Preghiamo per lei e la sua mamma trafitta dal doloreÈ bastata una normale distrazione a causare la tragedia.
Un urlo agghiacciante, prolungato, che ha fatto rabbrividire decine di persone. Forse lo spazio aperto della piazza dove era parcheggiata l’auto ha favorito il propagarsi delle onde sonore. Dallo spegnersi di quel grido materno in avanti tutti abbiamo saputo che Tamara, 17 mesi ancora da compiere, era morta. E’ successo ieri, 7 giugno.
Piangiamola, preghiamo per lei, che è morta nell’età dell’innocenza e di questo, seppure nel dolore, dobbiamo essere lieti, ma piangiamo per e con la povera Ilaria. Ilaria è la sua mamma. Ilaria ha 38 anni. Ilaria ama la sua bambina, allo sfinimento.
Eppure se l’è dimenticata in auto. Sotto le finestre dell’ufficio comunale dove lavorava, a Castelfranco di Sopra, in provincia di Arezzo, dalle 9 alle 14 circa.
Con il marito Andrea vive a Terranuova Bracciolini, un nome per me difficile che non riuscivo a ricordare, ma che ho imparato bene già qualche anno fa perché là, proprio in quel paese, ho dei cari amici.
Sono casi limite, ne sono già successi altri, ad altre mamme e ad altri papà. Chissà come stanno ora, ve li ricordate? Perché il dolore, soprattutto, è quello che resta, che dura, che viene a casa tua e non se ne vuole più andare.
Ed ogni volta che ci rincorrono le notizie di tragedie come queste le acque del nostro mare rosso-rabbia si alzano e si separano.
Siamo noi, siamo “tutti gli altri” che ci assiepiamo su giornali, account e siti web ad urlare accuse e insulti, a spergiurare che mai e poi mai questo sarebbe potuto accadere a noi, noi che amiamo davvero i figli e ce ne occupiamo (per fortuna ho letto anche diversi commenti di mamme solidali con questa povera addolorata che riconoscono che siamo tutti a rischio, che capiamo, che la vorremmo abbracciare); sull’altra riva ci incamminiamo di buona lena per andare a cercare spiegazioni sociologiche, ad insistere che si tratta di stress, di sovraccarico, di eccessivo peso sulle spalle delle donne. La stessa Ilaria aveva condiviso un articolo proprio su questo tema e come si fa a non trovarsi d’accordo? Eppure…
Fragilità, limite. È la nostra natura.
Certo, la politica, le comunità, le reti tra famiglie, tutti potremmo fare di più – o di meno!-, ascoltare, alleviare, soccorrerci reciprocamente. Potremmo anzi dobbiamo, che diamine!, lottare perché si instauri per davvero una nuova ecologia umana integrale, che rispetti soprattutto la scaturigine della vita, la maternità, la famiglia. Servirebbero condizioni migliori per tutte le mamme e per i loro bambini, che hanno bisogno di enormi quantità di tempo di qualità e per periodi prolungati. Basta, davvero, con la panzana colossale del tempo di qualità. Sono quasi più credibili le scie chimiche.
Servirebbe un argano per sollevare dal petto di molte donne quei macigni di senso di colpa, di frustrazione continua del proprio sentire, di afasia indotta delle parole che vogliamo dire e manco ce le ricordiamo! E di fatica, tanta fatica spesso ignorata o addirittura ridicolizzata. “Perché tanto tu sei a casa no?”
Ma forse Tamara sarebbe morta lo stesso. E Ilaria avrebbe urlato. E noi, segretamente, tirato un sospiro di sollievo. Perché lo sappiamo, possiamo ammetterlo qui tra noi e noi, che sarebbe potuto capitare ad ognuno di noi, a me, a te, a quel papà, ad una nonna. Ad una zia. Anche in Norvegia, nonostante le estati brevi e le multiformi e consolidate politiche di sostegno alla maternità. Poteva succedere anche là.
Perché siamo fatti così, siamo fragili, incostanti, a volte distratti, a volte esausti. Siamo limite, un limite che cammina e a volte barcolla.
Cosa ci sarà stato dentro quell’urlo infatti se non il desiderio folle di tornare indietro e ricordarsi di prendere in braccio la sua bambina? La preghiera impossibile di rifare quella giornata, di aggiungervi anche solo un gesto? L’implorazione pazza e disperata che quella bimba possa svegliarsi, starnutire, dire mamma in tempo perché lei possa ricordarsi?
Ilaria lo sa. Sa che è colpa sua. Eppure non è colpevole!
Omicidio colposo, il reato che potrebbe esserle contestato. Perché lei è la causa efficiente ma non intenzionale di quell’effetto straziante, sua figlia, l’unica figlia, amatissima, morta per il caldo, a causa sua.
Un’attenzione vera alla maternità, ma senza ideologia.
Uno degli articoli proposti da For Her che continua a registrare numerosissime visualizzazioni e condivisioni e non accenna a calare da settimane riguarda il carico mentale che grava delle donne. Diverse lettrici hanno finalmente trovato il bandolo della matassa nella quale ci troviamo ingarbugliate: facciamo tantissime cose, lavoriamo, facciamo la spesa, accompagniamo i figli a scuola, li seguiamo nei compiti, li portiamo dagli amichetti, li curiamo, fissiamo l’appuntamento dal pediatra. E di corsa a fare le vaccinazioni, almeno al secondo richiamo. E poi ci sono le chat di classe, per quanto silenziate e ridotte al minimo sindacale. E occorre decidere quali sport far praticare loro. Il controllo dal dentista l’hai prenotato? I colloqui generali. Quelli individuali. E le carte necessarie alle più svariate pratiche burocratiche. Oh, ma siamo già a giugno: e le vacanze? E mentre facciamo queste cose ci ricordiamo di ascoltare i figli, di dare retta al marito, che anche lui, da par suo non passa le giornate in panciolle. L’elenco per alcune non è ancora finito. Ci sentiamo sole, lungo una salita impervia, con dei Menhir sulle spalle. Ogni tanto capita di pensare che sia troppo.
Allora, senza issare improbabili vessilli di lotta tra i sessi, dobbiamo dire che non gli uomini, che anzi sono i nostri migliori alleati, compagni e amici, ma le condizioni, le leggi, i ritmi di lavoro, il diktat della produzione e del consumo forsennato ci tengono sotto sequestro. E dietro questi sostantivi astratti ci sono persone vere. È ancora e solo la responsabilità personale che potrà invertire la rotta. Per fare mentalità occorrono menti e le menti sono delle persone. I sistemi si possono disfare. Le condizioni si possono cambiare.
Come? Con altre leggi, con pratiche da diffondere, con chissà quali idee creative. Probabilmente un paio di Santi di quelli giusti ed un popolo che torni a pregare tutti i giorni darebbero la vera svolta!
Ilaria aveva solo una figlia ed un lavoro part time, in Comune. Può bastare una giornata, l’ennesima magari, di eccessivo stress. Può bastare una telefonata più lunga, una preoccupazione che ci tiene in pugno. Un’ansia che ci prende o un breve stallo nei pensieri e tutto l’amore giurato a prezzo della propria vita per conservare e proteggere quella di nostra figlia non basta. Si affila come una lama, si chiude ad uncino e diventa falce. Questo deve essere il grande orrore per il quale prego che Ilaria trovi pace.
Dalla impotenza dell’amore umano alla speranza che viene da Gesù Cristo
Amare è desiderare che l’amato non muoia, mai! Quindi siamo strutturalmente impotenti, impossibilitati per natura a mantenere, da soli, questa promessa che noi donne partoriamo insieme al bambino. Diventare l’occasione della morte di un figlio è l’Everest del dolore per una mamma.
La nostra povera anima pesante però non abita solo le desolate terre della mortalità. La nostra povera anima pesante è salvata, se vuole. Mamma Ilaria, figlia Ilaria, donna Ilaria, povera anima straziata!
Ti prego, non disperare in questa totale disperazione umana!
Disperati, se vuoi, in braccio a Maria. Alla Madonna che ha dovuto guardare Suo figlio soffrire e morire. Disperati in braccio a Lei!
Dispera sotto la tua croce, ma spera in Dio. Spera, spera, spera. Spera nella vita eterna dove le carni tenere e profumate della tua bambina per le quali il tuo amore non è bastato potrai accarezzare e baciare di nuovo. Ne sono sicura. Tutto questo è più vero del caldo. Più vivido delle lamiere surriscaldate al sole di giugno. Più giusto. Sarai abbracciata anche tu!
Preghiamo per Ilaria. Preghiamo per lei, per tutti i trafitti da questa spada.