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L’arcivescovo Kurtz e la definizione di “discepolo missionario”

WEB – Archbishop Joseph Edward Kurtz  © Antoine Mekary – ALETEIA DSC8983

© Antoine Mekary - ALETEIA

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Padre Aquinas Guilbeau, OP - pubblicato il 04/07/17

A #CatholicConvo, l'ex presidente della Conferenza Episcopale statunitense parla delle origini di questo incontro moltitudinario di leader cattolici

Più di 100 vescovi hanno partecipato questo weekend alla Convocazione dei Leader Cattolici a Orlando (Florida, Stati Uniti). Uno di loro è l’arcivescovo Joseph Kurtz di Louisville. Come presidente della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti dal 2013 al 2016, l’arcivescovo Kurtz ha avuto un ruolo nella programmazione dell’evento. Nel primo giorno della convocazione, il presule si è ritagliato un po’ di tempo per parlare con Aleteia.

Quando i vescovi hanno iniziato a progettare questa convocazione, quali obiettivi si prefiggevano?

Dall’inizio della pianificazione gli obiettivi si sono evoluti. Il primo era esplorare come noi credenti, come evangelizzatori, dovremmo comunicare il messaggio evangelico nel mondo moderno. Come scegliamo il nostro linguaggio di modo che venga ascoltato, compreso e ricevuto?

Poi è arrivato Papa Francesco. Con la Evangelii Gaudium abbiamo pensato: “Wow! È l’occasione perfetta per parlare dei discepoli missionari”. E allora l’obiettivo si è spostato dall’esplorare i vari mezzi di comunicazione a impegnare e a dare energia ai discepoli missionari. E il nostro primo obiettivo siamo noi come leader parrocchiali e diocesani. Tutti noi portiamo passioni diverse nel nostro lavoro; abbiamo tutti doni e ministeri diversi. Ma dobbiamo essere uniti nel discepolato e nel predicare il Vangelo.

Questa conferenza vuole quindi non solo ispirare e incoraggiare i discepoli missionari, ma anche sprigionare un po’ di creatività al riguardo. L’azione essenziale della conferenza si dispiegherà dunque l’ultimo giorno, quando i diversi gruppi diocesani si riuniranno per condividere e raccogliere le idee che porteranno a casa con sé.

Come spiegherebbe la cosa a chi è perplesso riguardo alla definizione “discepolo missionario”?

La definizione deriva dal documento di Aparecida, pubblicato nel 2007 dalla Conferenza dei Vescovi dell’America Latina. Il documento ha acquisito un’importanza mondiale nel 2013 dopo l’elezione di Papa Francesco. Come cardinal Bergoglio, il Papa ha giocato un ruolo importante nella stesura del testo.

Ad Aparecida [Brasile], i vescovi dell’America Centrale e Meridionale hanno affermato che in primo luogo i credenti devono essere discepoli che seguono ogni giorno il Signore. Come discepoli, i credenti devono approfondire la propria esperienza del Signore Gesù. Devono approfondire la propria comprensione della fede. Devono approfondire la comunità degli uni con gli altri. E poi, come discepoli, devono testimoniare, che è l’aspetto missionario della vita del credente. Essere un discepolo missionario, quindi, è essere un credente che riunisce questi due aspetti – sperimentare Cristo e testimoniarLo.

Per cercare degli esempi di discepolato missionario basta guardare gli apostoli. Sono stati ravvivati dalla resurrezione di Gesù, e ne hanno testimoniato il potere.

Quali sono alcune delle sfide che ritiene impediscano ai cristiani di oggi di vivere come discepoli missionari?

Una delle sfide è quello che il cardinale Wuerl chiama lo “tsunami del secolarismo” – la nozione che la questione della fede sia irrilevante per la vita, che si possa andare avanti senza riconoscere Dio. Viviamo nell’epoca allo stesso tempo migliore e peggiore. Le persone hanno molte opportunità, ma vivono nell’illusione di essere libere di fare ciò che vogliono. Il frutto di vivere in questo modo, però, non è la libertà, ma l’infelicità. Constatiamo ovunque nelle persone la sete e l’inquietudine di cui parlava Sant’Agostino. È una sfida che molti non considerano abbastanza.

Un’altra sfida è l’opposizione che molti vedono tra fede e scienza. Ad esempio, proprio stamattina stavo ascoltando una conferenza TED sull’universo, ed era molto interessante. Chiunque l’ascoltasse, tuttavia, poteva concludere che tutta la realtà sia riconducibile alle leggi della natura, o che le leggi della natura posseggano i poteri creativi di Dio. Anche in questo caso vediamo accantonata quasi senza pensarci la nozione che la fede possa essere necessaria nella vita.

Quando considera il panorama americano, quali segni di speranza vede riguardo alla formazione di discepoli missionari?

In ogni epoca il senso di vuoto della vita senza Dio è un segno di speranza. Sembra un sintomo di un problema maggiore, ma di fatto è un segno di speranza. Chi sperimenta questo vuoto, soprattutto i giovani, è chi riceve davvero una grande energia da un’esperienza di Gesù. Sono le persone che oggi diventano apostoli.

Vedo un segnale di speranza anche nel desiderio della gente di servire. C’è un desiderio reale di esercitare l’amore sacrificale – di servire gli altri e di aiutarli.

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Per ulteriori informazioni sull’evento si può visitare il suo sito web.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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