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La castità e il doppio standard tra i cristiani

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David Mills - pubblicato il 30/06/17

Gli insegnamenti di Cristo sono difficili per tutti, e la maggior parte di noi - prima o poi - cade; ma davvero alcuni fallimenti sono peggiori di altri?

C’erano uomini di mezz’età, ovviamente più anziani e di successo; la maggior parte delle loro mogli era notevolmente più giovane. Pensavo (scioccamente) che gli uomini si fossero sposati tardi. Non si erano sposati tardi. Avevano lasciato le mogli e i figli della loro giovinezza per delle donne più giovani, nello stesso modo in cui si erano sbarazzati della Honda Accord dei tempi dell’università per prendere una Jaguar fiammante. Così facevano gli uomini del loro mondo.

Le tentazioni reali

Mi trovavo in una cena di comunità a cui ero stato invitato, insieme a dei responsabili laici di una parrocchia conservatrice. La parrocchia era conosciuta per essere un bastione di ortodossia in una denominazione liberale, fama quasi esclusivamente dovuta al rifiuto dei tentativi – da parte della denominazione stessa – di regolarizzare gli atti omosessuali tra adulti impegnati.

Ma sulle tentazioni reali che affrontava la grande maggioranza degli americani, la parrocchia non diceva nulla. Le persone che invocavano Levitico 18:22 e Romani 1:27 per condannare in modo assoluto l’omosessualità, relativizzavano la frase “io detesto il ripudio” detta da Dio in Malachia 2:16 e l’insegnamento di Gesù sul matrimonio in Matteo 19:1-12. Se i primi versetti non permettevano alcuna eccezione, i secondi erano degli “ideali” che molti, in un mondo caduto, non possono raggiungere. Queste persone dovevano dunque essere trattati pastoralmente e ricevere una seconda (e talvolta una terza) possibilità.

C’erano persone davvero pie – persone buone, persone che conoscevo e ammiravo – che oscillavano tra due modi radicalmente diversi di leggere la Scrittura. Cercavano di biasimare un gruppo e giustificarne un altro. Non si rendevano nemmeno conto di cosa stessero facendo. Il loro doppio standard di convenienza mi aveva reso disilluso.

Ma devo ammettere che allora ero più giovane e rigido; non rischiavo alcun doppio standard, perché ero ben lieto di essere duro con entrambe le parti. Ma preso dalle questioni politiche della mia denominazione, scrivevo molto contro l’omosessualità, ben poco riguardo ai risposati e niente sui single e su chi (per usare una parola antica) viveva nella fornicazione. In altre parole, come quasi ogni altro conservatore attivo, non scrivevo di castità, se non come arma.




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Solo più tardi ho iniziato a scrivere che se i conservatori avessero ignorato l’insegnamento biblico sul matrimonio, avrebbero dovuto lasciar perdere i gay. Sono contento di averlo detto, ma mi vergogno di ciò che precedentemente avevo detto fin troppe volte.

Una nostra versione

Sarebbe bello sentirmi compiaciuto dei fallimenti protestanti, soprattutto perché li conosco dall’interno, ma noi ne abbiamo una nostra versione. Un “doppio standard tossico”, come lo chiama Melinda Selyms.

“Ad eccezione di una piccola minoranza di comunità ultracattoliche”, scrive, “ci si può risposare, sterilizzare e/o vivere insieme a una persona del sesso opposto e nessuno batterà ciglio. Nessuno dirà nulla. Nessuno farà commenti imbarazzanti. Nessuno si chiederà se sia opportuno il coinvolgimento della persona nel ministero per i giovani. E probabilmente non si sentirà dire niente a riguardo neanche dal pulpito”. Altrimenti si perderebbero troppe persone importanti.

Melinda osserva che l’insegnamento della Chiesa “è tremendamente esigente per chiunque”. Sono in pochi a seguirlo sempre. “Ed è per questo”, continua, “che praticamente tutti affrontano le richieste della morale sessuale cattolica ignorandole oppure usando il metodo del “frequente ricorso al confessionale” per essere fedeli all’insegnamento”.

Ma se si è gay, anche se casti, “i metodi tradizionali con cui i cattolici gestiscono il desiderio sessuale non sono più sufficienti: bisogna monitorare costantemente qualsiasi traccia di omosessualità, e crocifiggere l’Eros omoerotico diventa l’unico scopo nella vita. Altrimenti si è eretici”. Non pensiamo nemmeno lontanamente alle pratiche sessuali dei cattolici etero, forse per prudenza, ma tendiamo a pensare fin troppo a quelle dei cattolici gay, che forse reputiamo colpevoli fino a dimostrazione di innocenza.

La spiegazione più divertente rimanda all’idea di Rene Girard sul capro espiatorio. Una spiegazione più semplice rivela che non ci piace essere costantemente gentili e cerchiamo qualcuno che siamo autorizzati a condannare. Non amiamo essere privati del piacere di essere giustamente indignati, di cavalcare il cavallo bianco e abbattere il nemico. Conosco la sensazione euforica che si prova quando si combatte per il bene. I gay sono gli “altri” su cui a molti cristiani piace accanirsi.

Ma le persone soffrono

Come molti lettori, sono abbastanza grande da aver visto quanto soffrono alcune persone nel proprio matrimonio, e quanto poco si sa di ciò che accade in alcune famiglie. C’è il marito che si fa vedere recitare il Rosario dopo la Messa quotidiana ma che non c’è mai per la sua famiglia, o che abusa della moglie. C’è la moglie che è la gentilezza fatta persona, un angelo di misericordia, ma che si concede una serie di scappatelle. C’è l’uomo o la donna che abbandona il matrimonio, con l’approvazione sacerdotale, per proteggere i figli e che riceve la condanna di ognuno. Per non parlare di coloro che continuano a peccare e risolvono la questione ricorrendo con frequenza al confessionale.

Quando veniamo a sapere di come stanno veramente le cose, spesso siamo mossi a compassione per queste persone. È facile farlo, specialmente quando invecchiamo e conosciamo meglio i nostri fallimenti. Quando, come dice San Paolo, facciamo quello che non dovremmo fare e non facciamo quello che dovremmo. Potresti vivere la castità con facilità, ma avere difficoltà nella carità, e simpatizzare con qualcuno che trova facile la carità ma difficile la castità.

Eppure troppi cristiani fanno un’eccezione per i nostri fratelli e sorelle omosessuali. Dovremmo finirla.

 [Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]

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