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La “formula” per il buonumore? Alcuni esercizi e una preghiera

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© Rawpixel.com / Shutterstock

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 13/05/17

Dal sorriso alla comunicazione scritta, sino alla preghiera. Per rendere le nostre giornate un po' più serene

C’è una formula per essere sempre di buonumore? Ci sono degli esercizi che posso fare per essere più spesso di buonumore? Esiste una Preghiera per il buonumore?

Esiste una scorciatoia che è urgente scoprire, un trucco che può rendere molto più vivibili le nostre giornate.Ce la racconta Carlo De Marchi in La formula del buonumore. Con i 5 rimedi contro la tristezza (Ares).

DIO E LA FORMULA DEL BUONUMORE

Il punto di partenza della “formula del buonumore”, sostiene l’autore, è la certezza che Dio, quando guarda ognuno di noi, sorride. Sorride perché ci guarda con affetto, perché gli risultiamo simpatici. A partire da questo sorriso fondamentale ricevuto, ognuno può imparare a ridimensionare sé stesso e i propri difetti senza drammatizzarli, senza prenderli troppo sul serio.

Questa sana leggerezza con sé stessi rende affabile l’atteggiamento e sorridente lo sguardo anche verso gli altri, sia gli sconosciuti sia le persone che incontriamo regolarmente.

Si tratta di una scoperta che è a portata di mano di chiunque. Non richiede corsi e tecniche complicate. La formula è semplice, richiede solo un po’ di impegno pratico: accogliere il sorriso di Dio, sorridere guardando sé stessi e sorridere incontrando gli altri.

A LEZIONE DI AFFABILITA’

Allo stesso tempo ci sono alcune esercitazioni pratiche per essere affabili. Prima di tutto è utile cercare di misurare il proprio livello di affabilità, attraverso una specie di autovalutazione. Si tratta di osservare il proprio comportamento per una giornata, facendo attenzione a ognuno dei punti indicati di seguito (saluto, sorriso, modo di discutere, comunicazione scritta).

COME FARE L’AUTOVALUTAZIONE

I più coraggiosi possono chiedere aiuto per la valutazione a una persona di fiducia: questo è uno dei casi nei quali l’amicizia, il senso dell’umorismo e l’autoironia risultano di grande aiuto, se non addirittura necessari.

Se non mi viene in mente nessun dato significativo a proposito del mio livello di affabilità, la cosa più probabile è che ci sia un problema di consapevolezza. Nel qual caso l’autovalutazione diventa ancor più necessaria.

Fatta l’autovalutazione si possono identificare i propri esercizi pratici di affabilità. L’obiettivo è che ciascuno metta a fuoco gli aspetti nei quali gli conviene concentrare il suo allenamento, come si fa in palestra, quando si vuole correggere un difetto o potenziare un’abilità in una specialità sportiva.


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1) SORRISO E SALUTO

È consigliabile proporsi di sorridere innanzitutto in alcuni momenti:

l in famiglia: quando si incontra un famigliare per la prima volta nella giornata; quando ci si rivede al rientro a casa; quando ci si saluta a fine giornata; quando si incontra qualcuno in un corridoio sul posto di lavoro; quando si incontra qualcuno per caso in giro; quando qualcuno fa una battuta di spirito (non è necessario ridere fragorosamente, basta dare un qualche cenno di riscontro cordiale al tentativo altrui di ridere e far ridere).

2) GESTI

Esercitarsi nella stretta di mano, evitando con cura la sindrome della «mano moscia» e anche una stretta eccessivamente lunga o forte (soprattutto con persone appena conosciute); domandarsi come rispondo a un cenno di saluto di una persona che mi riconosce da lontano.

Altri esempi di gesti sui quali è utile domandarsi se abbiamo bisogno di esercizio: guardare negli occhi le persone con cui parlo (senza esagerare, diventando invadenti); mentre cammino, fermarmi e voltarmi se qualcuno mi rivolge la parola, senza dare l’impressione di essere di corsa; chiamare per nome una persona quando la saluto (non solo un collega, anche persone con le quali si ha a che fare solo en passant, senza che ci sia una vera e propria amicizia).

3) DISCUTERE IN PACE

Ricordiamo che il grande ostacolo per una discussione è il litigio. La prima meta è quindi scoprire i miei momenti «a rischio di litigio»: la mattina, per esempio durante la prima colazione; il rientro a casa o il rientro di un famigliare; l’inizio della giornata in ufficio. Nel contempo, pensare se le persone con le quali abito o mi trovo a passare molto tempo hanno dei loro momenti «a rischio di litigio».

È fondamentale, per esempio, sapere qual è il momento migliore (e il peggiore) del coniuge, dei genitori o dei propri superiori o collaboratori più stretti.

Poi è utile allenarsi in due strategie: come gestire me stesso quando sento che sto per litigare e come gestire la situazione quando una o più persone accanto a me sembrano intenzionate ad attaccare briga.

Una regola fondamentale si può riassumere così: non scherzare con il fuoco. Quando noto di essere nervoso è bene provare a rimandare una discussione, una riunione, una telefonata.

4) IN RIUNIONE

Un caso specifico di discussione nella quale è utile esercitarsi sono le riunioni. Mantenere l’affabilità e il buonumore durante una riunione non è facile, specialmente quando le riunioni sono lunghe e numerose.

Alcuni esercizi pratici che possono aiutare.

l convenevoli: i saluti iniziali e finali servono a creare il contesto cordiale e quindi non sono formalismi inutili; in una situazione di particolare tensione, per esempio con clienti o colleghi problematici, conviene aumentare l’affabilità, non diminuirla per timore di sembrare deboli;

Poi conviene sempre dire la verità: proporsi sempre di dire con le parole giuste come stanno davvero le cose; parlare bene delle persone non presenti alla riunione; non guardare il telefono e non rispondere a telefonate: l’unico modo sembra essere quello di esercitarsi a non te- nere sott’occhio il telefono e a tenere la suoneria spenta.

E ancora: quando risulta chiaro che ci si trova su posizioni opposte, è utile esercitarsi a ripetere con parole proprie il punto di vista dell’altra persona, per manifestare interesse vero e desiderio di capirlo bene; stare seduto in modo composto intorno al tavolo di riunione; prendere nota di una cosa importante che mi viene chiesta o che affermo che farò.

5) COMUNICAZIONE SCRITTA

Ecco alcune regole per la comunicazione scritta, trasmesse ai suoi dipendenti da David M. Ogilvy, fondatore della società di comunicazione Ogilvy & Mather.

Ecco le “norme”: scrivi come parli. Con naturalezza; usa parole brevi, frasi brevi, paragrafi brevi; non usare mai tecnicismi come «riconcettualizzazione», «demassificazione», «attitudinariamente». Sono tipici del presuntuoso che si vanta troppo di sé.

Poi: non scrivere mai più di due pagine, su qualsiasi argomento; non inviare mai una lettera o un promemoria il giorno stesso in cui l’hai scritto; rileggilo ad alta voce la mattina successiva e correggilo; controlla le citazioni.




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LA PREGHIERA DEL BUONUMORE

Oltre agli esercizi c’è un’invocazione che si può recitare per aiutare a farci contagiare dal buonumore.

E’ la cosiddetta “Preghiera del buonumore” scritta da Thomas Henry Basil Webb (1898-1917), ma attribuita tradizionalmente a Thomas More:

Donami Signore una buona digestione, e anche qualcosa da digerire.

Donami la salute del corpo,

con il buonumore necessario per conservarla.

Donami, Signore, un’anima santa,

che sappia godere di quanto è buono e puro,

senza spaventarsi di fronte al peccato

ma trovando invece sempre il modo di rimettere le cose a posto.

Donami un’anima che non conosca la noia, la mormorazione, i sospiri, le lamentele,

e non permettermi di soffrire eccessivamente per quella realtà invadente che si chiama io.

Donami, Signore, il senso dell’umorismo.

Concedimi di capire uno scherzo

e di conoscere nella vita un po’ di gioia,

e poterla così comunicare anche agli altri».

Amen.

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