“È stato durissimo, capivo la gente che si toglie la vita, la mia si era spezzata....”
Di Rocío Solís
A 18 anni ho iniziato a uscire con Quique, ed è stata una storia meravigliosa. Proprio quando eravamo più felici, con due gemelli di un anno e un altro bimbo in arrivo, abbiamo avuto un incidente. Sono rimasta 15 giorni in terapia intensiva lottando per la vita, ma ho perso uno dei gemelli, il bambino che stavo aspettando e Quique.
Quando lo hai saputo?
In terapia intensiva lottavo pensando a tutti i progetti che avevamo. Quando ne sono uscita ero molto emozionata. Non sapevo nulla. Pensavo che mio marito mi stesse aspettando in stanza. È stato molto bello perché mia madre mi aveva scritto una lettera da parte di Quique dicendomi che stava con la Madonna e che si era portato il piccolino con sé perché si prendesse cura di lui.
Ed è iniziato il peso della croce…
È stato un dolore atroce. Io che ero una persona appassionata, che volevo vivere ogni minuto fino in fondo, all’improvviso non volevo più vivere. Un mio zio mi diceva che gli ricordavo Giobbe. Io allora gli chiedevo come andava a finire la storia, e il finale mi consolava sempre perché gli veniva dato il cento per uno in questa vita e poi la vita eterna.
Ma è stato difficilissimo. Capivo la gente che si toglie la vita. La mia si era spezzata, e avevo 27 anni. Avrei preferito averne 80 per andarmene con loro.
Com’era il tuo rapporto con Dio prima della tragedia?
Ricordo di aver detto a mia madre: “Non mi interessa essere sua amica. Cerco di fare ciò che vuole e Lui mi dà questo”. Lei mi ha risposto: “Fa’ quello che vuoi, ma l’unica risposta e l’unica consolazione la trovi in Lui”.
Riuscivi a sperimentare che i tuoi cari erano vivi?
È stato a partire dall’esperienza di sentirli davvero presenti che sono riuscita ad avere un’esperienza e la certezza reale del cielo. Sentivo che Dio mi portava letteralmente in braccio. Sentivo Cristo come il mio cireneo. Sono stati momenti terribili.