Nel mondo ispanico impazza la citazione di Isaia che avrebbe predetto il conflitto siriano. Sciocchezze, ovviamente. Ma pure dalle sciocchezze si può imparare qualcosa. Per esempio cosa voleva dire Isaia e a cosa serva saper leggere le ScrittureDiventa virale, nel mondo ispanico, la foto della pagina biblica di Isaia 17, 3 che sembrerebbe annunciare l’attuale conflitto in Siria. Ora, sorvoliamo sul fatto che svegliarsi dopo sei anni di guerra siriana, riportata quotidianamente dai media di tutto il mondo, la dice lunga sul senso dell’“attualità” che purtroppo si coltiva in certi ambienti religiosi… a parte ciò, vediamo questo testo (lo traduco dallo spagnolo):
Tutto il regno di Siria smetterà di esistere,
proprio come la città di Damasco;
inoltre, le città del Nord,
che sono l’orgoglio di Israele,
si troveranno senza mura di cinta.
Io sono il Signore onnipotente
e giuro che sarà così.
Facilmente, se andate a controllare sulle vostre bibbie, trovate che il testo sarà un po’ differente. Nella CEI 1974 (che è ancora la versione più diffusa in Italia) si legge infatti:
A Efraim sarà tolta la cittadella,
a Damasco la sovranità.
Al resto degli Aramei toccherà la stessa sorte
della gloria degli Israeliti,
oracolo del Signore degli eserciti.
Le differenze balzano all’occhio, come si vede. Certo che, se noi “occidentali progrediti” fossimo un po’ meno ignoranti in storia e in geografia, alcune differenze tra le versioni si attenuerebbero subito; emergerebbero potenti invece quelle tra il testo biblico e la cronaca dei nostri giorni… e in definitiva ci faremmo prendere da meno ansie inutili.
Storia e geografia, quindi
Damasco è una cosa e “le città del nord” sono un’altra: la prima è la capitale del regno siriano e le altre sono i capoluoghi delle tribù del nord dell’antico Israele. Al tempo in cui si svolgono i fatti (ovvero tra il 735 e il 732 a.C.) il regno d’Israele vive una condizione di secessione: perciò quando si legge “Israele”, nei testi che si riferiscono a questo periodo, s’intende “il Regno del Nord”, con capitale Samaria; quando si legge “Giuda”, viceversa, s’intende “il Regno del Sud”, con capitale Gerusalemme. In quell’epoca, Damasco era sede di una dominazione aramea, ed ecco perché “gli Aramei” della traduzione italiana non sono un fungo spuntato chissà da dove, ma indicano la volontà del traduttore di offrire al lettore un’informazione in più. Difatti nel testo greco dei LXX si legge “Siri”, non “Aramei”, ma abbiamo capito che in quel momento la Siria, e quindi Damasco, era sotto il dominio arameo.
Altra cosa importante: malgrado le assonanze e le allitterazioni, i Siri non sono gli Assiri – e questa informazione (che può suonare erudita ma è in realtà elementare) è estremamente importante per completare il quadro geopolitico dell’epoca. Osservandolo con un ampio angolo, il quadro parte da sud-ovest con l’Egitto e termina a nord-est con l’Assiria (diciamo l’attuale Iraq, per capirci). Tra queste due grandi potenze economiche e militari stavano, neglette e scure, le tribù d’Israele, ormai divise tra Nord e Sud e tanto desiderose di salvaguardare i loro piccoli privilegi quanto incapaci di superare i particolarismi locali (un’icona sempreverde di certe dinamiche ecclesiali). Che succede? Che per scoraggiare l’espansione a sud-ovest dell’impero assiro di Tiglat-Pileser III, nella seconda metà dell’VIII secolo si forma una lega antiassira formata da Israele (sotto il regno di Pekach) e Siria (sotto il regno di Rezin): questi cercano di coinvolgere Giuda (sotto il regno di Iotam), al quale però non sembra un’idea geniale sfidare l’Assiria di Tiglat-Pileser III, che viveva una potente espansione militare e sociale. Ragion per cui, anche per prevenire “sorprese alle spalle in caso di guerra”, la lega si scatena contro Giuda (!) – e a quel punto vi si aggregano anche gli Idumei, che speravano di portare a casa qualcosa dal facile bottino dalla carcassa di Gerusalemme.
Il parapiglia che porta il nome di “guerra siro-efraimita” lascia un po’ nello sconcerto l’Egitto che, coltivando ovvie mire espansionistiche, è da un lato contento di vedere i vicini scannarsi con tanto zelo, ma dall’altro vede compromessa la speranza che la lega costituisse a suo modo un pur debole argine contro l’avanzata assira («I morti non costano», avrebbe detto il memorabile Edoardo Plantageneto in Braveheart, mandando in battaglia gli Irlandesi contro gli Scozzesi: più o meno il concetto è quello). E non si può avere tutto tutto, nella vita: pazienza. Comunque, nel dubbio, l’Egitto sostiene la lega.
Il fattaccio succede quando muore Iotam, il re di Giuda, e gli succede il giovane Acaz, che da una parte vorrebbe tenere la linea dura del padre e dall’altra si rende conto che le forze in campo sono quelle che sono. Allora che fa? Ma la cosa più ovvia (e quella contro cui, giustamente, si scagliano i profeti dell’epoca): visto che la lega è ormai arrivata ad assediare Gerusalemme, e considerando che l’Egitto sostiene la lega, resta solo da supplicare l’Assiria di intervenire. E Acaz, sperando di salvare Giuda e il proprio trono, manda un bigliettino inequivocabile a Tiglat-Pileser III: «Io sono tuo servo e tuo figlio: vieni e salvami dalle mani del re di Siria e dalle mani del re di Israele, perché ce li ho addosso» (2Cron 16, 7). Figuriamoci se il buon re assiro, che stravinceva su tutti i fronti, poteva negarsi a una così devota offerta di vassallaggio: Tiglat-Pileser, dunque, scende e conquista Damasco e Samaria, dà una frustata all’Idumea, per esemplarità, e impone ad Acaz un bel tributo come segno di gratitudine e di amicizia (e lo lascia lì, tanto anche lui aveva il pensiero dell’Egitto, e un morto come scudo non costa, anzi in questo caso paga pure).
Dopo uno si stupisce che samaritani e giudei si detestassero tanto cordialmente… (anzi la cosa che desta meraviglia, dal punto di vista narrativo, è che in Gv 4 Gesù, che dall’accento doveva passare tranquillamente per galileo, ovvero delle tribù del nord, si metta a fare l’apologia del giudaismo – e abbiamo visto che non c’era di mezzo solo la riforma di Giosia, che peraltro viene un secolo dopo la guerra siro-efraimita). La storia andrebbe anche avanti, con dei rovesci interessantissimi, ma ora non possiamo seguirla tutta: quello che abbiamo detto basta per capire di cosa stia parlando il passo isaiano che tanto sacro furore suscita nei social. Quindi non c’entra niente Assad, né tantomeno Putin, e ancora meno Trump. Resta forse valido, invece, il consiglio politico dei profeti in genere: evita le secessioni interne e non ti ridurrai a diventare vassallo di potenze esterne.
Meglio studiare (e credere al Vangelo)
Questo ci porta ad altre considerazioni, più radicali e quindi più importanti:
- La prima è che se la letteratura profetica resta a tutt’oggi la più ampia voragine della cultura scritturistica dei cattolici (in genere) lo si deve al fatto che la conoscenza del contesto storico dell’Israele antico si limita perlopiù a qualche nozione sul (breve) periodo del regno unito. La ripercussione finale è difficilmente calcolabile, perché buona parte del messaggio profetico biblico, come anche oggi abbiamo potuto constatare, è di natura teologico-politica: la “dottrina sociale” ispirata dalla Rivelazione potrebbe essere assimilata capillarmente da considerevoli numeri di cristiani. Il giudizio che essi porterebbero su questioni di politica interna ed estera (come appunto la sciagurata guerra in Siria) sarebbe preparato da un acuminato senso profetico – che non vuol dire “predire il futuro”, ma cogliere l’essenza delle dinamiche storiche con intelligenza ispirata.
- La seconda è che il senso della grande storia, oltre che della politica, vive un analogo scollamento: come infatti per la politica da una parte la si considera irrilevante nella vita di fede e dall’altra ci si butta su opzioni sempre confliggenti coi propri valori; così per la storia da una parte si vive senza cogliere la presenza e l’azione costanti di Dio nel tempo, e dall’altra si sta pronti a gridare alla fine del mondo per ogni coincidenza, per ogni “predizione”, per ogni “citazione scritturistica”. Proprio la Scrittura, però – e riportando le parole di Gesù – ci ha insegnato:
Quando sentirete di guerre e rivoluzioni, non vi agitate: è necessario che prima avvengano queste cose, ma non sarà subito la fine. […] I popoli si getteranno l’uno sull’altro, e i governi l’uno sull’altro. E ci saranno in giro grandi terremoti, ed epidemie, e carestie, ed eventi formidabili dal cielo.
E per evitare che il cristianesimo diventasse una specie di geo-astrologia, Gesù riportò gli uditori coi piedi per terra, soggiungendo:
Ma prima vi metteranno le mani addosso, vi perseguiteranno, vi trascineranno nelle sinagoghe [ma anche nelle moschee e nelle stesse chiese, N.d.T.] e in carcere; vi tradurranno davanti ai capi di Stato e alle Istituzioni a causa del mio nome. L’occasione vi sarà propizia per dare testimonianza.
(Lc 21, 9-13)
Che tipo, Gesù: ci annuncia le peggio cose e conclude dicendo che «l’occasione ci sarà propizia per dare testimonianza». Testimonianza di che? Certo non di presunte apparizioni con messaggi speciali, né di esegesi sensazionalistiche e inconsistenti delle Pagine sacre. La testimonianza va data rispetto al Regno, che «è in mezzo a noi» ed è Gesù stesso, vivo e operante nella storia (della quale la Pasqua lo ha incoronato signore assoluto).
Il discorso di Gesù si apre e si chiude con due raccomandazioni che potrebbero riassumere saporitamente ciò che c’è da dire su “Isaia che annuncia la guerra in Siria”:
Ficcatevi bene in testa di non stare a pianificare come rispondere: sarò io a darvi bocca e sapienza irresistibili, a cui nessuno dei vostri avversari potrà replicare.
(Lc 21, 14-15)
e soprattutto:
Vedete di non farvi fregare: molti verranno millantando il mio nome dicendo «Sono io!», oppure «Il momento è giunto!». Non andateci appresso.
(Lc 21, 8)