“Ogni notte vedo 10 delitti”Fratello Ciriaco Santiago, noto anche come fratello Jun, risponde al telefono alle 21.00. Sta guidando. Ogni giorno, quando finisce il suo lavoro nella comunità dei Redentoristi, afferra la telecamera e gira per Manila documentando le morti collegate alla guerra alla droga scatenata dal Presidente Rodrigo Duterte, che potrebbe aver già provocato 8.000 vittime.
In questo conflitto, come nota l’Economist, i sospetti vengono uccisi da “polizia, vigilantes e rivali (le tre categorie si sovrappongono)”.
“La maggior parte dei filippini è entusiasta, anche se teme per la propria sicurezza. Molti stranieri sono infastiditi”, nota l’Economist. “Piaccia o no, la campagna ha completamente offuscato gli otto mesi di incarico di Duterte”.
Alla fine di gennaio, la guida dei vescovi filippini, l’arcivescovo Socrates Villegas, ha diffuso una dichiarazione in cui deprecava i metodi utilizzati: “Il traffico di droghe illegali dev’essere fermato e vinto, ma la soluzione non è l’uccisione dei presunti tossicodipendenti e spacciatori”, ha dichiarato. “Un ulteriore motivo di preoccupazione è il regno del terrore in molti luoghi abitati dai poveri. Molti vengono uccisi e non per la droga”.
Leggi anche:
Filippine: sì alla pena di morte, la Chiesa protesta
Il segnale del cellulare di fratello Jun si perde, e la conversazione viene rimandata. La mattina dopo, dice ad Alfa y Omega cosa è successo durante la notte. “Abbiamo visitato tre scene del crimine, per un totale di sei vittime. Tutte sono state uccise a colpi di arma da fuoco a casa propria. In generale, nell’area metropolitana di Manila ci sono stati 11 omicidi”. Ogni notte sembra esserci una media di dieci vittime.
Fratello Jun ha perso il conto delle foto che ha scattato da dicembre, quando ha iniziato la sua missione. A ottobre la sua congregazione è stata coinvolta nel progetto Rise Up, avviato da organizzazioni cattoliche e protestanti insieme alle famiglie delle vittime per prendere posizione contro le esecuzioni extragiudiziarie di persone sospettate di avere legami col mondo della droga avvenute da quando Duterte ha assunto il suo incarico l’estate scorsa. È da questo che è nata l’idea di tenere un registro dei crimini.
Fratello Jun è un fotografo amatoriale, e si è offerto volentieri per il compito. “La nostra vocazione è stare con i più abbandonati, e ora li riconosciamo nelle vittime di queste violazioni dei diritti umani. Siamo la loro voce. Vogliamo usare le foto come prova e per ottenere l’attenzione della comunità internazionale”.
I vescovi filippini hanno chiesto a Rise Up di inviare loro tutto il materiale che si ottiene. I presuli hanno spesso denunciato gli omicidi, e hanno avviato varie iniziative per la cura dei tossicodipendentei.
I vescovi hanno anche criticato altri progetti di Duterte, come il ripristino della pena di morte, una riforma della Costituzione che permette la dichiarazione della legge marziale senza il permesso del Congresso e l’abbassamento dell’età minima per la responsabilità penale da 15 anni a 9.
Il registro di omicidi di Rise Up verrà anche inviato al Fronte Democratico Nazionale, il movimento comunista con cui il Governo ha ripreso le conversazioni per porre fine alla guerriglia che sta infliggendo gravi danni al Paese. Il religioso redentorista spera che possa costringere il Governo a porre fine alle esecuzioni.
Con i lombrichi
Nel suo “secondo lavoro” con Rise Up, fratello Jun accompagna un gruppo di circa 10 fotografi filippini. “I corrispondenti stranieri ci chiamano lombrichi”, ha affermato. Riuniscono informazioni della polizia, dei membri della comunità, delle reti sociali e delle famiglie delle vittime e si recano sulle scene del crimine a Manila. Non hanno protezione, pur sapendo che tra i curiosi che gironzolano intorno ai morti potrebbero esserci persone che li controllano. Il Governo ha infatti fatto sapere a fratello Jun che li sorveglia.
Leggi anche:
Filippine, i preti-coraggio sfidano Duterte
Oltre a scattare fotografie, fratello Jun intervista i familiari ed elabora un profilo delle vittime. Tra queste, spiega, c’è un po’ di tutto: chi consumava droga e basta, chi si è coinvolto in affari loschi per poterla comprare… Ci sono però anche danni collaterali e molti morti innocenti, anche bambini di appena cinque anni. Il religioso non dispone ancora di dati definitivi, ma la percentuale di vittime innocenti è “elevata”, afferma.
Quello che non ha mai visto è un signore della droga o un poliziotto corrotto tra le vittime. L’unica cosa che le vittime di omicidio hanno in comune è che “sono molto povere, non potete immaginarvi quanto”.
La minaccia dei vigilantes
Alcuni omicidi, circa 2.500, sono avvenuti per mano della polizia, che in genere sostiene che le vittime opponevano resistenza all’arresto. Un recente rapporto di Human Rights Watch ha accusato i funzionari di falsificare le prove per giustificare le morti. A gennaio il Governo ha fermato temporaneamente le operazioni antidroga per via di una corruzione crescente nelle forze dell’ordine, ma fratello Jun ha spiegato che gli omicidi sono ricominciati.
La maggior parte delle vittime, ad ogni modo, muore per mano dei vigilantes. “Arrivano su motociclette o furgoncini e sparano alla testa, o entrano in casa e premono il grilletto”.
Sono diffusi i sospetti di legami tra questi gruppi e il Presidente. Duterte stesso ha detto di aver ordinato di fermare i trafficanti di droga, e si è vantato di averne uccisi vari con le proprie mani quando era sindaco di Davao.
Armando Picardal, un altro redentorista, ha spiegato ad Alfa y Omega a settembre di aver documentato il rapporto tra il Presidente attuale e gli squadroni della morte a Davao.
Nonostante questo, fratello Jun è cauto: “Posso parlare solo dei fatti, non posso dare la mia opinione. È molto difficile provare chi siano i vigilantes e perché agiscano così. Abbiamo alcuni indizi, ma per il momento non posso dire niente”.
Un lavoro notturno… e uno diurno
Ad ogni modo, una cosa è chiara: il linguaggio infuocato del Presidente e il fatto di vantarsi di aver usato la violenza per porre fine al problema della droga incitano “più omicidi. Stanno aprendo le porte dell’inferno e creando un sistema perverso: violenza per il bene della violenza”.
Fratello Jun teme che le vedove e gli orfani delle vittime possano sprofondare ancor più nella povertà per la morte della persona che portava il pane a casa, e che gli omicidi possano perpetuare, anziché risolvere, crimine e violenza.
Per evitare questo, Rise Up, oltre a documentare le esecuzioni, ha creato un programma di sostegno per le famiglie, coordinato proprio da fratello Jun, che è il direttore dell’ufficio per l’apostolato sociale della sua congregazione. “Se la famiglia è pronta ad affrontare una battaglia legale, abbiamo un gruppo di avvocati che può aiutare in questo senso”.
Il programma offre anche assistenza psicologica e formazione e aiuto per trovare un lavoro. C’è anche una casa in cui ospitare le vittime ancora in pericolo.
I giri notturni del fratello redentorista terminano alle 4.30. “Alle 9.30 inizio la mia routine quotidiana” come un membro qualsiasi della comunità religiosa.
Nella sua agenda settimanale, però, c’è un altro momento libero: ogni volta che può, il religioso nel fine settimana fa visita alle famiglie e le accompagna durante il funerale dei loro cari.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]