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Mutilato, decapitato, scotennato: Isaac Jogues, missionario gesuita in Canada

V0032209 Martyrdom of Father Isaac Jogues S.J. Engraving by A. Malaer

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V0032209 Martyrdom of Father Isaac Jogues S.J. Engraving by A. Malaer Credit: Wellcome Library, London. Wellcome Images images@wellcome.ac.uk http://wellcomeimages.org Martyrdom of Father Isaac Jogues S.J. Engraving by A. Malaer after A. van Diepenbeck. Published: - Copyrighted work available under Creative Commons Attribution only licence CC BY 4.0 http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/

Kévin Boucaud-Victoire - pubblicato il 25/07/17

I 150 anni dalla nascita della confederazione canadese sono l’occasione per ricordare l’incredibile lavoro di evangelizzazione condotto dai gesuiti nel XVII secolo in quella che si chiamava “Nouvelle France” – in particolare l’azione di Isaac Jogues.

Il 24 luglio 1967, 50 anni fa, Charles de Gaulle scatenava una crisi geopolitica tra la Canada e la Francia. Colpa della frase “Viva il Québec libero!”, pronunciata in un memorabile discorso nella provincia nordamericana nel pieno del centenario della confederazione canadese. Un gesto che ci ricorda la complessità della storia canadese, federazione politica nata il 1o luglio 1867, quando l’Ontario, il Québec, il New Brunswick e la New Scotland, fino ad allora colonie britanniche, decidono di scrollarsi di dosso la tutela del Regno Unito. Ma la storia canadese comincia prima di quest’atto fondatore – oggetto di numerose commemorazioni in questo mese di luglio – e i missionari gesuiti francesi vi hanno giocato un ruolo determinante. Tra loro, sant’Isaac Jogues, canonizzato da Pio XI nel 1930, occupa un posto particolare.

Quinto figlio di nove, il futuro sacerdote nasce il 10 gennaio 1607 a Orléans, ove attende agli studi nel collegio dei gesuiti. Alla fine del cursus gli si apre la possibilità di rilevare i floridi commerci del padre, o di diventare funzionario come i suoi zii, ma preferisce seguire i maestri gesuiti a Rouen, nella Compagnia di Gesù. Formula i suoi voti nel 1626 e si avvia agli studi di filosofia, quindi di teologia, a Clermont. La sua vita cambia radicalmente quando viene inviato missionario in Nouvelle France – territorio che si estendeva allora dall’attuale Louisiana al nord del Canada, e la cui capitale era Québec – nel 1636, poco dopo essere stato ordinato prete. Si unisce ai gesuiti che evangelizzano, da principio riscuotendo un relativo successo, i popoli amerindi di America del nord. Soprannominato al suo arrivo “Ondessonk” (sparviero), s’installa nell’attuale Canada. A quest’epoca, però, delle epidemie colpiscono gli Uroni e mettono in pericolo la vita dei missionari, perché gli amerindi ne attribuiscono la causa a loro. Numerosi preti sono messi a morte. Jogues non sembra comunque impressionato, e malgrado tutto la sua missione sembra procedere bene. Gli viene anche affidata la costruzione del forte Santa Maria. Le cose vanno però a rotoli nel 1642, quando viene catturato dagli Irochesi.

Un missionario esemplare, anche sotto tortura

Jogues conosce allora la tortura e la schiavitù. Nondimeno, il prete non dimentica la sua missione, e tenta di portare anche in quel frangente agli amerindi «il soccorso che la Chiesa del mio Dio mi ha confidato», secondo le sue testuali parole. Esclude l’ipotesi di fuggire e accetta di soffrire «per liberare queste povere anime dalle fiamme dell’Inferno». Uno dei suoi compagni, René Goupil, viene ucciso il 29 settembre 1642 sotto i suoi occhi. Eppure la morte non lo spaventa. Spiega in una lettera di quei giorni: «Voglio morire come ho vissuto, da figlio della santissima Chiesa romana e della Compagnia». Nel novembre 1643, comunque, finisce per scappare grazie a dei calvinisti olandesi e giunge in Inghilterra, dapprima, quindi in Francia. Viene allora ricevuto da Anna d’Austria, madre di Luigi XIV. Le sue mani erano state mutilate, non può più celebrare la messa e deve a tal proposito ricevere un’autorizzazione eccezionale da Papa Urbano VIII. Il missionario non ha che un obiettivo: fare ritorno nella Nouvelle France per evangelizzare.

In una lettera spiega:

Il cuore mi dice che, se ho il bene di essere impiegato in questa missione, andrò e non ritornerò, ma sarei felice se Nostro Signore volesse completare il sacrificio lì dove lo ha cominciato, e che questo poco sangue che ho versato in terra sia come la caparra di colui per cui darei tutte le vene del mio corpo e del mio cuore.

Ottiene ciò che vuole e riparte nella primavera del 1644, mentre la situazione tra francesi e tribù di Uroni e Irochesi è ancora tesa. Nel 1646, mentre arriva tra gli Irochesi a Ossernenon, nello stato di New York, dove è incaricato di negoziare la pace, lui e i suoi confratelli vengono accusati di essere i responsabili del pessimo raccolto. Accusato di stregoneria dagli Irochesi, viene decapitato. La sua testa scotennata viene esibita dagli amerindi su una palizzata e il suo corpo viene gettato nel fiume Mohawk. La sua vita resterà un modello per i missionari canadesi, è per questa ragione che il 29 giugno 1930 Pio XI sceglie di canonizzarlo con sette altri martiri del Paese.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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