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Risolto un mistero vaticano legato a una vecchia foto che immortala 4 suore

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Daniel R. Esparza - pubblicato il 13/07/17
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Per più di un decennio catalogarono circa mezzo milione di stelleStando a quanto riferito dal quotidiano spagnolo ABC, praticamente per caso si è risolto un mistero che durava da molto tempo: l’identità delle quattro donne che hanno lavorato per oltre un decennio alla catalogazione di quasi mezzo milione di stelle nel contesto di un progetto astronomico internazionale.

A compiere la scoperta è stato il custode dell’archivio dell’Osservatorio Astronomico Vaticano, l’astronomo 93enne Sabino Maffeo.

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Sabino Maffei all’interno dell’Osservatorio Vaticano

Gran parte del merito è da attribuire tuttavia alla reporter statunitense Carol Glatz, del Catholic News Service, che ha ricostruito la storia di queste quattro religiose, di cui finora era disponibile solo una fotografia in bianco e nero in cui due di loro guardano attraverso un microscopio (sì, non un telescopio) mentre un’altra prende nota.

La vicenda è iniziata alla fine del XIX secolo, nel 1887, alla vigilia dell’Esposizione Internazionale di Parigi, quando un gruppo di astronomi di tutto il mondo decise di distribuirsi porzioni di cielo notturno per elaborare una mappa celeste rigorosa basata su fotografie.

Ovviamente la realizzazione di una mappa del genere richiedeva la catalogazione visiva delle stelle di ogni parte del cielo e la determinazione dell’esatta posizione di ciascuna di esse.

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Il telescopio vaticano

In totale, 21 osservatori astronomici di tutto il mondo si assunsero il compito, aspettandosi inizialmente che avrebbe richiesto tra i 10 e i 15 anni. In realtà c’è voluto molto più tempo.

Un ecclesiastico italiano riuscì a far partecipare al progetto anche la Santa Sede. A questo scopo, Papa Leone XIII ristabilì l’Osservatorio Vaticano nel 1891, e questa istituzione (chiamata in latino “Specola Vaticana”) costruì un grande telescopio, che venne installato in una cupola rotante di quasi 7,5 metri di diamestro all’interno della Torre dei Venti, a pochi minuti dalla basilica di San Pietro.

Qualche anno dopo, un nuovo direttore, il sacerdote gesuita John Hagen, si fece carico dell’Osservatorio Vaticano. Consapevole di quanto fosse esigente il compito che doveva affrontare, visitò altri osservatori per vedere come si organizzavano al riguardo.

Trovò una soluzione ai suoi problemi all’Osservatorio di Greenwich: le cosiddette lady computers, donne scelte per la loro precisione nel calcolare le coordinate.

Visto che però non era ancora il momento in cui potesse essere normale che una laica lavorasse in Vaticano, pensò che la soluzione più appropriata fosse chiedere aiuto a una congregazione di religiose.

La giornalista Carol Glatz narra come il sacerdote abbia quindi contattato il convento più vicino all’Osservatorio (le Suore di Maria Bambina, ancora oggi la comunità di religiose che vive più vicino al Vaticano) per chiederne la collaborazione, e in seguito venne inviata una lettera ufficiale alla Superiora dall’arcivescovo Pietro Maffi di Pisa, a cui Papa Pio X aveva chiesto di supervisionare il personale dell’Osservatorio.

Secondo la ricostruzione della storia da parte dell’archivista Sabino Maffeo, la congregazione non fu entusiasta per l’idea di “sprecare” due suore in qualcosa che non aveva nulla a che fare con le opere di carità, ma la Superiora acconsentì alla richiesta perché sentiva che dietro ogni richiesta che riceveva il convento c’era la mano di Dio.

Nel 1910, quindi, due religiose iniziarono a lavorare all’Osservatorio Vaticano, e in seguito altre due si unirono alle prime. Si chiamavano Emilia Ponzoni, Regina Colombo, Concetta Finardi e Luigia Panceri.

Sabino Maffeo ne ha scoperti i nomi per caso, riorganizzando vecchi documenti negli archivi.

Lavorarono per undici anni, fino al 1921, e in base alle informazioni raccolte dalla Glatz da documenti conservati nell’archivio analizzarono la luminosità e la posizione di 481.215 stelle.

Il frutto del loro lavoro, un catalogo in 10 volumi, menziona la loro “rapidità e diligenza” e il loro “zelo, che superava ogni lode, nei confronti di un lavoro così estraneo alla loro missione”.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]