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Spiegare alle figlie come si diventa donne. Come si fa?

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Pixabay.com/Public Domain

Paola Belletti - Aleteia - pubblicato il 11/04/17

Dalla mia esperienza personale degli incontri Il Corpo racconta un invito ad accompagnare le nostre figlie alla scoperta della bellezza vera e profonda della nostra corporeità

Un esempio positivo ed un vero percorso di introduzione alla corporeità, all’amore e alla sessualità. Un’occasione che mi sento di suggerire a tutte.

Vi racconto la mia esperienza degli Incontri Il Corpo racconta meglio conosciuti come Incontri mamma-figlia inventati da «Fabia Ferrari-Augustoni, sposa e mamma, insegnante del Metodo dell’Ovulazione Billings, animatrice di corsi di educazione sessuale e formatrice di adulti.

La novità di questi incontri “Mamma & Figlia” è rappresentata da un approccio positivo, bello e pulito ai temi sessualità-amore-corporeità senza limitarsi ad una proposta esclusivamente informativa, ma tenendo conto degli aspetti affettivi e dei significati valoriali. Non si tratta di lezioni frontali noiose, ma laboratori interattivi originali e creativi che utilizzano una didattica concreta e coinvolgente.

Gli incontri “Mamma & Figlia” sono un momento educativo-formativo per la ragazza di circa 11 anni, nel momento dunque dello sviluppo, accompagnata dalla mamma. Si tratta di due incontri di tre ore ciascuno sulle tematiche della sessualità e dell’affettività, in gruppi di circa 7 coppie, in cerchio attorno ad un tavolo.

Prendendo spunto dalle imminenti mestruazioni si vuole dare un senso positivo alla femminilità, alla maternità, alla fertilità.

Tutte le animatrici dei corsi Mamma&Figlia sono insegnanti dei Metodi Naturali per la regolazione della fertilità, sono dunque esperte per quanto riguarda il ciclo mestruale e la fertilità, condividono il valore della vita, dell’amore e dell’accoglienza». Vedi al link

Sono le 13 e 40 minuti. Ci siamo dovute ingollare una sorta di pranzo  per poter partire ed arrivare in tempo. È sabato e alle medie il sabato si va a scuola. Ci aspettano per le 15.00. Siamo ad un terzo del viaggio e lei sta ancora sbuffando. Penso di addolcirla con una sosta strategica all’Autogrill.  Le prendo un libro nuovo.

Comprare un libro per comprare il consenso alla figlia va archiviato nella categoria “cedimenti pedagogici vergognosi” oppure, siccome si trattava di un libro, e di un buon libro, allora va spostato nella categoria “rischio educativo/talenti e inclinazioni da valorizzare”? Manterrei aperta la domanda.

Oppure la lascerei decantare, come diceva quel mio amico consulente quando gli ponevano domande alle quali non era lì per lì in grado di rispondere. Nella mia immaginazione questa cosa del viaggio lei e io sole, la prima delle tre figlie, per andare ad un incontro dedicato proprio alla bellezza della femminilità, al miracolo dello sviluppo e della crescita, avrebbe dovuto ammantarsi subito di un leggero strato di pathos ed essere corredato da una punta di malcelata commozione. Quando distolgo il mio sguardo dalla strada per brevi istanti, invece, incrocio il suo. Tra il guardingo e l’annoiato. Torno a fissare la strada.

Uscite dalle brume autunnali che nascondono i contorni delle rare case della campagna lodigiana ci approssimiamo al centro storico di Santo Stefano, lodigiano a sua volta.

Francesca e Sabrina, che hanno organizzato la serie di incontri mamma-figlia per accompagnare con dolcezza e verità le nostre fanciulle, e noi con loro, nella terra ardua e ricca della vera femminilità, ci accolgono con abbondanti sorrisi e ci presentano alle altre partecipanti.




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A breve la riunione comincia. Siamo sette mamme, ognuna con la propria figlia (sempre una alla volta perché deve esserci esclusività e intimità. Io ero tentata di puntare alla praticità e di ottimizzare la trasferta portando anche la secondogenita, nata tanto a ridosso della prima da tamponarla, ma giustamente non si può. Serve una dedizione esclusiva).

Francesca, l’educatrice, comincia a parlare. E racconta in un modo bellissimo, delicato e vero come siamo fatte. Che tenerezza vedere quel nido… rappresenta l’utero. E si riempie di morbide stoffe e nastri rossi. Perché il suo scopo è accogliere un bambino; non sempre, non subito (a volte mai. Eppure la maternità è una chiamata per tutte, anche per chi non partorirà). Ma si prepara. Vicino a quello ci sono dei piccoli cestini pieni di ovetti al cioccolato. Sono le ovaie.

È bello, per loro e per noi, pensare al tempo in cui hanno abitato nel nostro utero. Nel racconto diventa anche un hotel a 5 stelle. E le tube il luogo dell’appuntamento. Gli ormoni sono ordini spediti dal comandante, il cervello (noi abbiamo già avuto il piacere di conoscerli, questi simpatici amici. Pianti e tristezze improvvise. Reattività al limite della denuncia penale).

L’ovulazione è il momento magico. Oppure è la protagonista su di un palcoscenico con dei tendaggi rossi ai lati; vengono usati i termini anatomici e fisiologici reali associati però al loro valore, al loro senso; per questo le metafore sono così numerose.

Vengono, purtroppo, anche utilizzati carta, colla, forbici, nastri. I lavoretti non sono mai stati il mio forte eppure ce la caviamo. Anzi, presto il fianco, consenziente, alle innocenti prese in giro di mia figlia. E comunque è vero. Il nostro teatrino è venuto tutto storto!

E si parla di pudore. Esclusiva dell’uomo.

Mi permetto una breve considerazione mia, riportando però il pensiero di un gigante della Chiesa. Nel testo di K. Wojtyla Amore e responsabilità, il futuro S. Giovanni Paolo II parla del pudore come del segnale che indica, a noi e agli altri, che in quanto persone non accettiamo di essere usati. Uno sguardo troppo desideroso, infatti,  che si posa su di noi come possibile oggetto di piacere ci provoca un naturale turbamento.  L’unico comportamento adeguato nei confronti della persona è l’amore. E poi spiegherà che, nell’unione matrimoniale, negli atti sessuali tra coniugi, la vergogna viene come assorbita dall’amore. Che meraviglia. Quanto è ricco, complesso, meraviglioso l’essere umano. Quanta bellezza inesplorata c’è nella differenza uomo-donna!

Gli occhi timidi e così profondi della mia bambina- che bambina non è più del tutto, si accendono. E con il suo audace pudore, appunto, con quel piglio da guerriera che custodisce la sua stessa fragilità, osserva, capisce, si scopre più importante.

Scorgo negli sguardi delle mamme e nelle battute che a volte si susseguono per mascherare o stornare dolori (il papà che non se n’è andato o il matrimonio che tanto desiderano che non arriva) una sottile nostalgia. Ed il rammarico, credo, per non avere percorso anche loro, noi, da fanciulle, questo sentiero misterioso e bello, accompagnate da qualcuno che ci dicesse, subito, già allora, e con le parole giuste, misurate eppure schiette, che potenza c’era nei nostri corpi femminili e nel loro significato. Che ci consegnasse allora l’armatura adatta a proteggere le nostre dimore..

Il percorso prosegue tranquillo, giocoso e partecipato. Anche dalla mia bambina. Francesca sa come prenderla. Quando mia figlia incontra questi adulti così intelligenti e delicati fiorisce. Nasce immediata una complicità, una stima. Un riconoscersi, adulto e fanciulla, nella propria personalità, in una timidezza superata, da vincere, oppure da accoglier.

Quando succede questo, allora è il mio cuore che di nuovo si fa nido! Che gioia potente avere permesso a mia figlia di venire al mondo. Di abitarlo e camminarci sopra col suo proprio passo. Inimitabile e irrinunciabile. Sì, perché quanto sarebbe più povero il mondo senza di lei!

Sto divagando. E mi sto pure commuovendo troppo, al punto che vedo le lettere tutte tremolanti e sfocate, mentre le infilo una dietro l’altra con il desiderio di trasmettervi la bellezza di quel che ho vissuto. Torniamo a noi e al primo dei due incontri di questo percorso Il Corpo racconta. A no, scusate. È ora della pausa merenda! Il salame da queste parti è buonissimo, constatiamo insieme mia figlia ed io. Quando saremo tornate a casa, lei, la più grande sarà ancora più grande davanti alle sue sorelle. E loro saranno un poco gelose e insieme golose di vivere a loro volta questo appuntamento così speciale, loro sole con la loro mamma. Lei non mancherà di sventolare sotto i loro nasi il quadernone con le pagine realizzate durante il laboratorio, accennando a qualche breve commento.

«Ora basta, sorelle, perché tanto così non potete capire. Dovete farlo anche voi, quando sarà il vostro turno». Infine, rivolgendosi a me: «Questo quaderno è mio e lo terrò sulla mensola alta della libreria. Per evitare che ci giochino e lo rovinino». Ha ragione, va tenuto in alto.

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