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Il prete anti-camorra: così donerei una morte dignitosa a Totò Riina

Totò Riina
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Alganews - pubblicato il 08/06/17
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di don Maurizio Patriciello*

Se potessi chiederei il permesso di andare a servire Totò Riina in carcere. Come sacerdote e come infermiere. Non avrei difficoltà a lavargli i piedi come ha fatto papa Francesco con i detenuti di Paliano. Come fece Gesù con gli amici che lo avrebbero abbandonato e rinnegato.

Se potessi vorrei rimanergli accanto fino alla fine. Tenergli la mano in mano mentre esala l’ultimo respiro. Sì, proprio quella mano che tante volte ha ucciso. Gli chiederei di raccontarmi la sua storia, la sua vita, la vita stentata degli abitanti di Corleone degli anni della guerra. Vorrei scandagliare l’animo di questo mio fratello in umanità che ha terrorizzato Palermo, la Sicilia, l’Italia. Che mi ha fatto toccare con mano l’abisso fetido, buio, spaventoso in cui può sprofondare un uomo creato a immagine di Dio.

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Totò Riina mi ha insegnato molto. Nei mesi passati con i frati francescani a Corleone, quando ero alla ricerca della mia vocazione, lo immaginavo camminare per i vicoli stretti del paese o entrare, bambino, nella chiesa matrice. Mi ha insegnato che il bene occorre desiderarlo, volerlo, perseguirlo. Con caparbietà, volontà, fierezza. Convinti che fare il bene è sempre una vittoria. Che il bene è un seme da innaffiare, concimare, coltivare. Che al male non occorre dare confidenza alcuna. Anche quando ti inganna e si presenta con una parvenza di bontà. Che a tutto ci si può assuefare, anche alle cose più orripilanti. Che il pensiero, il ragionamento, la logica quando non sono imparziali, severi, rigorosi, possono esserti nemici. Vorrei ascoltare Riina per capire dove si è inceppato il suo vivere, dove si sono spenti i suoi sogni, da dove è sbucata tanta violenza sanguinaria.

Come abbia potuto trascinare i suoi cari in una avventura disastrosa fallita in partenza. Vorrei capire quanto ha contribuito la miseria in cui versava la famiglia e il paese nel fargli fare quelle scelte scellerate.

Se potessi vorrei invitarlo a chiedere perdono. Alle vittime innocenti, innanzitutto. I loro nomi mi passano davanti uno ad uno. Persone belle, oneste, coraggiose cui va oggi il nostro ringraziamento, il nostro pensiero, la nostra preghiera. Persone di cui andiamo fieri. I nostri eroi che ci indicano la strada da seguire. Vogliamo stringere al cuore i loro cari, i loro amici, i loro colleghi, le migliaia di giovani che rischiano la vita per costruire un mondo senza mafia, senza corruzione, senza ingiustizie. Un sogno? I sognatori sono indispensabili. Lo inviterei a chiedere perdono ai suoi figli. Per averli trascinati in una orribile strada senza uscite. In un mondo di terrore e di incertezze. E finalmente chiedere perdono alla nostra bella Italia.

Vorrei aiutarlo a trovare il coraggio di confessare: «Ho sbagliato tutto, se potessi tornare indietro non ripeterei gli errori commessi… chiedo perdono a Dio, chiedo perdono a gli uomini …». Ecco, questo sarebbe il miglior modo per uscire dalla scena di questo mondo con vera dignità. Siamo assetati di giustizia non di vendetta. Le cure mediche non vanno messe in discussione. Nemmeno il conforto dei parenti e il calore umano. Non abbiamo difficoltà a fargli vivere gli ultimi anni di una vita assurda attorniato dai suoi cari. Il problema non è questo. La domanda che lacera il cuore dei cristiani – che ben conoscono la gioia di perdonare e di essere perdonati – e delle persone di buona volontà è: «ma Riina è ancora pericoloso? È ancora il capo di quel maledetto obbrobrio che va sotto il nome di “cosa nostra”? È ancora il capo dei capi? Qualcuno potrebbe pagare il prezzo di un atto di clemenza ingenuo? I buoni, gli onesti, i piccoli possono stare sereni? E i mafiosi che si ostinano a ritenerlo il loro capo capiranno la civilissima lezione di uno Stato laico e democratico che punisce il reo senza perdere la speranza di un ravvedimento?». Ecco, a queste domande occorre rispondere con serietà, fermezza, competenza, onestà. Tutto passa. Potessimo ricordarlo sempre. Ritornano in mente le parole di Gesù: «A che serve guadagnare il mondo intero … ?». Per farne che? Per lasciarlo a chi?

La storia di Totò Riina volge alla fine. Gli anni che verranno metteranno in luce sempre meglio il rapporto malato, fetido, aberrante che la mafia ha avuto con pezzi dello Stato. Uomini come Falcone, Borsellino, Giuliano, Dalla Chiesa, Mattarella, La Torre e tanti altri, brilleranno sempre di più nel cielo della storia italiana del ventesimo secolo. Riina rimarrà solo un povero uomo sconfitto dalla vita. “Che peccato” scrivemmo alla morte del suo grande amico, Provenzano. “Che peccato” ripetiamo oggi davanti allo sciupìo della vita di un uomo intelligentissimo che avrebbe potuto realizzare chissà quante cose belle. “I giusti brilleranno come il sole” ci assicura la Bibbia. E gli ingiusti? Li affidiamo nelle mani del buon Dio, che meglio di noi sa scandagliare il cuore degli uomini. Se Riina trovasse il coraggio di pentirsi e chiedere perdono getterebbe un raggio di luce su una vita veramente grama e si accingerebbe a morire con dignità.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE TRATTO DA “ALGANEWS”

 


*Don Maurizio Patriciello è parroco al quartiere Parco Verde in Caivano.

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