Perché è fisso, di pietra e in un unico blocco?
La parola “altare” significa in ebraico “luogo di mattanza” (Es 27, 1). In greco significa “luogo di sacrificio”. In latino la parola “altare” deriva da “altus”, che significa “piattaforma elevata”. Per questo fin dall’antichità un altare è un luogo elevato o una pietra consacrata (in latino ara) che si usava per la celebrazione dei riti religiosi rivolti alla divinità, come offerte e sacrifici (immolazione di vittime).
Il primo altare ebraico che troviamo nella storia biblica venne costruito da Noè dopo essere uscito dall’arca (Gn 8, 20). La Bibbia ci dice anche che i primi uomini fecero sugli altari sacrifici di animali e offerte di frutti a Dio Creatore – è il caso di Caino e Abele.
In seguito vennero costruiti altari da Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè e Giosuè, la maggior parte dei quali a fini sacrificali e alcuni a mo’ di memoriale.
Successivamente, con l’edificazione del tabernacolo, gli altari erano costruiti principalmente con due propositi: bruciare incenso e offrire sacrifici. Una volta che si accendeva il fuoco dell’altare doveva rimanere acceso (Lev 6, 13).
Col passare del tempo, come si vede nello stesso Libro del Levitico, il popolo di Israele offriva a Dio sacrifici di agnelli e di altri animali in riconoscimento della sua divinità e in modo espiatorio.
I sacrifici dell’Antica Legge erano una prefigurazione del sacrificio di Gesù sull’altare della croce, ma in sé erano imperfetti. Per questo l’autore della Lettera agli Ebrei dice: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”” (Eb 10, 4-7).
Nella nuova ed eterna alleanza, Dio, facendosi uomo, ha preso un corpo mortale, e come uomo ha potuto soffrire e come Dio ha potuto dare alla propria sofferenza un valore infinito, capace di soddisfare o pagare generosamente qualsiasi debito contratto dal peccato dell’essere umano.
Gesù è capace di riconciliare definitivamente l’uomo con Dio offrendosi in sacrificio, per questo è il sommo ed eterno sacerdote. Gesù Cristo, però, oltre ad essere sacerdote è anche la vittima e l’altare (Messale Romano, Prefazio pasquale V).
Gesù è il sacerdote “perché ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli”, dice Isaia del servo sofferente (53, 12).