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​L’isola dei bambini

Isola Utopia Tommaso Moro

Public Domain

L'Osservatore Romano - pubblicato il 10/07/17

Quando l’infanzia è sollecitata a riplasmare il mondo costruito dagli adulti

di Giovanni Cerro

È possibile immaginare un mondo diverso da quello in cui viviamo? Se ci trovassimo su un’isola disabitata, in un luogo imprecisato nel bel mezzo dell’oceano, come ci comporteremmo? Quali bisogni, abitudini, regole della convivenza dovremmo ripensare? È questo l’esperimento mentale che Luca Mori, ricercatore dell’università di Pisa, ha sottoposto a gruppi di bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni, nel corso di un progetto che ha coinvolto le scuole elementari di numerose regioni d’Italia. Le loro proposte sono ora raccolte e discusse nel volume Utopie di bambini. Il mondo rifatto dall’infanzia, che inaugura la collana “Le Tartarughe. Filosofie in gioco con i bambini” della casa editrice ETS di Pisa (pagine 163, euro 14). Il libro permette di avere un’idea più precisa non solo della capacità dei bambini di dare forma a contesti alternativi rispetto a quelli esistenti e di valutare concretamente vantaggi e svantaggi di ogni scelta, ma anche della loro visione del mondo costruito dagli adulti, in cui sembra troppo difficile modificare abitudini radicate e rinunciare a modi di pensare ormai consolidati.

Facendo propria una definizione di Ludwig Wittgenstein, secondo il quale un genuino problema filosofico si presenta sempre come un rompicapo o un enigma, Luca Mori ha accompagnato i bambini a interrogarsi su questioni rilevanti per la vita in comune (che cosa sono la giustizia e l’uguaglianza, la verità e la felicità, ma anche il rispetto dell’altro e dell’ambiente), ripensando in modo originale un tema che ha illustri antecedenti. Da una parte, il secondo libro della Repubblica di Platone, laddove Socrate invita i suoi interlocutori a immaginare la fondazione una nuova città più giusta e più felice rispetto a quelle reali, cercando di tenere insieme i bisogni effettivi con le aspirazioni ideali. Dall’altra parte, l’isola di Utopia di cui parla Tommaso Moro nell’omonima opera del 1516, in cui si critica l’Inghilterra del tempo attraverso la descrizione di una società in cui regnano la comunanza dei beni e la tolleranza verso i diversi culti religiosi (gli atei, invece, sono esclusi dalla vita politica). I capitoli in cui è organizzato il libro di Mori seguono lo sviluppo graduale del suo percorso di riflessione con i bambini. Dapprima ci si interroga su come far fronte a esigenze pratiche, come il nutrirsi o cercare un riparo. L’idea di portare sull’isola cibi già confezionati o di costruire supermercati dove i prodotti possono essere sempre a disposizione cede gradualmente il posto alla necessità di ricorrere a forme rudimentali di agricoltura, pesca o allevamento, anche se non tutti sono d’accordo sul trattamento da riservare agli animali. Anche rispetto alle abitazioni le posizioni dei diversi gruppi di bambini non sono univoche: si oscilla tra la proposta di edificare un unico grande alloggio in cui vivere tutti insieme e quella di prevedere singole strutture, sparse sulla superficie dell’isola o riunite a formare un villaggio. Può anche capitare che, chiedendosi quali siano i materiali da costruzione migliori o come si possa produrre energia pulita, ci si accorga di non saperne abbastanza per prendere una decisione e quindi si cerchi di approfondire sotto la spinta della curiosità. È un’ulteriore conferma dell’importanza della relazione tra apprendimento e divertimento, che sta alla base del metodo della filosofia con i bambini. Si passa quindi ad analizzare problemi ancora più complessi, come le leggi da adottare per garantire l’ordine, le punizioni per i trasgressori o la forma di governo migliore: è preferibile, ad esempio, una democrazia in cui si decide «tutti insieme» in un’assemblea o una monarchia in cui comanda «un unico capo»? O, ancora, avere più capi a rotazione? Da questo tema centrale della filosofia politica dell’occidente, discendono inevitabilmente considerazioni sull’uguaglianza tra gli uomini, sul principio della giustizia sociale e sul senso del limite.

Particolarmente sentito è il problema della sicurezza e del rapporto con eventuali “stranieri” che potrebbero raggiungere l’isola. Qui le risposte cambiano sia in base all’età sia in relazione al contesto geografico e alla provenienza dei bambini. Di fronte alla notizia dell’imminente arrivo di una nave di sconosciuti, un gruppo di sette anni di Mazara del Vallo reagisce compatto proponendo di dare ospitalità, di offrire loro del cibo e un tetto, insomma di «essere educati» ed «essere amici». La stessa emergenza, sottoposta a gruppi appena più grandi, genera risposte che pongono l’accento sulla necessità di difendersi, come «costruire un muro intorno all’isola», o di attaccare, come «fabbricare delle catapulte». Stupisce la generale ritrosia nei confronti della presenza di adulti sull’isola, avvertiti come elementi potenzialmente destabilizzanti perché non saprebbero rinunciare alle loro «dipendenze» da computer e telefoni cellulari e perché tenderebbero a imporre le loro idee senza neppure ascoltare le opinioni dei figli. Non mancano tuttavia voci fuori dal coro, che insistono sull’impossibilità di fare a meno dei genitori e del loro affetto: sono loro che «ci aiutano con i problemi» e «senza di loro ci possiamo sentire soli». Ingegnosa è la soluzione escogitata da alcuni bambini di Pisa, secondo i quali andrebbe progettato un tunnel sott’acqua che collega l’isola alle abitazioni dei genitori, a condizione però che siano soltanto i più piccoli ad avere accesso alla struttura e a decidere spontaneamente quando attraversarla.

Dal volume emerge dunque un ritratto sfaccettato e vivace, caratterizzato dall’alternanza di fasi di avanzamento e momenti di stallo, dovuti il più delle volte alla difficoltà nel formulare una proposta fuori dagli scenari consueti: «Voi pensate alle cose facili, ma bisogna fare le cose difficili», nota infatti un bambino rilevando come la desiderabilità e la realizzabilità di un progetto non sempre coincidano. Si scopre allora che non esistono risposte giuste o sbagliate, tutt’al più opinioni che a prima vista sembravano ovvie, ma che a uno sguardo più approfondito si rivelano lacunose e costringono il bambino ad esercitare il dubbio e ad ampliare il proprio sguardo, accettando o criticando i suggerimenti dei compagni o del filosofo. È così che, creando e imitando, i bambini possono trasformarsi in costruttori di «mondi intermedi», come mette bene in evidenza nella prefazione al libro di Mori lo storico della filosofia Alfonso Maurizio Iacono, pioniere della filosofia con i bambini in Italia. Ecco allora che l’esercizio del pensiero critico diventa un potenziale strumento di emancipazione dai luoghi comuni e dagli stereotipi diffusi nella società, attraverso il quale imparare a guardare in modo nuovo ciò che ci circonda.

QUI L’ORIGINALE

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