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“La misura dell’amore è amare senza misura”? Sant’Agostino non l’ha mai detto!

WEB SAINT AUGUSTINE HIPPO GRACE Public Domain

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Giovanni Marcotullio - Aleteia Italia - pubblicato il 09/06/17

La celebre frase è tratta dal primo capitolo del De diligendo Deo, di san Bernardo di Chiaravalle. Ripercorrendo il percorso di una frase smarrita e data in adozione ad altro genitore si può capire qualcosa di come funzionino le “fake news” in buona fede

Questa storia delle fake news rischia di scapparci di mano, un po’ a tutti: l’idea che i governi intervengano con dispositivi legislativi per stabilire che cosa è vero e che cosa è falso fa tanto “ministero della Verità” e ha tutte le ragioni per lasciarci più perplessi che persuasi. E però è pur vero che, al tempo di internet, le occasioni di divulgare notizie imprecise o false sono tanto numerose quanto sono estesi i mezzi – dunque sono virtualmente illimitati. Le citazioni false, poi, sono una prelibatezza particolare. La mia preferita resta:

Il guaio di Facebook è che
non puoi mai sapere
quando una citazione è giusta o no.

William Shakespeare

Chi l’ha inventata doveva aver avuto un bel lampo di genio. I Baci Perugina sono un autentico ricettacolo di simili amenità. Esse si devono fondamentalmente a due cose:

  1. la facilità di trasmissione delle notizie (dunque un aspetto tecnico);
  2. l’appeal dell’autore in questione (Shakespeare, ad esempio, “tira”).

Come si faceva una volta, come si fa oggi

Un fenomeno già visto in ogni epoca della storia conosciuta, e gli studiosi lo chiamano “pseudo-epigrafia”: alcune volte non si faceva/fa neppure in malafede, perché veniva vista come un mezzo per dare maggior risalto a idee evidentemente tenute in qualche conto da chi scriveva. Anzi, a pensarci bene c’era/è una dimensione… non dico di altruismo, ma di abnegazione: uno faticava tanto per scrivere un’opera che fosse il top del top e poi si privava anche del piacere di vedersene riconosciuto il merito e l’onore.

Oggi li chiamiamo “influencer”, ma il concetto non è molto dissimile: quando vogliamo che certi pensieri girino sui social, ad esempio, speriamo di essere condivisi o commentati da un “influencer”; se questo non è possibile, se siamo veramente determinati a dare risalto alla notizia e se possiamo stare ragionevolmente sicuri che il tizio in questione non verrà a sapere la cosa… glie la possiamo attribuire e basta. L’importante è che il contenuto poi si adatti ragionevolmente alla firma. Così è molto difficile che possano passare per shakespeariane parole come:

Prima di scrivere, pensa; Prima di far male, senti; Prima di arrenderti, prova; Prima di morire, vivi.

Eppure è piuttosto facile trovarsele a destra e a manca sopra la firma del Bardo Immortale. Il quale forse (secondo alcuni) non è mai esistito, ma di sicuro non è vivo oggi… e quindi difficilmente interverrà a sbugiardare lo pseudoepigrafo.

Un altro dei grandi autori che nella storia della letteratura occidentale ha avuto più “read appeal” in assoluto è sant’Agostino, l’indomito vescovo di Ippona: forte e gentile, delicato e sensuale quanto ascetico e severo, piacevolissimo oratore e mirabile scrittore, cantore della fede che scalda il cuore e costruttore di una sintesi dottrinale senza pari (almeno nel mondo latino)… Insomma, i numeri per piacere li aveva, e gli avevano portato anche da vivo qualche… noia editoriale. Nelle Retractationes leggiamo, ad esempio, quello che gli capitò nella scrittura del De Trinitate:

Ho impiegato alcuni anni per comporre i libri su La Trinità, che è Dio. Già però nel tempo in cui non ero ancora giunto alla fine del dodicesimo e avevo trattenuto presso di me quelli già composti troppo a lungo rispetto all’aspettativa di coloro che avrebbero voluto averli, quei libri mi vennero sottratti, pur non essendo ancora corretti come avrebbero potuto e dovuto esserlo al momento in cui avessi deciso di pubblicarli. Quando me ne accorsi, visto che me n’erano rimasti altri esemplari, decisi di non pubblicarli di persona, ma di conservarli, ripromettendomi di chiarire l’accaduto in qualche altro mio scritto. In seguito però alle pressioni dei fratelli, alle quali non seppi resistere, provvidi a correggerli nei limiti che ritenni opportuno, completai l’opera e la pubblicai.

Agostino, Ritrattazioni II,15.1

La filologia secondo i Baci

Effettivamente ancora oggi – epoca in cui i buoni lettori sono mosche bianche – diverse delle sue lapidarie espressioni si ritrovano sui già ricordati Baci, nonché in giro per la Rete.


Due per tutte, che parlano ovviamente d’amore:

Ama e fa’ ciò che vuoi.

e

La misura dell’amore è amare senza misura.

E se si conoscesse il buon vescovo di Ippona da queste frasi o da altre simili uno si farebbe di lui un’idea un po’ diversa da quella che ne rimanda Possidio ricordandolo, ancora sul letto di morte, che chiedeva perdono a Dio per i propri peccati.

Per inciso, dunque, la prima delle due frasi la scrisse veramente Agostino, non è pseudoepigrafia: nella settima omelia sulla Prima lettera di San Giovanni si legge infatti:

Considerate bene quanto qui insegniamo, che cioè i fatti degli uomini non si differenziano se non partendo dalla radice della carità. Molte cose infatti possono avvenire che hanno una apparenza buona ma non procedono dalla radice della carità: anche le spine hanno i fiori; alcune cose sembrano aspre e dure; ma si fanno, per instaurare una disciplina, sotto il comando della carità. Una volta per tutte dunque ti viene imposto un breve precetto: ama e fa’ ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene.

Agostino, Commento alla lettera di san Giovanni 7, 8

E leggendola per intero uno capisce che il senso è quasi l’opposto di quello che aveva afferrato sulle prime. Non che sia meno bello, anzi è sublime… ma forse lo spasimante che scarta un cioccolatino e lo porge maliziosamente alla cupida bocca dell’amata sta pensando ad altro.

La seconda frase, invece, non è di Agostino. Agostino non ha mai detto una cosa come “La misura dell’amore è amare senza misura”.

Però di per sé non sarebbe impossibile: chiunque frequenti un po’ da vicino il vescovo di Ippona sa che la questione della misura gli sta molto a cuore, anche dal punto di vista filosofico, e dunque che in una pagina della sua sterminata produzione sia arrivato a interrogarsi sulla “misura dell’amore” non desterebbe meraviglia.

Come risalire alla “verità probabile”

Sta di fatto, però, che se si va a fare una ricerca su Google bloccando la frase in un’unica chiave di ricerca essa emerge sì indicizzata molte volte e con chiarezza, ma nessuna delle occorrenze risultanti è in grado di offrire al lettore la citazione precisa, quella che illustra puntualmente in quale opera Agostino avrebbe detto così e cosà.

Questo è già un campanello d’allarme: per autori così famosi le citazioni autentiche sono facilmente riconoscibili perché su cento fonti cinquanta non si preoccuperanno di indicare la fonte, ma altre cinquanta lo faranno; se non lo fanno, gatta ci cova.

Gli attrattori semantici rintracciano, nell’opera di Agostino, svariate pagine in cui le parole “misura” e “amore” (nei vari lessemi che le indicano) tornano insieme. Quella che però sembra avvicinarsi di più al senso della citazione ricercata… dice una cosa completamente diversa, che è quasi il suo contrario:

Nessuno deve amare padre, madre, moglie e figli più di quanto deve amare Cristo. Le stesse cose che si amano rettamente, che si amano santamente, a causa delle quali si commette peccato se non si amano, nessuno deve amarle più di quanto si deve amare Cristo, nessuno deve amarle al pari di Cristo. Se uno le ama così, potrà dirsi che le ama “secondo la norma dell’amore” ma non “secondo la vera misura dell’amore”. Che vuol dire: “secondo la norma dell’amore, non secondo la vera misura dell’amore”? Vuol dire “non in modo carnale”, ma “in modo spirituale”. Tu però non devi amare in questo modo, cioè altrettanto e in misura uguale. Poiché non solo è peccato amare uno più di Cristo, ma è peccato anche non amare Cristo più di un altro. “Non lo amo di più” dice uno. Ecco, tu non pecchi ma io dovrei sentire un’altra risposta. In qual misura lo ami? Tu rispondi: «Amo Cristo nella stessa misura con cui amo i genitori, la moglie e i figli». Ancora commetti un peccato. Come peccheresti preferendoli, così pecchi mettendoli sullo stesso piano. Ti pare forse giusto che Cristo sia amato da te tanto quanto il padre, la madre, la moglie? È giusto per te mettere il Creatore allo stesso livello della creatura? È forse giusto? Dove va a finire ciò che ci viene proclamato: Ponete in me ordine alla carità [Ct 2,4]?

Agostino Discorso 65A 11

Accidenti, altro che “senza misura”: Agostino dice che una misura ci vuole eccome, ed è ben precisa.

Torniamo a caccia del nostro testo, vediamo di risalire la corrente di miriadi di citazioni false.

Si può provare a fare una retroversione nella lingua originale e vedere cosa viene fuori dalla ripetizione della ricerca: nella fattispecie il compito è abbastanza semplice perché, malgrado il latino conosca diverse parole per dire “misura” e diverse per dire “amore”, la frase “mensura amoris sine mensura amare” è ancora una volta in testa alle chiavi di ricerca indicizzate da Google. Ciò non vuol dire che Agostino abbia mai scritto una cosa del genere (e neppure che in latino quella frase si scrivesse davvero in quel modo).

Qual è un forte indizio che deve insospettirci, su questi punti? Il fatto che una ricerca produca, sì, dei risultati, ma nessuno risalente a un libro stampato: ossia Google non conosce alcun libro in cui quella frase, in quel latino, venga riportata. Il che è molto strano, se si pensa che Agostino morì nel 430 d.C. e che da allora i suoi libri sono stati continuamente copiati, citati, interpolati e plagiati. E nessuno riporta questa citazione?

Come si svela l’arcano?

La frase in questione, in effetti, la scrisse Bernardo di Chiaravalle, non Agostino d’Ippona, ed è l’incipit del primo capitolo del trattato De diligendo Deo (sul dovere di amare Dio), composto dopo il 1126 ma non oltre gli anni ’30 del XII secolo. A leggerla tutta intera suona così:

Quindi volete sentire da me perché e come vada amato Dio? Ve lo dico: Dio va amato per Dio – questa è la causa. “Smodatamente”, invece, è il modo. Non vi basta?

Che strano: un fan di Prince non vorrebbe mai attribuire a Michael Jackson una canzone del suo beniamino, e appunto l’abate di Chiaravalle non è certo meno famoso del vescovo di Ippona. Come può essere andata la faccenda?

Verosimilmente così, ed è importante capirlo per comprendere come nascono certe pseudoepigrafie involontarie:

  • prima qualcuno avrà letto la frase di partenza, quella di Bernardo: così chiara e bella, all’inizio dell’opera, sintetica e potente. Se la sarà annotata e l’avrà usata, a voce o per iscritto, solo in traduzione o anche in latino (forse anche citando la fonte);
  • qualcuno dei lettori/ascoltatori di questo primo tizio sarà rimasto colpito dalla frase, al punto da memorizzarla, e l’avrà citata (sempre più probabilmente senza indicazioni precise);
  • prima o poi a qualcuno il vuoto dell’attribuzione comincia a pesare, e così – o per la voglia di far presto o per sincero convincimento – sceglie qualcuno a cui affibbiare la paternità della frase (in questo caso Agostino) e la cita indicandolo come l’autore;
  • quella stessa persona, o un’altra, fa una retroversione della frase per dare maggiore credito all’attribuzione (qui la retroversione è stata particolarmente fuorviante perché sono state scelte le parole più comuni per “misura” e “amore”, mentre Bernardo scrive “modus” e non “mensura”);
  • a questo punto può capitare (e capita…) che la frase venga citata con tutti i crismi dell’ufficialità – anche in latino, anche da un ambone, perfino da vescovi… – e che tutti siano certi della paternità agostiniana dell’opera malgrado nessuno sappia indicare lo scritto in cui la frase si ritroverebbe.

Ma non è colpa di nessuno di questi, come non aveva colpa Johann Amerbach, che nel 1506 a Basilea dava alle stampe (questa nuova tecnologia che prometteva meraviglie!) l’editio princeps delle opere di sant’Agostino, in 11 volumi. Non aveva avuto delle fonti eccellenti ma ce l’aveva messa tutta, per anni, per sfuggire alle pseudoepigrafie (e alcuni erano stati veramente bravi, tra il V e il VII secolo, a scrivere in modo molto simile a quello di Agostino…). Nella prefazione al primo volume si indirizza al paziente lettore chiedendogli scusa se per caso gli fosse scappato ancora qualche falso di tra le grinfie:

Non datene la colpa a me, che ho fatto quel che ho potuto: date la colpa alla fama incredibile dell’autore.

Eh, sì, il problema di fake news e di misattributions è vecchio quanto la parola nella bocca degli uomini, e si è rinnovato ogni volta che i mezzi della parola umana si sono fatti più potenti. Altre volte, come per questa frase di Agostino, la confusione e l’errore saranno stati probabilmente accidentali. La cosa bella, in fin dei conti, è che anche in tutto questo confuso viavai si sia cercato di progredire nella conoscenza della verità. In fondo,

…questo che importa? Purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene.

(Fil 1, 18)

Lo diceva San Paolo, anche se qualcuno attribuisce la citazione a Mark Zuckerberg!


PS: E a proposito, un attento studioso di Agostino mi ha prontamente segnalato che un’espressione simile a quella ricercata si trova in una lettera che il Vescovo ricevette da un confratello suo corrispondente, Severo di Milevi. Se dunque san Bernardo avesse attinto anche lui a qualche autore precedente, con una citazione sottile ed erudita, questi sarebbe forse potuto essere il corrispondente del Doctor Gratiæ:

Vedi quali effetti produce la tua bontà, quanto ci trascini all’amore del prossimo, ch’è per noi il primo e l’ultimo gradino verso l’amore di Dio e per così dire la linea di confine in cui si congiungono i due amori; stando su tale linea, come ho detto, veniamo per così dire riscaldati dal calore di entrambi gli amori, vale a dire ardiamo di amore per l’uno, cioè Dio, e per l’altro, cioè il prossimo. Infatti quanto più il fuoco dell’amore del prossimo ci infiammerà e ci purificherà, tanto più ci spingerà ad avanzare verso quello più puro di Dio. Nell’amore di Dio non ci è fissato alcun limite, dato che la misura di amare Dio è proprio quella d’amarlo senza misura. Non dobbiamo dunque temere d’amare troppo nostro Signore, ma di amarlo troppo poco.

Ep. 109, 2

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