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Pochi preti, molte parrocchie: come fare?

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Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 11/04/17

La Chiesa si interroga e inizia sperimentazioni di coinvolgimento dei laici nella gestione ordinaria delle parrocchie, dall'Amazzonia alla Baviera

La difficoltà di mantenere e gestire l’enorme numero di parrocchie che la Chiesa cattolica ha ereditato dalla sua storia millenaria in Occidente (ma non solo) è un problema che sempre di più assilla le diocesi di tutto il mondo. Se da un lato c’è una crescita importante delle vocazioni dal cosiddetto “Global South (Sud America ma soprattutto Africa) è altrettanto vero che in particolare l’Europa sembra vivere un periodo di grande crisi per le vocazioni sacerdotali. In molti paesi del nord Europa questo sta comportando un ripensamento dell’estensione delle parrocchie con fusioni e accorpamenti e anche in città come Roma la norma sembra essere quella di chiese (e dunque parroci) che si devono occupare di 10-12 mila persone.

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Per questo da qualche anno la Chiesa sta riflettendo sulla (re)introduzione dei cosiddetti “viri probati”, uomini di chiara fede, sposati e impegnati nella propria comunità, perché possano essere ordinati come presbiteri o diaconi permanenti e aiutare laddove la carenza di sacerdoti “ordinari” sia più forte. Uno dei primi esperimenti in questo senso è in Amazzonia, dove le distanze tra un villaggio e l’altro sono continentali e i fedeli passano mesi senza poter vedere un sacerdote.




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Tuttavia questa strada, quella di un maggior coinvolgimento dei laici nella gestione parrocchiale, presto verrà battuta anche nella diocesi di Monaco di Baviera, dove il Cardinal Reinhard Marx sta riflettendo in questo senso proprio per non essere costretto a quell’accorpamento che renderebbe rarefatta la presenza cattolica in un territorio di grande tradizione come quello bavarese. Lo riferisce La Bussola Quotidiana:

La sua idea è che le parrocchie, anche in assenza di un sacerdote fisso, possono essere affidate ai fedeli laici, sia impiegati a tempo pieno, che volontari. E a partire dall’autunno l’arcidiocesi vuole introdurre in essere un progetto pilota, che apra la strada, nelle intenzioni dei promotori, a nuove forme di conduzione e guida parrocchiale. L’accorpamento delle parrocchie in entità più grandi non è la strada giusta, secondo Marx. «Stiamo sperimentando un grande sconvolgimento nella Chiesa in questo momento», ha detto all’assemblea plenaria Marx, ricordando che il Concilio Vaticano II ha parlato di «Un sacerdozio di tutti i fedeli», e aggiungendo che in questo campo non è stato fatto ancora tutto quello che era possibile; e che anche il Codice di Diritto Canonico prevedeva delle facoltà in questo senso. «La Chiesa locale è molto significativa. Sprecheremmo un numero altissimo di opportunità se dovessimo abbandonare le nostre radici territoriali. E’ un problema di restare visibili localmente».

Il porporato ha spiegato anche che il progetto pilota (pensato per la Foresta pluviale) nasceva in risposta alla mancanza di sacerdoti, «ma anche al fatto che non tutti i sacerdoti sono in una posizione adatta a guidare una parrocchia».




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Qualcosa di simile è quanto detto – e fatto – dal sacerdote tedesco Thomas Frings che da parroco ha lasciato il suo incarico non per il celibato, ma per la vita conventuale, spiegando che – per come sono ora le parrocchie – il timore di perdere la fede è forte, lo ha raccontato alla radio tedesca Deutschlandradio Kultur :

La forma sociale in cui io però ho vissuto come parroco – per mostrare la differenza, quello è l’incarico sociale che ho svolto all’interno della mia comunità di fede – viene svolto in una forma che è sempre più difficile da vivere, e questo lo confermano ora anche molti che poi dicono… Lo posso vedere nella mia esperienza: nel mio primo incarico, avevo 1.500 parrocchiani, nel secondo 3.000, nel successivo 10.000, e non sarebbe stato quello il limite! Quindi, si fanno le fusioni di parrocchie, le parrocchie diventano sempre più grandi. Essere preti con questa riforma è sempre più difficile (Traduzione a cura di Finesettimana.org).

Proprio la posizione dei laici è quella per padre Thomas che va valorizzata a partire dalla vocazione che ciascun battezzato ha in quanto tale:

“dobbiamo cambiare e dare veramente la responsabilità ai laici. Non soltanto passare loro degli incarichi da svolgere, ma anche la responsabilità ad essi connessa. E gli incarichi non sono quelli che si ritrovano fino ad ora, per continuare così. Invece, quando delle persone arrivano alla comunità ed hanno dei desideri, questi non devono essere rielaborati dalla comunità separatamente, ma devono essere attuati, essere fatti vivere insieme con le persone. Quindi non delego la realizzazione dei miei desideri alla Chiesa e alla comunità. Se ho dei desideri rispetto alla comunità, sono io stesso quello che deve assumersi la responsabilità della realizzazione di questi desideri, come battezzato”.

Non ci sono risposte definitive ai cambiamenti che quasi certamente la Chiesa dovrà operare per restare fedele alla propria missione in un contesto sociale completamente diverso da quello fin qui vissuto e pensato. Quello che può sembrare un mero problema organizzativo non lo è affatto, chiama in causa l’ecclesiologia e l’applicazione del Vaticano II in materia di responsabilità dei laici nella Chiesa, un ripensamento che è anche una conversione e che l’attuale pontefice sta prendendo molto sul serio, basta pensare alle molteplici occasioni in cui parla ai laici e dei laici nelle sue omelie. Il centro dell’appartenenza alla Chiesa è il battesimo, l’adozione in Cristo di ogni persona.

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