della pedofilia.
Questo impone delle serie riflessioni, cui conseguentemente dovrebbero succedere adeguate azioni. In questo scenario, se usiamo la gravissima piaga della pedofilia come un’arma da usare contro la Chiesa abbiamo perso tutti quanti, a cominciare dai bambini.
La soluzione non sta nella burocratizzazione del fenomeno: la burocrazia non ha mai salvato un bambino né recuperato un pedofilo. Alle volte anche nella Chiesa la ricerca di un “coordinamento forzato dei carismi” rischia di essere più d’intralcio che d’aiuto: la nostra parte, con Meter, la facciamo ogni giorno – abbiamo recuperato 1.400 bambini, abbiamo denunciato 3 milioni di siti pedopornografici… stiamo in trincea e mettiamo le mani dentro al dolore.
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