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Chiara, immobilizzata dalla malattia, ha riscoperto Gesù e l’amore per la vita

DONNA RIFLESSIVA VISO

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 24/05/17

Le email tra un fratello secolare che vive in Eremo situato in un ex carcere e una ragazza che vive dietro le sbarre del proprio corpo

Una malattia che la immobilizza e le ha cambiato la vita. Poi l’incontro virtuale con una persona speciale che le consiglia come farsi guidare dal “bello”, da quello che c’è di positivo nella sua vita, nonostante la malattia. Ed è allora che un cambiamento la “rivoluziona”.

Juri Nervo, piccolo fratello secolare, sposato, fondatore dell’Eremo del Silenzio situato in un ex carcere, un giorno scopre Chiara M. attraverso i suoi libri, e decide di contattarla via mail.

Fin da subito nasce tra Juri e Chiara un’intesa spirituale che sorprende loro stessi per primi. Ambedue scoprono che le immagini della prigione e del silenzio, che entrambi vivono in modo diverso (l’uno nell’Eremo e vicino anche alle persone in carcere, l’altra con la malattia che il tempo ha trasformato nella sua ‘cella’), possono diventare i simboli della ferita umana e della speranza che apre alla ricerca di Dio.

Il loro dialogo per posta elettronica diventa fitto, affronta le grandi domande e i temi esistenziali sui quali ambedue si interrogano e che possono interessare ciascuno di noi: l’infinito, l’amore, la santità, il dolore, il perdono fino al grande tabù della morte. A raccontarlo è il libro scritto a quattro mani da Juri e Chiara “La cella e il silenzio” (edizioni San Paolo).

LE “RIGHE STORTE” NELLA VITA DI JURI

Juri si presenta così a Chiara: «Quando incontri Gesù, sei fregato. È stato quando ho cominciato a seguire i suoi passi, che mi sono reso conto di quanti errori io avessi commesso. La mia vita è stata presa in mano dall’egoismo, dalla passione, dall’arrivismo. Ogni volta che ho vissuto in modo contrario al suo insegnamento, ecco che una riga storta si creava nel mio cammino. E ho scoperto che se volevo scrivere qualcosa con la mia vita, scrivere su tutte quelle righe storte non era per niente semplice».

LE SBARRE DI CHIARA

Chiara racconta a Juri la sua situazione: «Se vogliamo, anche io sono carcerata. Non dentro una prigione vera e propria, ma nella cella di una malattia che non mi dà tregua da ormai molti anni. È la mia riga storta non cercata, non voluta (…) Sai, ho la sensazione che, per certi versi, ci sia una certa similitudine in termini di sensazioni, tra chi ha le sbarre di ferro intorno a sé e chi ha le sbarre nel suo stesso corpo».

“E’ ARRIVATA LA LUCE!”

Ma da quelle sbarre, fa notare Juri, si può uscire. All’Eremo, racconta lui, «ha preso forma il mio cambiamento, lento, doloroso (lo è ancora oggi) ma in divenire verso una mèta. Sono stati mesi intensi dove in solitudine (al- cune volte sono venuti amici a dare una mano) ho ripulito questo luogo abbandonato, ho tolto mobili marci, ho raschiato e dipinto muri… Ri- pulire! E poi ancora: ho oliato le porte, sistemato i vetri, riportato l’acqua. E che emozione quel giorno in cui è arrivata anche… la luce!»

«Mi hai scritto sbarre di ferro = sbarre del corpo… prosegue Juri – Sono convinto che abbiano un collegamento che va oltre la semplice prigionia. Tutte e due limitano la persona; ma tutte e due portano, anzi muovono la persona a vedere che davanti a sé c’è sempre la via di una possibile fuga!».

RISCOPRIRE SE STESSI

Juri spiega a Chiara che il carcere è una forma di isolamento e senza la buona volontà non si esce dal tunnel. La ragazza coglie il messaggio: «Tu mi fai notare che il contesto in cui si vivono certe esperienze è determinante – se non ho capito male – per il cambiamento. Lo credo anch’io, anche se non ho la diretta esperienza che hai tu, per quanto riguarda i rapporti con le persone carcerate».

Di fatto però, «altrettanto credo che tutti noi possiamo diventare potenzialmente prigionieri a tutti gli effetti, con o senza sbarre, di qualcosa che non si può tenere sempre sotto controllo; qualcosa che il silenzio, la solitudine, il vuoto può far emergere con inaspettata presenza: noi stessi».

“L’INFINITO E’ NEL NOSTRO DNA”

Il silenzio, replica Juri, «costringe a tirare le somme: si è obbligati (almeno con se stessi) a essere autentici». E’ questo è un primo scalino. Il secondo, prosegue il frate, «è essere veri. Da qui si può avanzare verso l’abbraccio di un Dio Padre, che ci stringe nella verità – qualsiasi essa sia – e nella sua misericordia! L’essere umano anela alla Pace, all’infinito. È scritto nel suo DNA».

«Non siamo onnipotenti (e meno male!) ma la nostra inquietudine, nasce da questo infinito scritto in noi».

COME OSSIGENO PURO

Chiara: «Tutti noi abbiamo bisogno di Infinito. Qualsiasi situazione viviamo, in qualunque pozzo nero siamo caduti, istintivamente cerchiamo l’infinito come ossigeno puro, che ci permette ancora di respirare nonostante tutto. Infinito: da lì veniamo e lì faremo ritorno».

RIPARTIRE CON GESU’

Nonostante una vita più «lenta» a causa della malattia, come la definisce lei stessa, Chiara vuol tendere verso l’infinito, cogliere il bello della vita che va avanti con i suoi ritmi. E Juri traccia il percorso: la strada della Santità. «La vita, con la prospettiva di Gesù, può essere trasformata. Vivere immersi nel suo amore dà forma e colore nuovo a tutto. Capire il senso del tempo dato e della meta a cui tendiamo, con la Sua presenza nel quotidiano, è il nuovo contesto da cui ripartire».

Di fondo, conclude, «c’è una parola importante: Amore».

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