Sfortunatamente il dibattito che ha accompagnato le presidenziali francesi si è ridotto perlopiù alla solita gazzarra alimentata da attacchi personali. Qui discutiamo invece alcune proposte del presidente eletto, inerenti alla “laïcité”
Quello del “voto cattolico” è un dilemma ricorrente in ogni Paese di ordinamento democratico e dal sostrato popolare (anche solo parzialmente) religioso. Ciò vale quindi particolarmente per l’Italia e per la Polonia, cioè per i Paesi che più di altri in Europa conservano rapporti di sensibile collaborazione della sussidiarietà Stato-Chiesa; ciò vale però, sebbene in misura ridotta, anche per altre nazioni di antica cultura cristiana e cattolica, come la Francia, la Spagna e il Portogallo. E conserva un suo variabile rilievo anche fuori di questi contesti “privilegiati”.
All’indomani del secondo turno delle Presidenziali francesi, che ieri sera ha incoronato capo dello stato Emmanuel Macron, si capisce che gli analisti tornino a scartabellare le statistiche e a tracciare proiezioni. Così stamattina le agenzie de La Croix annunciavano che «Macron avanza tra i cattolici, ma il Front National cresce». Bisogna ricordare che lo storico quotidiano di ispirazione cattolica si era risoluto, tra il primo e il secondo turno, ad appoggiare apertamente il candidato centrista, e comprensibilmente ora comincia a presentare al neo-eletto presidente dei garbati promemoria che vorrebbero far fruttare al meglio il contributo del voto cattolico (sicuramente gonfiandone le quotazioni, come in ogni trattativa). La distribuzione del “voto cattolico” nell’ottava legislatura della V Repubblica francese si rivela quindi corrispondente alla fotografia che Erwan Le Morhedec (avvocato, blogger e scrittore cattolico – nonché riluttante elettore di Macron) ne scatta nell’Introduzione al suo Identitaire. Le mauvais genie du christianisme (un libro che sarebbe bello vedere tradotto in italiano):
Se i praticanti regolari continuano a votare per il Front National in proporzioni certamente trascurabili, rispetto all’insieme dei francesi, il partito frontista cresce più rapidamente tra di loro di quanto non faccia nell’elettorato medio.
E difatti, se l’indomani della schiacciante vittoria di Macron è pure quello dell’acerba sconfitta di Marine Le Pen, va detto che il Front National ha riportato a casa un risultato inusitato, un record assoluto della propria storia alle presidenziali. Così da un lato Jean-Lin Lacapelle, segretario frontista nazionale, ribadisce a spron battuto:
È un risultato storico! Saremo la prima forza di opposizione del Paese!
E dall’altro a nessun analista sfugge come il plebiscito che ha portato Macron all’Eliseo abbia dell’impressionante ma porti su di sé l’ombra di una volatilità virtuale che è tipica di ogni fortuna costruita in tempi straordinariamente brevi: due mesi fa nessuno che non si interessasse di politica interna francese sapeva niente, di Emmanuel Macron, e in due mesi di paziente lavoro del “quarto potere” il silenzioso tecnocrate del governo Hollande è sfolgorato alla maggioranza dei francesi come l’uomo che tutti aspettavano. Il che ha davvero dell’incredibile, se non altro per i motivi ricordati dal repubblicano Henry Guaino:
[Macron] è un po’ il figlio deforme di François Hollande, del sistema mediatico-finanziario, della tecnocrazia e della politica delle cene eleganti. È la prosecuzione in peggio del sistema di cui i francesi vogliono sbarazzarsi e che egli dissimula sotto la maschera della giovinezza. Ma i francesi non tarderanno a rendersi conto che avranno portato al potere proprio quello che non volevano più. Quando quel giorno arriverà… prepariamoci alla collera del popolo.
Su Famille Chrétienne, che nei confronti di Macron ha invece tenuto una diffidente distanza, Hugues Lefèvre ha ricordato alcuni dati finali ricavati dall’analisi di quest’ultima tornata elettorale:
Se la prodezza realizzata dal candidato di En Marche! è notevole e lascerà il segno nella storia politica francese, essa non è ancora un trionfo. […]
Faccia attenzione che la vittoria non diventi una vittoria di Pirro. Emmanuel Macron è certamente eletto, ma con un reale difetto di legittimità. Al primo turno, il giovane squalo non aveva raccolto se non meno del 24% dei consensi, molto meno di François Hollande nel 2012, che aveva raccolto più del 28% dei suffragi. Da parte sua Nicolas Sarkozy, nel 2007, aveva ottenuto più del 31% dei voti al primo turno di scrutinio.
Inoltre, il forte punteggio del candidato di En Marche! al secondo turno maschera una mancanza di adesione dei francesi, riguardo a lui. In un’inchiesta Cevipof per il quotidiano Le Monde, pubblicata il 3 maggio, il 60% degli elettori che avevano intenzione di votare per Emmanuel Macron ammettevano di farlo per esclusione. In più, l’elevatissimo tasso di astensione (oltre il 25%, il più importante dal 1969, per un secondo turno di presidenziali) esprime bene la disaffezione di buon numero dei francesi riguardo al tizio di Amiens. Che deve ancora convincere, per non essere sconfitto troppo presto.
Ora, se queste sono le valutazioni a posteriori di un settimanale cattolico smaccatamente “di destra”, non sono mancate le valutazioni a priori di certo cattolicesimo “di sinistra”. In tale ristretto panorama spiccano senza dubbio le dichiarazioni dei gesuiti francesi di Projet, cugini dei redattori dell’italiana Aggiornamenti sociali:
I risultati del primo turno delle elezioni presidenziali sono stati fonte di speranza per alcuni e di delusione per altri. A prescindere delle nostre convinzioni, bisognerà comunque recarsi al voto il 7 maggio: non si può restare, per usare l’espressione di papa Francesco, a «guardare dal balcone la vita» (1) o la storia! La scelta è ormai circoscritta, ma votando possiamo e dobbiamo esprimere la nostra libertà. L’astensione, nel nostro sistema elettorale, lascia scegliere gli altri. Per questo non può essere una soluzione (2).
Questa decisione pone più di un cattolico davanti a un dilemma: il programma di entrambi i candidati non è compatibile con l’insieme dei valori della dottrina sociale della Chiesa. Ci limitiamo a richiamare due ambiti sui quali si cristallizzano spesso le opposizioni: il liberalismo di Emmanuel Macron sulle questioni della società si accorda male con l’attenzione verso la famiglia ribadita con forza dal magistero; il progetto di Marine Le Pen di lottare contro l’immigrazione e di privilegiare i francesi si oppone in modo radicale al costante richiamo della Chiesa ad accogliere lo straniero. Altri punti destano preoccupazione in entrambi i candidati, a partire dalla loro ignoranza della conversione ecologica a cui ci invita con vigore la Laudato si’.
Prendiamo atto delle parole dei religiosi, in questa sede, e non attardiamoci a discutere il loro uso delle autorità cui si richiamano. Bisogna pur dire che il riferimento alla dottrina sociale della Chiesa innalza di per sé il dibattito sui candidati, che spesso e volentieri si è arenato sui luoghi comuni quanto alla Le Pen e sulle freddure quanto a Macron. Innegabilmente, i rotocalchi hanno avuto buon materiale di lavoro attingendo alla “strana coppia” Brigitte-Emmanuel Macron ma, benché il candidato di En Marche! abbia pure sfruttato come “booster d’immagine” la sua insegnante d’adolescenza, perfino l’avversaria diretta ha evitato di colpirlo sul personale: «Non ha senso attaccare sul personale un avversario politico», aveva detto la Le Pen al Corriere della Sera.
Poiché dunque Macron è il nuovo presidente eletto della République – e soprassedendo sul fatto che l’attuazione delle sue promesse dipende largamente dalle elezioni politiche (11 e 18 giugno p.v.) – proviamo a scorrere il suo programma e cerchiamo di capire se davvero (e casomai perché) il programma di En Marche! non è compatibile «con l’insieme dei valori della dottrina sociale della Chiesa».
Ancora una considerazione ovvia, ma che non sarà superfluo richiamare: un qualsivoglia programma politico e (a maggior ragione) il polimorfo corpo della dottrina sociale cattolica presentano contenuti estremamente complessi. Confrontarli in una sede come questa richiede necessariamente forti approssimazioni e semplificazioni. Viceversa, una trattazione serrata ed esaustiva esigerebbe lo spazio di una monografia (e fatalmente lascerebbe indecise alcune questioni-limite). Mi limiterò quindi a qualche spunto con poche relative osservazioni, limitandomi ai passaggi espressamente dedicati al rapporto dello Stato con i culti e con le religioni.
Alle pp. 18-19 del suo programma, per esempio, Macron fa scrivere: «Applicheremo strettamente il principio di laicità». E spiega:
Organizzeremo per i ministri del culto una formazione universitaria alla laicità, ai valori della République e alla lingua francese. Svilupperemo la conoscenza delle differenti religioni a scuola, prevedendo un insegnamento specifico sul fatto religioso.
C’è di che restare perplessi: a che titolo lo Stato pretenderebbe di “formare alla laicità” i ministri di culto? E con quali criteri? È vero che il riferimento “alla lingua francese” farebbe pensare che la proposta si indirizzi meno ai parroci e ai rabbini che agli imam, ma vi sono ugualmente, in Francia, tanti preti extracomunitari, e forse sul francese di alcuni di loro si potrebbe trovare da ridire… di nuovo, a che titolo dovrebbe incaricarsene lo Stato? Quanto ai corsi di religione nella scuola statale, certamente lo Stato è padrone di stabilirvi le regole che preferisce nell’insegnare le discipline che voglia… e tuttavia di fronte a uno Stato che pretenda di “formare i ministri” delle confessioni religiose, come si potrebbe stare tranquilli al pensiero che insegni ai bambini e ai giovani “il fatto religioso” secondo una simile lettura laicista?
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Due punti a seguire si legge: «Smantelleremo le associazioni che, sotto il velo della religione, attaccano la République». E specifica:
Chiuderemo definitivamente i luoghi di culto nei quali alcuni predicano l’apologia del terrorismo.
Qui il bersaglio è molto meno equivoco, visto che solo in alcune moschee capita di trovare imam radicalizzati che inneggiano al terrorismo. E tuttavia – se al punto precedente ci chiedevamo se quella proposta fosse coerente col cavouriano “libera Chiesa in libero Stato” – stavolta il pensiero corre a Giustiniano, l’imperatore teologo. Il quale pure ai suoi tempi dichiarò che alcuni culti, col pretesto di fare religione, attaccavano la Res Publica: è vero che l’imperatore governò una macchina in cui il cristianesimo era già stato dichiarato religione di Stato, e che egli trasse le conseguenze di certe impostazioni; ma non viene ugualmente il sospetto che lo Stato inquisitorio di Macron elevi a religione di Stato la laicità (o forse il laicismo)?
Potremo averne un saggio quando Macron riceverà l’invito ad accettare la carica di Protocanonico onorario dell’Arcibasilica papale di San Giovanni in Laterano, che per antica consuetudine viene conferita ai presidenti della République (come già avveniva per i re di Francia). Che farà? Imiterà il protettore François Hollande, di cui già per altro raccoglie la penosa eredità, oppure l’antico rivale Nicolas Sarkozy? Perché il primo neppure si presentò alla cerimonia d’insediamento simbolico; il secondo presenziò e pronunciò un significativo discorso proprio sulla laicità. Non una cosa da baciapile, intendiamoci, anzi sul finire provocava il clero che lo ascoltava constatando la difficoltà di conciliare istanze contrapposte – cosa che talvolta il principio di laicità deve incaricarsi di fare –:
Non si è sacerdoti a metà. Credetemi, non si è neppure presidenti a metà. Capisco i sacrifici che fate per rispondere alla vostra vocazione perché pure io, da parte mia, so quello che ho fatto per realizzare la mia.
Dunque che farà Macron per corrispondere alla sua? Rileggo i punti del programma di En Marche! e mi dico che in fondo c’è sempre l’Assemblée Nationale, nel cui contesto qualcuno potrà difendere i diritti della Chiesa. E aggiungo che, se non bastassero i parlamentari, ci saranno sempre le istanze proprie del diritto concordatario… e mi ricordo che pure quello, in Francia, è grossomodo fermo al 1905, e che Hollande aveva annunciato in campagna elettorale di volerne smantellare anche quelle poche tracce. Allora mi sorprendo a pensare che forse in quella Francia che veniva chiamata “la primogenita della Chiesa” i diritti del cristianesimo potranno non essere difesi efficacemente né dai politici né dagli ecclesiastici. E mi risuonano presaghe le parole di monsignor Igor Kovalevsky, segretario generale della Conferenza dei vescovi cattolici in Russia, spese in difesa dei Testimoni di Geova che il governo ha proditoriamente dichiarato illegali in terra russa:
Quantunque non ci siano segni che la Chiesa cattolica possa essere trattata come i Testimoni di Geova, bisogna che il governo rassicuri i cittadini sul fatto che la libertà di coscienza verrà rispettata.
Eppure Macron ha mostrato di non disdegnare affatto, nella comunicazione, la forza dei simboli religiosi: è vero, ieri sera la sua festa si è tenuta di fronte alla piramide del Louvre, e con questo omaggio al proprio milieu massonico il neo-eletto presidente si è voluto distanziare dalle tradizioni “di destra” (il cui simbolo è piuttosto Place de la Concorde) come da quelle “di sinistra” (che volentieri si ritrovano a Place de la Bastille); però la sua campagna è cominciata di fronte alla basilica di Saint-Denis e si è conclusa davanti alla cattedrale di Rodez. Il saggista André Bercoff non se ne stupisce troppo e spiega così l’apparente anomalia:
Emmanuel Macron è un telepredicatore. Pretende di incarnare il campo del bene e di lottare contro le forze del male. Ha un carisma da pastore americano di provincia, riveduto e corretto per le esigenze di Facebook. La sua vittoria coincide con la fine di un ciclo e, forse, con la fine della V Repubblica…
Un respiro di sollievo, sul rapporto Stato-Chiesa in Francia, lo regala solo un candidato che non è arrivato al secondo turno, e che anni fa aveva dichiarato a L’Express:
Mia madre era cristiana, sono stato cresciuto così, ho servito la messa in latino. Per curiosità intellettuale, ho potuto in seguito comprendere il cristianesimo, poi altre religioni. […] Non mi sono mai burlato della fede, e non lo farò mai.
Lo stesso politico avrebbe poi dichiarato a La Vie:
Provo una gioia inesprimibile nel discutere con persone che hanno la fede. Si collocano in uno spazio comparabile al mio, in un dominio più grande del loro io. Partiamo dalla medesima idea: nessuno tra noi può essere felice in un oceano di infelicità. Siamo responsabili della sorte degli altri. Mi è più facile parlare con dei cristiani che con dei traders, che invece sono all’opposto del mio mondo, fatto di responsabilità morale, individuale e collettiva.
È Jean-Luc Mélenchon, candidato del Front de gauche, massone dichiarato. Dice molte altre cose inaccettabili, per un cattolico, sulla Chiesa e sul posto della fede nella società. Eppure siamo a un punto tale che le sue parole giungono già balsamiche, dopo la lettura del programma di Emmanuel Macron; e se i cattolici non tornano a elaborare delle loro proposte politiche, originali e audaci, continueranno a essere semplicemente, nelle società, una specie di antico e famoso tesoro da saccheggiare. Finché ne varrà la pena.