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Confessione faccia a faccia: pro e contro

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Diocese of Arundel & Brighton | CC

Elizabeth Scalia - Aleteia inglese - pubblicato il 09/05/17

Ha allontanato chi tiene molto alla privacy?

Di recente un amico del Texas mi ha detto di aver aspettato in fila quasi un’ora per confessarsi, e l’ho invidiato un po’: in primo luogo per i sacerdoti che conoscono che siedono nel confessionale con il libro di preghiere aspettando che si presenti qualcuno, in secondo luogo per me, perché ho capito di aver perso quel senso di comunità e di appartenenza che deriva dal fatto di vedere i miei vicini esaminarsi la coscienza mentre aspettano il proprio turno (e sapendo che anche loro hanno visto me).

C’era un elemento che fungeva da collante. Se da bambina confessavo di aver spalmato le more sulla faccia di un amico, sua madre probabilmente voleva confessare il fatto di aver gridato vedendo il viso imbrattato di viola del figlio. Fatta la penitenza, potevamo tutti vivere insieme in pace per un’altra settimana.

I tempi sono cambiati, ovviamente, e con il crollo del numero di cattolici che praticano la propria fede anche i confessionali si sono svuotati.

Ho pensato a lungo che questi incontri faccia a faccia nella riconciliazione rendano il sacramento inaccessibile a chi ha problemi di privacy e non si sente a proprio agio a confessare i propri peccati a una persona che tiene gli occhi fissi su di lui. Conosco persone che non si confessano se non hanno un paravento e un senso di privacy, e non le giudico per questo, perché una volta anch’io mi facevo problemi di questo tipo.

Ho sempre saputo che non c’era niente che non potessi dire a un sacerdote che non avesse sentito prima, ma quando non avevo la possibilità di scegliere una confessione anonima e schermata impallidivo all’idea di dovermi confessare in modo tanto visibile – in cui non solo ero vista, ma si potevano vedere anche i piccoli tic non verbali e le reazioni del mio confessore (che poteva non rendersi conto che roteava gli occhi o sembrava annoiato, infastidito o stupito), e tutto questo mi confondeva. Magari vedevo un’espressione facciale che poteva non significa altro se non che il mio sacerdote aveva fame, ma i miei processi mentali mi portavano ad aumentare le mie insicurezze su me stessa, le mie parole e i suoi giudizi.

Soppesando i pro e contro delle confessioni anonime rispetto a quelle faccia a faccia, ritengo che senza il paravento le mie confessioni fossero raramente approfondite, perché mi distraevo talmente con quello che mi circondava (“C’è una scatola di fazzoletti. Questo sacerdote fa piangere la gente?”) da sbrigarmi per porre fine a quella situazione.

Forse l’avvento della confessione faccia a faccia ha avuto qualcosa a che vedere con la brusca (per quello che mi ricordo) fine di quelle lunghe file di penitenti. Più persone andrebbero a riconciliarsi con il Cielo se sapessero che – nella maggior parte dei casi – la confessione faccia a faccia è opzionale e che i paraventi tra sacerdote e penitente esistono ancora? Ci sono persone che per paura si privano della grazia, e della direzione spirituale, semplicemente perché il messaggio non è filtrato?

Abbiamo bisogno della grazia, e anche della direzione spirituale.

La questione dell’intimità è stata il motivo per il quale per buona parte della mia vita ho resistito al suggerimento di trovare un direttore spirituale. Se una semplice confessione poteva essere per me tanto pericolosa, quanto mi avrebbero terrorizzata gli incontri regolari con qualcuno – forse neanche un sacerdote! – per il fatto di essere vista e conosciuta? Ho opposto resistenza per anni.

La situazione è cambiata qualche anno fa, quando mi sono concessa un ritiro di cinque giorni che ha sottolineato l’importanza dell’Adorazione Eucaristica. Sono andata al ritiro ripromettendomi di fare tutto ciò che mi veniva detto finché ero lì. Avrei mangiato quello che mi mettevano davanti, avrei letto quello che mi davano e avrei semplicemente permesso che fosse lo Spirito Santo a guidarmi. Visto che Dio ha un forte senso dell’umorismo, questo alla fin fine ha significato una confessione generale di tre ore e mezza faccia a faccia con un sacerdote che non aveva mai fatta una prima.

Entrambi procedevamo alla cieca, ma in quel lungo incontro mi sono ritrovata capace di ripescare episodi dolorosi del mio passato in cui avevo fallito, o in cui altri mi avevano deluso, e l’esame ha portato alla confessione di peccati che avevo dimenticato o che non avevo visto correttamente come i peccati che erano.

Quello scambio di pensieri gentile e aperto, il ricordo spontaneo di un passo della Scrittura o le osservazioni di un santo – parte integrante di una buona direzione spirituale guidata dallo Spirito Santo – mi hanno portata a raggiungere una vera guarigione e liberazione. Dopo due ore di discussione di errori e offese a cui mi ero aggrappata e che avevo fomentato per una ventina d’anni, sono riuscita letteralmente a sentire il loro peso che mi abbandonava, sostituito da una nuova leggerezza che riconoscevo come grazia.

È stato un momento faccia a faccia con l’amore miracoloso e ricreativo di Cristo, e non c’era posto per la paura. Avendo lavorato in modo tanto diligente per guidare una pecora smarrita, il volto del mio sacerdote splendeva.

Vedere quella luce è stata un’affermazione dell’amore di Dio manifestato in persona Christi di cui avevo bisogno e che mi sarei persa se avessimo usato un paravento.

Decisamente un punto a favore della confessione faccia a faccia.

Detto questo, mi piace ancora il paravento. Mi piace ancora la barriera che mi permette di chiudere gli occhi e – come facevo quando ero bambina – di considerare quelle voci senza corpo come quelle di Cristo, senza le distrazioni umane.

Ma se il paravento non è disponibile (o le ginocchia con l’artite non permettono di avvalersene), posso affrontarlo. Posso vedere il Volto, in persona Christi.

Dio fa nuove tutte le cose.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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