Che furono dodici lo sanno tutti, anche se questo non è poi così vero, e da più punti di vista. Pochissimi conoscono i loro nomi, e ancora di meno sono quelli che sanno collegare i nomi a delle storie. Eppure sappiamo che morirono tutti di morte violenta. E forse neanche questo è vero.
Quando si parla di “apostoli” s’intende un gruppo di persone il cui elenco è chiaro e limpido come la formazione di una squadra di calcio (salvo che questa è da 12 e non da 11). D’altro canto gli stessi testi del Nuovo Testamento lasciano intendere che la realtà fu più sfumata di così:
- anzitutto uno dei dodici diserta la squadra prima della “grande missione”, anche se tutto lascia immaginare che avesse già partecipato a una o più “piccole missioni”;
- i compagni di squadra non ritengono di dover proseguire in 11, così – «lo Spirito Santo e noi…» – eleggono un nuovo dodicesimo;
- l’autore dell’Apocalisse (4,12-14) legge questo numero come una prosecuzione della simbolica aritmologica delle tribù dell’antico Israele – il che significa che, come si legge nella Lettera ai Romani (10,6), la Chiesa si candida a essere “il vero Israele”;
- a dispetto di tutta questa mistica della “dodecade” (che anche per gli gnostici ebbe la sua importanza), testi deuteropaolini indicano che in età subapostolica si attribuiva il titolo di “apostolo” anche a uomini che non facevano parte della lista dei Dodici (Ef 4, 11);
Paolo stesso si qualifica come “apostolo”, pur non appartenendo ai Dodici (e neanche ai discepoli…) (1Cor 15,9), ed entra in polemica con alcuni che gli vengono contrapposti come “più autorevoli di lui” (2Cor 11,5).
In aggiunta a questo (e anche sul Nuovo Testamento il discorso sarebbe da sfumare ulteriormente), opere di età subapostolica come la Didaché confermano l’impressione che quella di “apostolo” fosse rapidamente diventata una carica diffusa in un gruppo indefinito ma certo più ampio di una dozzina di persone. La prassi liturgica della Chiesa conferma senza soluzione di continuità questa impressione: ancora oggi, ad esempio Barnaba viene celebrato con testi eucologici tratti dal comune degli apostoli. Sembra quindi ragionevole pensare che siano stati chiamati “apostoli” ancora (e soltanto) quelli che dagli apostoli erano stati a loro volta inviati. Ma non tutti, ad esempio Policarpo di Smirne racconta per tutta la vita di aver conosciuto Giovanni da ragazzino, ma mai si qualifica (né viene qualificato) come apostolo: forse anche la componente itinerante era un requisito dell’apostolato subapostolico – chi “stava e pasceva” veniva generalmente (ma non esclusivamente) detto “vescovo”.
Ciononostante, proprio in età apostolica e subapostolica venivano redatti i vangeli sinottici, che concordano nell’insistere sul numero di 12: Marco e Luca, per esempio, non insistono sul nome di “apostoli” (che utilizzano ma in separata sede), però in sua vece usano oculatamente il verbo “apostèllo” [“io invio”], da cui “apostolo” [“inviato”] viene. Ad ogni modo, per non addentrarci troppo in problemi che certamente non risolveremo in questa sede, rifacciamoci alla versione di Matteo, che si presenta come la più chiara e strutturata delle tre – e per questo è per noi la più utile.
Convocati i suoi dodici discepoli, diede loro autorità sugli spiriti impuri, perché lì scacciassero e guarissero ogni malattia e ogni infermità.
I nomi dei dodici apostoli sono questi:Primo: Simone, detto Pietro,
e Andrea, suo fratello;
Giacomo, figlio di Zebedeo,
e Giovanni, suo fratello;
Filippo e Bartolomeo;
Tommaso e Matteo il pubblicano;
Giacomo, figlio di Alfeo,
e Taddeo;
Simone, il cananeo, e Giuda, l’Iscariota,
che poi lo avrebbe tradito.Mt 10,1-4
Matteo li riporta come sei coppie da due, ma non fa cenno a particolari abbinamenti; Marco (che probabilmente scrive prima) e Luca, viceversa, non riportano elenchi ma precisano che Gesù li inviava a due a due (come anche fece col più vasto ed enigmatico gruppo dei “Settantadue”…). Presentiamoli quindi in coppie, come – pur differentemente – tutti e tre i sinottici ci invitano e ci autorizzano a fare.