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Le donne sono “impure” dopo il parto? Che cosa si può fare?

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Giovanni Marcotullio - Aleteia Italia - pubblicato il 13/06/17
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Ci ripugna anche solo sentirne parlare, ma nella Rivelazione ha un suo posto – biblico e liturgico – anche il rituale di purificazione delle puerpere. Qual è il loro senso teologico e perché farlo ancora oggi

Dopo la nascita di mia figlia si sono moltiplicate attorno a me e a mia moglie orde di consiglieri e consulenti, ciascuno con un segreto che gli bruciava nel petto e che doveva assolutamente condividere con noi: «Falla dormire così», «falla mangiare cosà»… Fino a questo punto ero stato prevenuto, e nulla di quanto mi è stato consigliato giustificherebbe un articolo (anche i buoni consigli che abbiamo ricevuto sono cose piuttosto comuni). Una vecchia amica, invece, mi ha raccomandato una cosa insolita e intrigante:

Mi raccomando, cerca i rituali di purificazione della puerpera per tua moglie.

Accidenti, mi sono detto, è vero: non ci avevo mai pensato più di tanto, ma ricordavo di aver letto o sentito da qualche parte che esistessero simili rituali.

Antico e nuovo Testamento

Del resto, quando si parla di passi biblici oscuri quelli che riguardano la purità rituale seguono a distanza ravvicinata quelli che parlano di guerre ed ecatombi. Del resto il Concilio Vaticano II ci insegna, quanto all’ispirazione scritturistica, che non possiamo ritagliarcene i confini a nostro talento:

Le verità divinamente rivelate, che sono contenute ed espresse nei libri della sacra Scrittura, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo. La santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,31; 2 Tm 3,16); hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa (17) per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità (18), affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo (19), scrivessero come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte (20).

Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei Verbum 11

Perfetto, una sintesi che riempie il cuore. Dunque che dire di passi come questo?

Il Signore aggiunse a Mosè: «Riferisci agli Israeliti: Quando una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà immonda per sette giorni; sarà immonda come nel tempo delle sue regole. L’ottavo giorno si circonciderà il bambino. Poi essa resterà ancora trentatré giorni a purificarsi dal suo sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione. Ma se partorisce una femmina sarà immonda due settimane come al tempo delle sue regole; resterà sessantasei giorni a purificarsi del suo sangue.
Quando i giorni della sua purificazione per un figlio o per una figlia saranno compiuti, porterà al sacerdote all’ingresso della tenda del convegno un agnello di un anno come olocausto e un colombo o una tortora in sacrificio di espiazione. Il sacerdote li offrirà davanti al Signore e farà il rito espiatorio per lei; essa sarà purificata dal flusso del suo sangue. Questa è la legge relativa alla donna, che partorisce un maschio o una femmina. Se non ha mezzi da offrire un agnello, prenderà due tortore o due colombi: uno per l’olocausto e l’altro per il sacrificio espiatorio. Il sacerdote farà il rito espiatorio per lei ed essa sarà monda».

Lev 12, 1-8

E – anche se la Dei Verbum non ci diffidasse dal prendere sotto gamba un testo solo perché “non ci dice molto” – il Nuovo Testamento fa riferimento a questa normativa di purità rituale anche per quanto riguarda lo stesso Gesù, ovvero per sua madre che l’aveva partorito e per il di lei marito, che diede il nome al figlio di lei e l’accompagnò da Nazaret a Gerusalemme per la purificazione:

Quando furono passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre.
Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore [cf. Lev 5,11; 12, 8].

Lc 2, 21-24

Mi fa una certa impressione osservare che una nota così legata al parterre veterotestamentario si trova in Luca, cioè nell’evangelista più direttamente influenzato dalla missiologia paolina (e dunque “aperto” all’orizzonte dei non-ebrei), e non in Matteo, che più di tutti appare interessato a mostrare ai giudei come Gesù compia le promesse sul messia da loro atteso. E sì che per molti aspetti a Luca sarebbe stato più agevole glissare su certi dettagli scomodi, in riferimento al proprio “target editoriale”: e invece no, anche questa anomalia ci mostra che davvero l’unità dei due Testamenti è dottrina costante e perpetua di tutta la Chiesa. Dunque anche a noi questo testo può dire qualcosa, poiché deve farlo.

Teologia della purificazione

La mia vecchia amica, quella di cui sopra, ha ricevuto molteplici doni di natura e di grazia. Tra questi spicca un acutissimo sensus fidei, col quale si orienta agilmente nella selva delle tradizioni ecclesiastiche e individua la grande Tradizione in cui scorre il fiume della Verità. Mi diceva dunque la mia amica:

È importante perché, sai, il parto è un evento traumatico sia per la madre sia per il figlio: è cosa buona arginare gli effetti di questo trauma in tua moglie e in tua figlia…

Parlando con me la mia amica non si è dilungata in dettagli, ma le sue poche parole sottendevano grandi e importanti temi teologici:

  • il parto è un evento naturale conforme al piano originario di Dio (Gen 1, 28); ma
  • nella concretezza della dimensione esistenziale storica (“lapsaria”, in termini teologici) esso è un effetto e a sua volta un mezzo in cui si esprime la dolorosa “ferita originaria” (Gen 3, 16) che affligge tutta la creazione fino alla fine del mondo (Rom 8, 22); (va compreso a fondo che
  • tale dolore non si limita al semplice sconquasso fisico del travaglio e dell’espulsione, riferendosi più ampiamente all’attiguità esistenziale di vita e morte che si dà peculiarmente in quel momento: la mitica anestesia epidurale non può nulla, riguardo a ciò); inoltre,
  • come per la fatica di ogni lavoro umano, anche al parto il cristianesimo annette un certo valore salvifico (1 Tim 2, 15) – ogni “croce” (in latino “cruciari” sta per “soffrire”) è passione nei due sensi di dolore e di amore; ogni croce accolta e vissuta nel Crocifisso «diventa bilancia per il corpo / e strappa all’Inferno la sua preda» (Venanzio Fortunato, Vexilla regis).

Dunque, poiché la stessa Vergine Maria – che in nessun senso era più impura di qualunque puerpera (anzi…) – si è docilmente sottoposta al dettame della Legge mosaica e l’evangelista delle genti non si è vergognato di raccontarcene il dettaglio (compreso il fatto che la giovane famiglia dovette fare “l’offerta al ribasso”, tra quelle disposte dalla norma…), vediamo che cosa la Chiesa propone oggi alle donne che partoriscono e ai loro neonati, per lenire i traumi del corpo, della psiche e dello spirito… e per unirli anzi alla Passione di Cristo trasformandoli in mezzi di salvezza.

Forma Ordinaria del rito romano

Il Benedizionale approntato dalla Conferenza Episcopale Italiana riserva, nella sezione dedicata alle “benedizioni delle persone”, un intero capitolo alla “benedizione di una madre”. Nel capitolo si distinguono una benedizione prima del parto e una benedizione dopo il parto, entrambe corredate di una forma breve. Ai testi si premette che

628. La benedizione prima del parto si può compiere per una singola donna, specialmente nell’ambito della sua famiglia, o per più donne in una casa di cura o ospedale. In questo caso le formule si dicono al plurale.

629. La benedizione dopo il parto, così come qui viene proposta, riguarda soltanto il caso di una madre che non ha potuto partecipare alla celebrazione del Battesimo del figlio; essa si compie perciò nell’ambito familiare.

630. Il rito qui proposto può essere usato dal sacerdote e dal diacono, o anche da un laico con i gesti e le formule per esso predisposti.

631. Nel rispetto della struttura del rito e dei suoi elementi essenziali, si potranno adattare le singole parti alle circostanze di persone e di luoghi.

[…]

Data la vastità della materia, e considerando che tratterò più avanti quello che mi aveva consigliato l’amica, riporto ora solo qualche testo della seconda parte del capitolo, che come abbiamo visto è riservata – nella forma ordinaria – al solo caso della madre che non abbia potuto assistere al battesimo del figlio. La monizione introduttiva (n. 660 del Benedizionale) recita dunque:

La comunità cristiana ha accolto con grande gioia il figlio [la figlia] che hai dato alla luce.
Nella celebrazione del Battesimo abbiamo pregato per te, perché sempre più consapevole del dono ricevuto e della tua missione nella Chiesa, insieme con la beata Vergine Maria, innalzi a Dio il cantico di lode.
Ed ora, uniti nel rendimento di grazie, invochiamo su di te la benedizione del Signore.

Segue la bellissima lettura di 1 Sam 1, 20-28 corredata dal salmo 127 (128) recitato in forma responsoriale. Dopo una breve esortazione del ministro c’è una preghiera di ringraziamento in forma di invocazioni/intercessioni, cui fa seguito appunto il Magnificat cui già la monizione introduttiva faceva riferimento. Giunge infine, a ridosso della conclusione del rito, la preghiera di benedizione, tanto bella che merita di essere riportata per esteso:

O Dio, creatore e Padre,
che hai donato a questa donna la gioia della maternità, ricevi per le mani della Vergine Maria il nostro ringraziamento e la nostra supplica:
preserva da ogni male
questa madre con il suo bambino [la sua bambina],
accompagnali nel cammino della vita,
e fa’ che un giorno siano eternamente beati nella tua casa.
Per Cristo nostro Signore.

℟. Amen

Forma Straordinaria del rito romano

Il testo cui la mia amica faceva riferimento, però, non è quello presente nel benedizionale, bensì è quello che l’ordo del sacramento del Matrimonio anteriore alla riforma postconciliare riportava. Data la bellezza del rito, e poiché non mi risulta che ne siano (ancora) state approntate traduzioni, ne offro di seguito una.

La benedizione della donna dopo il parto, come era codificata prima della riforma montiniana, non è riservata al parroco ma può essere impartita da qualunque sacerdote in cotta e stola bianca (restano esclusi i laici), in qualunque chiesa e oratorio pubblico, d’intesa col sacerdote responsabile della chiesa.

1. Se una puerpera subito dopo il parto, secondo una pia e lodevole consuetudine, vuole recarsi in chiesa per rendere grazie a Dio per la sua incolumità, e chiede al Sacerdote la benedizione, questi, rivestito di cotta e stola bianca, con il ministro che porta l’aspersorio, si reca alla porta della chiesa, dove, fuori dell’ingresso, sta la donna in ginocchio e tenendo una candela accesa in mano: la asperge con l’acqua benedetta, dopodiché dice:

℣. Il nostro aiuto è nel nome del Signore.

e con la donna i presenti rispondono:

℟. Egli ha fatto cielo e terra.

Segue il canto del salmo 23, preceduto e seguito dall’antifona:

Ella riceverà benedizione dal Signore
e misericordia da Dio, sua salvezza:
perché così avviene la generazione
di quanti temono il Signore.

Quindi il salmo:

Del Signore è la terra e quanto contiene, *
l’universo e i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondata sui mari, *
e sui fiumi l’ha stabilita.

Chi salirà il monte del Signore, *
chi starà nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro, *
chi non vota la propria anima all’idolatria,
chi non giura a danno del suo prossimo.

Otterrà benedizione dal Signore, *
giustizia da Dio sua salvezza.
Questa è la generazione che lo cerca, *
che cerca il volto del Dio di Giacobbe.

O principi, alzate le vostre porte,
alzatevi, porte eterne, *
ed entrerà il re della gloria.

Chi è questo re della gloria? *
Il Signore forte e potente,
il Signore potente in battaglia.

Alzate, o principi, le vostre
porte, e alzatevi, porte eterne, *
ed entri il re della gloria.

Chi è questo re della gloria? *
Il Signore degli eserciti è il re della gloria.

Gloria al Padre, e al Figlio *
e allo Spirito Santo,

come era nel principio, e ora e sempre, *
e nei secoli dei secoli. Amen.

A quel punto il sacerdote che celebra il rito di purificazione porge alla mano della donna l’estremità della propria stola sacerdotale, quella che scende dalla spalla sinistra, e la incoraggia ad entrare in chiesa con le parole:

Entra nel tempio di Dio, adora il Figlio della beata Vergine Maria,
che ti ha concesso la fecondità nella prole.

Allora la puerpera entra in chiesa, s’inginocchia davanti all’altare e prega, rendendo grazie a Dio per i benefici ricevuti. Quindi il sacerdote, da solo (ma in persona della donna ovvero di tutta l’assemblea), supplica in greco:

Kyrie, eléison,
Christe, eléison,
Kyrie, eléison.

E prosegue recitando il Padre nostro sottovoce fino alla penultima frase, con la quale si apre un commovente responsorio tra lui – figura di Cristo capo e sposo – e l’assemblea – porzione della Chiesa, sposa di Cristo, e figura del corpo stesso di Cristo:

℣. …e non indurci in tentazione,
℟. ma liberaci dal male.

℣. Salva la tua serva, Signore,
℟. mio Dio, perché spera in te.

℣. Mandale, Signore, l’aiuto dalla tua santa dimora,
℟. e da Sion custodiscila.

℣. Che il nemico non riesca ad avvicinarsi a lei,
℟. e il figlio dell’iniquità non arrivi a farle del male.

℣. Signore, ascolta la mia preghiera,
℟. e il mio grido giunga a te.

Poi, con il consueto dialogo

℣. Il Signore sia con voi
℟. E con il tuo spirito,

si arriva all’orazione finale, con la quale il rito volge alla conclusione.

Preghiamo.
O Dio, onnipotente ed eterno, che mediante il parto della beata Vergine Maria hai tramutato in gioia i dolori delle partorienti cristiane, guarda propizio su questa tua serva, che viene raggiante nel tuo tempio santo per renderti grazie; e concedile di poter giungere con la sua prole, dopo questa vita, per i meriti e l’intercessione della stessa beata Maria, alle gioie della beatitudine eterna. Per Cristo, nostro Signore.

℟. Amen.

Il rito si conclude con l’aspersione finale: il sacerdote asperge con l’acqua benedetta la puerpera ormai purificata

La pace e la benedizione di Dio onnipotente, Padre e Figlio e  Spirito Santo discenda su di te e vi rimanda sempre.

℟. Amen.

Termine ultimo

Accidenti, che bella! Quanta ricchezza, che profondità! E non mi risulta che con la riforma questa preghiera sia stata ipso facto proibita. È vero che con mia moglie siamo già tornati in chiesa, ma scorro le rubriche e scopro che siamo ancora in tempo a goderci questo momento di preghiera, comunitaria e raccolta: abbiamo tempo fino al battesimo della piccola.

È un vero peccato che la nostra sensibilità sia generalmente poco stimolata da riti simili, e che quasi respinga come un insulto (magari perfino sessista!) il concetto di impurità. Eppure alle puerpere, dall’ospedale, passano una discreta serie di medicinali, implicando che qualcosa da pulire, almeno a livello fisico, vi sia. E quasi nessuno trova da ridire, benché alcuni di quei farmaci risultino anche dannosi per l’allattamento…

La verità è che un’impurità aleggia sempre dentro tutti noi. E una lunga tradizione religiosa che – oltre a indicarcela apertis verbis – ci offre un rimedio a riguardo non ci sta insultando, anzi offre alle nostre anime frastornate e smarrite la consolazione di un rito apotropaico che, essendo radicato nell’efficacia della salvezza di Cristo, funziona davvero. E che si può volere di più, nelle circostanze più belle e felici della vita? Una bugia?