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I membri di una coppia omosessuale possono accedere ai sacramenti?

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Amy Walters / Shutterstock

Gelsomino Del Guercio - Aleteia Italia - pubblicato il 06/07/17

Il vescovo di una diocesi americane impartisce regole rigide per comunione e funerali. Ma non è una chiusura

Niente comunione e funerali per i “coniugi” omosessuali. Monsignor Thomas Paprocki, Vescovo di Springfield, nell’Illinois ha dato precise indicazioni pastorali in merito alle persone che hanno contratto un “matrimonio” omosessuale, facoltà permessa negli Usa (www.npr.org, 26 giugno).

Il Vescovo di Springfield ha evidenziato la sua responsabilità di guida «del popolo di Dio affidatogli, con carità però senza compromettere la Verità». Per questo ha precisato come la linea diocesana circa i “matrimoni” omosessuali sia quella prevista da un’applicazione attenta e rigorosa del Codice di Diritto Canonico, che lui ben conosce, avendo conseguito in materia laurea e dottorato presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, oltre ad una laurea in Diritto civile presso la DePaul University e vari titoli in ambito teologico (www.corrispondenzaromana.it, 26 giugno).

LE PAROLE DEL VESCOVO

«Stante la natura oggettivamente immorale della relazione intrinseca ai cosiddetti ‘matrimoni’ omosessuali, chi si trovi in tale stato non si presenti per ricevere la Santa Comunione, né vi venga ammesso». Il vescovo cita il can. 915 del Codice di Diritto Canonico, che prevede, infatti, che venga escluso dall’Eucarestia chi ostinatamente perseveri «in peccato grave manifesto». E Il can. 916 prescrive a quanti ne siano consapevoli di non ricevere il «Corpo del Signore, senza avere premesso la confessione sacramentale».

PRATICHE NON AMMESSE

Costoro non possono esser padrini a Battesimi e Cresime; non possono servire alla Messa, né esser lettori o ministri straordinari dell’Eucarestia. Nessuna struttura diocesana può accogliere “nozze” gay, né i ricevimenti ad esse correlati; nessun sacerdote o dipendente della Curia può agevolare tali “celebrazioni”, senza incorrere nel «giusto castigo».

MESSAGGIO AI SACERDOTI

Monsignor Paprocki ha invitato i propri sacerdoti ad incontrare privatamente le persone, che vivano tale condizione, «chiamandole alla conversione»: potranno ricevere la Santa Comunione soltanto dopo aver «restaurato la comunione con la Chiesa attraverso il Sacramento della Riconciliazione».




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LE REAZIONI

Il ragionamento del vescovo è pienamente corretto o eccessivo? Le associazioni cattolici LGBT, tra cui DignityUSA sono insorte. «Il suo documento è estremamente doloroso e malefico», ha dichiarato in una dichiarazione il presidente del gruppo, Christopher Pett.

«Il decreto chiarisce perché tante persone LGBT e le loro famiglie si sentono inopportuni nella Chiesa cattolica e perché tanti la lasciano», ha scritto Pett.

COME “LEGGERE” IL CANONE

Paprocki, riporta la Nuova Bussola Quotidiano (4 luglio), ha solo applicato al caso dei “coniugi” omosessuali quanto disciplinato dal canone 915 del Codice: «Non siano ammessi alla sacra comunione […] gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto». Le condotte omosessuali rappresentano un peccato grave, il “matrimonio” omosessuale indica perseveranza nel rimanere in questo stato peccaminoso.




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LA MISERICORDIA

Ma il canone successivo non chiude le porte della misericordia al peccatore e permette l’accesso alla confessione: «Colui che è consapevole di essere in peccato grave, non celebri la Messa né comunichi al Corpo del Signore senza avere premesso la confessione sacramentale».

Ovviamente la confessione perché sia valida deve soddisfare i criteri inerenti alla contrizione (o almeno all’attrizione) per il male commesso e al serio proposito di emendarsi, dunque di interrompere la convivenza con l’altro partner e vivere castamente.

IL PENTIMENTO

Un peccato impuro, si legge su www.amicidomenicani.it (2011) compiuto con una persona dello stesso sesso non è ancora un motivo sufficiente per negare l’eucaristia.

Se chi ha commesso tale peccato se ne pente e se ne confessa, viene ammessa alla Comunione allo stesso modo di chi ha compiuto adulterio, se ne è pentito e confessato.

Ugualmente non si dà l’assoluzione, e conseguentemente neanche la Santa Comunione, a chi convive con un omosessuale more uxorio, e cioè con pratica sessuale. Del resto si fa la stessa cosa anche con tutti gli altri conviventi more uxorio.

Pertanto non vi è alcuna preclusione ai sacramenti perché una persona è omosessuale. La preclusione si attua solo quando si instaura un tipo di condotta che è alieno dal vangelo, nello stesso modo che avviene in tutti gli altri ambiti della morale.


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FUNERALI

Anche sui funerali di uno dei componenti di una unione omosessuali, il vescovo ha fatto riferimento a norme del Canone.

Se il “coniuge” omosessuale fosse in pericolo di morte, continua la nota di Paprocki, può comunicarsi previo pentimento di tutti i propri peccati, compresi quelli legati alla pratica omosessuale. Se ciò non avvenisse la comunione deve essere vietata e costoro «devono essere privati dei riti funebri ecclesiastici».

Ed infatti il can. 1184 § 1, n. 3 precisa che «Se prima della morte non diedero alcun segno di pentimento, devono essere privati delle esequie ecclesiastiche […] gli altri peccatori manifesti, ai quali non è possibile concedere le esequie senza pubblico scandalo dei fedeli».

In caso di dubbio, conclude il Canone, «si consulti l’Ordinario e attenersi alle sue disposizioni».

LE REGOLE PER I FIGLI

Circa la ricezione dei Sacramenti da parte di bambini, i cui padri o tutori abbiano una relazione omosessuale, è da prevedersi il Battesimo nei casi in cui vi sia una «speranza ben fondata che vengano educati alla fede cattolica»: compito dei pastori è «usare la dovuta discrezione nel capire la convenienza o meno di una celebrazione pubblica»; Prima Comunione e Cresima potranno esser loro impartiti, solo quando siano «formati e disposti in modo adeguato».




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Non va negata a questi piccoli l’ammissione alle scuole cattoliche o ai programmi di catechesi, tuttavia verrà impartito loro, «anche in materia di matrimonio e sessualità, quanto previsto dall’insegnamento della Chiesa»: i loro padri o tutori devono esserne consapevoli, all’atto dell’iscrizione del figlio

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