A colloquio con l’avvocato rotale Alessia GulloQuello della nullità del proprio matrimonio e della dolorosa – ma a volte necessaria – certificazione di questo fatto è spesso aggravato, nei cuori e nelle menti dei fedeli che sanno di doversi rivolgere all’avvocato e al Tribunale ecclesiastico anche dall’aggravio dei costi, da molti ritenuti – forse in maniera un po’ mitologica – come proibitivi quando in realtà è forse vero il contrario. Come vedrete nell’intervista le spese sono pressoché fisse, quindi fatti salvi coloro che non possono pagare affatto, non c’è proporzione tra il ceto medio, il benestante e il ricco, pagando più o meno tutti la stessa cifra.
La nullità, non ci stancheremo mai di dirlo, non è affatto il “divorzio cattolico”, e come – dice la nostra intervistata – è sempre auspicabile evitare questa rottura, più che semplificarla o renderla più rapida. Di recente Papa Francesco ha messo mano ad una riforma del codice di diritto canonico su questo punto, tramite il Motu Proprio noto come Mitis iudex dominus Iesus. Per approfondimenti sul tema:
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Per fare chiarezza Aleteia ha contattato l’avvocato rotale Alessia Gullo che ha accettato a rispondere, con dovizia di particolari alle nostre domande.
Aleteia: Avvocato, chi si rivolge a lei per affrontare un processo di nullità matrimoniale?
Avv. Alessia Gullo: Tenendo conto che non ci sono statistiche ufficiali in merito, direi che le persone che intraprendono un processo di nullità matrimoniale siano piuttosto eterogenee, con una prevalenza di uomini laddove si assista ad un vero contenzioso (cioè con la parte convenuta costituita). Se infatti il “genere” ha poca rilevanza nella figura del cosiddetto “attore”, è noto che siano le donne quelle più “agguerrite” – per così dire – nella opposizione a tale istanza. Dal punto di vista socio-economico c’è una grande varietà, dovuta principalmente ai diversi sistemi di patrocinio in vigore presso i tribunali ecclesiastici.
Per quanto riguarda la pratica religiosa e più in generale i veri motivi che stanno alla base della richiesta di nullità di matrimonio, il discorso è più complesso:
- dall’analisi delle cause rotali risulta che le parti attrici di Irlanda, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia (o gli sparuti casi delle terre di missione) sono mosse generalmente – almeno per la mia lunga esperienza – dal desiderio di una più piena partecipazione alla vita ecclesiale;
- negli Stati Uniti c’è invece un problema per così dire culturale, tanto che spesso anche i tribunali ecclesiastici usano l’errata espressione “catholic divorce“. In questi casi è consuetudine chiedere la dichiarazione di nullità di matrimonio in caso di matrimonio fallito;
- in Libano vigono ancora gli Statuti Personali e quindi per i cattolici non c’è possibilità di divorzio, ma solo, ove ne ricorrano i presupposti, la dichiarazione di nullità di matrimonio
Tornando all’Italia?
E’ in evoluzione il discorso relativo all’Italia. Lasciata ormai alle spalle (1970) la pletora di casi di persone che non potendo ricorrere al divorzio in caso di matrimonio fallito intraprendevano la strada della nullità matrimoniale presso i tribunali ecclesiastici, nel trentennio (1970-2001) successivo c’è stata una maggioranza di cause di persone che, tramite la delibazione della sentenza di nullità si prefiggevano lo scopo di non pagare gli alimenti al coniuge. Le note sentenze della Cassazione hanno via via indebolito tale scopo. Negli ultimi anni, quindi, accanto a coloro (in diminuzione) che richiedono la nullità di matrimonio per motivi connessi ad eventuali giudizi civili (divorzi conflittuali, cause legate agli assegni di mantenimento, all’affidamento dei figli, ecc.), troviamo chi, pur indifferente alla dimensione sacramentale del matrimonio, desidera accontentare i genitori o i nuovi suoceri con un nuovo matrimonio religioso; quelli che vogliono “cancellare” il precedente coniuge; quelli che vogliono rendere felice il nuovo partner, generalmente la giovane compagna che si vuole sposare in chiesa con l’abito bianco, l’organo, i fiori e scenografia varia; poi quelli che ci tengono a fare il padrino al nipotino, al figlio del capo; coloro che ambiscono a cariche o uffici particolari (professori in università cattoliche, presidente di confraternite ecc.). Con questo non voglio dire che non ci siano fedeli mossi dal sincero desiderio di fare chiarezza sulla propria unione fallita o di partecipare pienamente alla vita ecclesiale. Mi limito a constatare come, diversamente da quanto si possa immaginare e da quanto solitamente viene riferito in giudizio, in Italia tali fedeli rappresentino una minoranza – approssimativamente del 30% ma non sono dati ufficiali precisa l’avvocato Gullo -. Minoranza che, nelle intenzioni di una efficace pastorale, si spera possa aumentare.
Quali sono le cause più frequenti?
Anche qui c’è una differenza determinata da aree geografiche e dal trascorrere del tempo. In buona sintesi:
– negli Stati Uniti, ad oggi, quasi il 100% delle cause viene fatto per difetto di discrezione del giudizio (can. 1095 n. 2) o incapacità di assumere gli oneri coniugali (can. 1095 n. 3) dovuti generalmente a immaturità psico-affettiva;
– in Irlanda, oggi, la maggioranza delle richieste è presentata per difetto di libertà interna (riconducibile al difetto di discrezione del giudizio) a causa di gravidanza inaspettata;
– in Polonia, oggi, c’è ancora una preponderanza di cause per difetto di discrezione del giudizio o incapacità di assumere gli oneri coniugali dovuti generalmente ad alcolismo o problemi connessi;
– la situazione dell’Italia è lo specchio della sua evoluzione sociale. Fino agli anni Settanta c’era una preponderanza di cause metus (cioè costrizione alle nozze), affiancate da cause di impotenza. Dopo l’introduzione della legge sul divorzio, per 30 anni abbiamo visto una schiacciante maggioranza di cause di simulazione soprattutto per esclusione dell’indissolubilità e, in misura di poco minore, per esclusione della prole (spesso abbinata all’altra). Gli ultimi 20 anni hanno visto anche da noi il sorpasso delle cause di incapacità (1095 n. 2 e 3). Questo considerando globalmente l’Italia. In realtà, un’analisi più attenta delle sentenze dei vari tribunali ecclesiastici mostra, ad esempio, come l’ex Tribunale ecclesiastico regionale Siculo (poi soppresso e diviso in 4 tribunali, NdR) abbia numerose cause di esclusione della sacramentalità, capo di nullità pressoché sconosciuto negli altri tribunali, o il Tribunale ecclesiastico Triveneto abbia, percentualmente, poche cause di incapacità.
Quello che spesso terrorizzano gli utenti sono i costi, può aiutarci a fare chiarezza e capire e far capire quanto effettivamente “si spende”?
Per quanto riguarda i tribunali ecclesiastici inferiori in Italia e premesso quanto dirò dopo in merito al “gratuito patrocinio” per i non abbienti, la situazione, stabilita dalla CEI, è questa:
- le spese processuali, a favore quindi del tribunale, ammontano a 525€ per l’attore e 262€ per il convenuto. A tali somme potranno essere aggiunte quelle, certificate, riguardanti eventuali traduzioni o trasferimenti del giudice;
- agli avvocati, in primo grado, spetta un onorario compreso tra i 1575€ e i 2992€, a cui si aggiungeranno l’IVA, la Cassa avvocati, consulti con altri avvocati o esperti, trasferte, spese vive di istruttoria. Non è indicato espressamente, ma è pacificamente riconosciuto, il 15% forfettario a titolo di spese di studio in similitudine con quanto previsto per gli avvocati civilisti;
- agli avvocati, in secondo grado, spetta un onorario compreso tra i 604€ e i 1207€, con un regime simile al primo grado per quanto riguarda le spettanze e le spese e così ai procuratori, qualora la funzione non sia esercitata dall’avvocato stesso, è riconosciuta la somma di 315€.
al termine del processo, dopo quindi la sentenza definitiva, la parte potrà devolvere al tribunale una somma a sua discrezione come offerta libera.
Chi si trova in difficoltà economiche può essere aiutato nell’affrontare queste spese?
Mi lasci dire con chiarezza: sono secoli che esiste il gratuito patrocinio nei tribunali ecclesiastici di ogni ordine e grado e per tutti i tipi di giudizio. Detto questo, la situazione presso i tribunali ecclesiastici italiani è, dal 1998, piuttosto complessa e variegata, tanto da aver spinto taluni a parlare di “Babele“. Sinteticamente si può dire che non esiste un parametro univoco, c’è chi chiede l’ISEE, chi la denuncia dei redditi, chi una dichiarazione dal parroco. Per questo non esiste una soglia condivisa per definire chi ha diritto al gratuito patrocinio. Le soglie vanno dai 6 ai 12 mila Euro annui mediamente. In alcuni casi nessun parametro preciso. Tuttavia la parte a cui viene concesso il gratuito patrocinio è esentata dalle spese processuali. Anche qui ci sono diversità e taluni tribunali, però, in tali casi chiedono un contributo libero e facoltativo alla parrocchia di appartenenza. Esistono poi formule intermedie come la rateizzazione. Tuttavia, alla parte a cui viene concesso il gratuito, o semigratuito, patrocinio il Presidente del Tribunale nomina un avvocato d’ufficio. In taluni tribunali questa nomina avviene sempre tra i cosiddetti patroni stabili. In altri è concesso preferibilmente il patrono stabile e subordinatamente un patrono di fiducia scelto discrezionalmente tra quelli iscritti nell’albo del tribunale stesso; in altri ancora, infine, l’avvocato d’ufficio è scelto sempre tra coloro che ordinariamente sono avvocati di fiducia. Come si vede qui il problema non è tanto della gratuità del processo, sempre garantito, quanto piuttosto del rapporto fiduciario che dovrebbe intercorrere tra parte e avvocato e che viene ostacolato dal fatto che la scelta del patrono spetta unicamente al Presidente del Tribunale.
Ci sono diverse prassi tuttavia…
Nel caso in cui l’avvocato d’ufficio sia un patrono stabile questi sarà retribuito dal tribunale stesso sulla base del suo contratto (come accade presso il Tribunale del Vicariato di Roma, NdR); nel caso in cui sia un avvocato ordinariamente di fiducia sarà retribuito sulla base della prassi del tribunale stesso, con attenzione ad alcune indicazione che la CEI ha stabilito per le consulenze, ecc. In taluni tribunali vige un sistema di retribuzione forfettaria che varia dai 200€ e ai 1000€ a seconda della regione, in altri si rimborsano solo le spese vive documentate. Ciò premesso, qualche parola va spesa per la figura dei patroni stabili italiani, che risulta un po’ anomala sia nel panorama civilistico, che in quello ecclesiale. Fino al 1998 l’unico Tribunale Ecclesiastico Italiano ad avere un patrono stabile era quello Regionale Piemontese, in cui il patrono stabile si faceva carico della cause di gratuito patrocinio. Gli altri tribunali avevano solo avvocati di fiducia che all’occorrenza, cioè nei casi di gratuito patrocinio, esercitavano su mandato del Tribunale. Dal 1998 quasi tutti i tribunali ecclesiastici si sono dotati di patroni stabili con le funzioni più varie: in alcuni fanno soltanto le consulenze previe, in altri fanno solo le cause di gratuito patrocinio, in altri fanno tutte le cause (degli abbienti e degli indigenti) ma con un sistema che potremmo definire simile a quello del triage degli ospedali (cartellino rosso per gli indigenti, giallo per il semigratuito patrocinio, verde per coloro che hanno ottenuto la rateizzazione delle spese, bianco per gli abbienti), in altri, infine, fanno tutte le cause senza alcun discrimen. È quest’ultimo caso che presenta i problemi maggiori, perché persone che sono oggettivamente nell’impossibilità di scegliersi un patrono di fiducia devono aspettare in coda dietro politici, registi e attori famosi, imprenditori ecc., che ben potrebbero pagare, oltre alle spese processuali, gli onorari degli avvocati.
Nella sua esperienza, sono in aumento, stabili, o in diminuzione il numero di persone che fanno richiesta della nullità matrimoniale?
Per quanto riguarda i tribunali ecclesiastici inferiori non ho ancora dati sufficientemente certi dal resto del mondo. Mi sembra però che sia rimasto costante il numero di cause introdotte negli Stati Uniti e in Spagna, in aumento quelle in America Latina. Per l’Italia il discorso è ancora una volta complesso. Sinteticamente:
- non ci sono dati certi riguardanti il cosiddeto processus brevior e quindi non sappiamo ancora quante cause sono state introdotte con questo nuovo “rito”. Per ora i dati si fermano al “si dice” perché c’è stata anche una certa difficoltà di monitoraggio da parte della Segnatura Apostolica;
- ad oggi è ancora difficile capire quali siano i nuovi tribunali ecclesiastici, quali siano, tra questi, quelli effettivamente funzionanti e quante cause siano stati in essi incardinate;
- a cavallo tra il 2015 e il 2016 alcuni tribunali ecclesiastici regionali hanno bloccato l’incardinazione di nuove cause. I dati, dunque, risultano falsati sia per il 2016 (più bassi) che per il 2017 (più alti)
detto questo, i Vicari giudiziali italiani hanno recentemente indicato che il numero delle cause introdotte è, su base nazionale, sostanzialmente stabile rispetto al 2014. Con alcune eccezioni, in positivo o in negativo, su base regionale.
E quanti riescono ad ottenere la nullità?
Fino al 2004-2005 la Rota Romana è stata considerata un tribunale “severo”, con un’alta percentuale di cause negative. Il dato, però, a mio parere, si ridimensiona se si considera la particolarità di tali cause, che presentano sempre una certa difficoltà in fatto o in diritto e sovente un’alta litigiosità tra le parti. Negli ultimi 10-12 anni la percezione tra gli addetti ai lavori è di una maggiore “apertura”, con un più alto numero di sentenze affermative.
Per quanto riguarda i tribunali ecclesiastici inferiori abbiamo i dati forniti quattro anni fa al Convegno dell’Associazione Canonistica Italiana relativi a tutto il mondo. Si può quindi vedere, ad esempio, che negli Stati Uniti e in Canada le sentenze affermative, tra il 2000 e il 2012 superavano il 98%, mentre in Polonia ci si attestava intorno al 60%.
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In Italia invece?
In Italia, su base nazionale, prima della riforma, avevamo una netta prevalenza di sentenze affermative, la cui percentuale variava molto da regione a regione e ancor più tenendo conto dei capi di nullità accusati.
Ad oggi è ancora troppo presto per vedere se, ed eventualmente come, c’è stato un cambiamento. Tanto più che la percezione degli operatori è sul punto piuttosto discorde. Ci sono quelli, infatti, che ritengono ci sia stato un aumento delle sentenze affermative dovuto, principalmente, alla soppressione dell’obbligo della doppia conforme, e altri che, sulla base della stessa considerazione, ritengono che siano aumentate le sentenze negative.
In cosa è cambiata (se lo è) la sua pratica dopo la “riforma” voluta da Bergoglio?
Dal punto di vista strettamente lavorativo e personale ritengo che i cambiamenti maggiori siano avvenuti nel 1998 con l’introduzione del patrono stabile, che a Roma può patrocinare tutte le cause senza alcun discrimen, e nel 2009 quando sono divenuta avvocato della Curia Romana occupandomi quindi anche delle cause amministrative presso i Dicasteri Romani e il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
Se però vogliamo fare un discorso “più ampio”, non soggettivo, direi che il maggior cambiamento seguito dalla “riforma” voluta dal Santo Padre sia l’accresciuto interesse su un tema, le cause di nullità di matrimonio, che prima era “per addetti ai lavori”. A mio parere la vera novità della Mitis Iudex, infatti, è il ruolo del parroco, che per la prima volta è chiamato espressamente ad avere un ruolo attivo in tale processo. In quest’ottica penso che dovrà essere studiato, con serenità, il rapporto che lega il Motu Proprio all’Amoris Laetitia e in particolare l’influenza che il processo di nullità di matrimonio ha, o può avere, nel discernimento del fedele, così come dovrà essere sviluppata e rinnovata la formazione del clero, dei catechisti e dei nubendi in ordine alla celebrazione di un valido matrimonio e, solo subordinatamente, in prospettiva di una eventuale dichiarazione di nullità matrimoniale.
Proprio in questa linea si sono mossi il Coetus Advocatorum e il Tribunale del Vicariato di Roma nelle conferenze di quest’anno e in quelle previste per l’anno prossimo.
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E cosa ne pensa?
Vorrei fare una premessa: le leggi positive si possono criticare e le leggi divine si devono spiegare. Questo era l’insegnamento del mio maestro don Marcuzzi e mai come in questo momento tali parole mi sembrano attuali.
Ciò premesso, vorrei fare due discorsi distinti: uno più prosaico ed uno più tecnico.
Prego…
Come fedele ho l’impressione – e sottolineo impressione – che la Mitis Iudex sia come una delle tipiche riforme della scuola italiana: è partita dalla fine. Perché è certo che ci sia un problema di quanti, divorziati risposati, vogliono fare chiarezza sul loro status, ma questo viene “a valle” di un fallimento. Un fallimento matrimoniale che si deve scongiurare. Cosa si fa per evitare che il matrimonio fallisca? Cosa si fa per evitare che un matrimonio sia nullo? In questo senso avrei preferito che un documento come l’Amoris Laetitia venisse prima, e non dopo, la riforma del processo matrimoniale canonico.
Come giurista ritengo che il Motu Proprio abbia bisogno di un attento studio, di una prassi ponderata e ben guidata dai Tribunali Apostolici, Rota Romana e Segnatura Apostolica. Se dovessi sintetizzare direi che il maggiore difetto della Mitis Iudex sia stata la velocità con la quale è stata formulata, promulgata e resa esecutiva. Un maggior tempo di studio, con l’ausilio di più persone provenienti da diversi “mondi”, non solo geografici, ma anche culturali (conferenze episcopali, vescovi, vicari giudiziali, giudici, avvocati, professori, responsabili della pastorale familiare ecc.), nonché un periodo di transizione, avrebbe permesso di evitare il caos dei primi mesi, che hanno dato vita ad interventi non sempre concordi dell’Autorità Ecclesiastica, e i numerosi problemi via via sollevati dalla sua applicazione, che sono culminati, ma non esauriti, nella lettera del 18 febbraio 2017 della Segreteria di Stato su mandato del Santo Padre. Al tempo stesso riconosco che in essa ci sono elementi di cui sinceramente dobbiamo ringraziare il Santo Padre per questa sua riforma, che ha posto l’accento, con forza e chiarezza, in primo luogo sulla necessaria collaborazione , proprio la sottolineatura non antitetica, bensì collaborativa, tra pastorale e giustizia, perché così come non c’è Giustizia senza Misericordia, non c’è neanche Misericordia senza Verità.
Qui per ulteriori approfondimenti a cura dell’avvocato Gullo