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Il modo estremamente semplice per arrivare a Dio

PADRE FIGLIA GIOCO

Donnie Ray Jones-CC

padre Carlos Padilla - pubblicato il 30/05/17

Dietro ogni amore per una persona c'è Lui

Mi piace l’amore concreto. Fatto di carne e di cielo. Di anima che si riempie di corpo. Di corpo che si veste di anima. Così è l’amore tra gli sposi che mi parla di una pienezza che ancora non possiedono. E vivono volendo fermare il tempo. E sperano trattenendo tra le mani le ore già trascorse. Alimentando il sogno di un anelito infinito, e risvegliando l’anima perché si leghi alla vita concreta che il vento si porta via.

Voglio imparare ad amare nella carne della mia vita. Senza belle teorie che spieghino oggi i miei limiti. Sogno un amore che non si esaurisca nella mia pelle. Che contenga i miei sogni e si elevi in volo costante verso il cielo. L’amore che vivo è così. Quello che Gesù ha vissuto nella mia stessa carne. Quello che abbraccio ogni mattina. Quell’amore palpabile che mi conduce al cielo.

Diceva padre Josef Kentenich: “Dietro ogni amore per una persona c’è Dio. Se non siamo capaci di amare in modo sano non ameremo neanche Dio; se l’amore fosse più naturale sarebbe più facile arrivare a Dio; molta gente non arriva a Dio perché non sa amare e non ha sperimentato cosa sia un amore autentico”.

L’amore concreto che mi regala Dio. L’amore visibile ai miei occhi. Quell’amore di figlio esaurito con il tempo, o quello del padre che non sa bene come curare la vita che gli viene affidata nelle sue mani fragili. Quell’amore di amico che si effonde. Quell’amore d’uomo che passa per l’anima e ascende al cielo. L’amore di una madre che si dona completamente.

So che se non amo chi vedo è difficile amare Dio ogni mattina. Ho bisogno di imparare ad amare senza ostacoli. Senza freni. Senza paure. Amare nella vita che mi viene affidata. E curare ciò che c’è di più sacro nascosto nell’anima che mi si apre. Con rispetto infinito.

Voglio amare con le mie mani e i miei gesti tanto goffi, ma amare in modo sano. Senza trattenere. Senza imporre. Senza vivere esigendo. Senza lamentele né rimproveri. Voglio che il mio amore umano, come un legame invisibile, mi porti nel più profondo del cuore di Dio. Lì dove riposano le mie braccia ormai stanche e miei piedi esausti per il tanto camminare. E la mia anima così spezzata che la valorizzo appena, ferita dalla vita, stanca di lottare.

Mi piace quello che scrive José Luis Martín Descalzo: “Sono stato felice, certo. Come potevo non esserlo? E sono stato felice qui, senza aspettare la gloria del cielo. Guarda, sai già che non ho paura della morte, ma non ho neanche alcuna fretta che arrivi. Potrò stare nelle tue braccia più di quanto sto adesso? Perché è questo che stupisce: il cielo lo abbiamo già dal momento in cui possiamo amarti. Moriremo senza chiarire quale sia il più grande dei tuoi doni, se il fatto che tu ci ami o che ci permetta di amarti”.

Voglio vivere sulla terra ciò che sarà pieno in cielo. Non vivere l’amarezza sognando la tenerezza che mi promette Dio. Voglio amare sulla terra senza disprezzare l’umano. Sapendo che qui è solo argilla che passa, polvere che il vento si porta via. Le cose caduche mi insegnano che la vita è presente. Non si gioca in futuri che conosco appena. Non si basa su passati che restano dimenticati. Il passato è andato. È il presente che conta. Qui e ora.

Mark Twain scrive: “La vita è breve. Rompi le regole, perdona rapidamente, bacia lentamente, ama davvero, ridi senza controllo e non smettere mai di sorridere, per quanto possa essere strano il motivo. Può essere che la vita non sia la festa che ci aspettavamo, ma finché siamo qui balliamo”.

Vivere oggi mettendoci tutta l’anima. Voglio vivere quell’amore con cui Dio mi ha amato. È ovvio che io sia felice. Ma amo solo perché sono stato amato. E sono capace di dare quello che ho ricevuto. Per questo a volte ferisco, quando sono stato ferito. E trattengo per paura di non avere ciò che ho vissuto.

Vorrei toccare l’amore di oggi. Quello che mi regalano. E dare tutto ora senza riservarlo per il dopo. Senza temere di non avere quando arriva il silenzio. La solitudine che affoga. O le notti più fredde. Voglio amare concretamente. Perdonare chi mi offende. Accettare le persone che non amo. Guardare chi è dimenticato. Accompagnare chi ha perso tutto. Baciare chi mi respinge. Guardare chi non mi guarda.

Voglio dare quando non mi hanno dato. E non lesinare quando qualcuno mi chiede qualcosa.

Cerco prima il mio bene che quello di chi mi ama. E non è questa la via. Non voglio essere l’ostacolo che non lascia arrivare l’amore di Dio agli altri. Attraverso le mie povere mani, spezzate, ferite. Sono creatore di speranze che Dio semina nella mia anima. Il mio amore concreto aiuta a rendere presente Gesù. Dipende da me. Dal mio “Sì” fiducioso. Da mio “Sì” aperto. Per questo devo lasciare che Gesù regni in me. Che sia Lui il centro.

Leggevo giorni fa: “Dio cerca di regnare nel centro più intimo delle persone, in quel nucleo interiore in cui si decide il loro modo di essere, di pensare e di comportarsi. Gesù lo vede così: non nascerà mai un mondo più umano se non cambia il cuore delle persone; non si costruirà da nessuna parte la vita come Dio vuole se le persone non cambiano da dentro”.

Per amare come Dio vuole che ami devo cambiare dentro. Per amare concretamente. Cristo ami nella mia anima. Al centro. Nell’aspetto umano che mi viene donato. Quell’amore concreto è ciò che a volte mi manca. Mi ritrovo orfano e vuoto. Ferisco essendo ferito. Mi lamento quando perdo. Voglio amare più di quanto amo. Dare più di quello che offro.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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