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Non porti il velo? Allora, ti raso i capelli! E il cocktail antislamico è servito

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Giovanni Marcotullio - Aleteia - pubblicato il 03/04/17
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Giustamente Giuseppe Spadaro, presidente del Tribunale per i minori di Bologna, ha chiesto che si evitino strumentalizzazioni, sul caso di “Fatima” (nome di fantasia concordemente usato dalla stampa), la 14enne di origini bengalesi allontanata dalla famiglia con le sue sorelle. D’altro canto, nessuno pensava che una simile vicenda potesse lasciare indifferenti i media e l’opinione pubblica, e difatti se ne parla da giorni: è anzi lecito nutrire il sospetto che quanti hanno avviato le dinamiche della vicenda lo abbiano fatto precisamente a tale fine.

Ma richiamiamo anzitutto i fatti: un’alunna di terza media di una scuola bolognese si è presentata in classe, sul finire del mese di marzo, con i capelli cortissimi. In quel contesto, la ragazza ha spiegato che sarebbe stata la madre a tagliarle i capelli in quel modo: lo scopo della donna – evidentemente fallito – sarebbe stato quello di porre alla figlia un forte deterrente dal togliersi il hijab fuori casa. L’insegnante ha chiamato la preside e quest’ultima ha sporto denuncia in Procura “per maltrattamenti in famiglia”. Così i Carabinieri di Borgo Panigale sono intervenuti e – appena il tempo di coordinarsi coi servizi sociali – hanno sottratto tutte e tre le ragazze al tetto domestico e alla patria potestà. Il sindaco Virginio Merola plaude alla decisione della preside riferendosi alla necessità di adattarsi alle leggi e alla Costituzione italiane.

Poi viene fuori la dichiarazione della sorella maggiore, 17enne, ai microfoni di Trc: «Non è stato per il velo che è stata rasata, ma perché si era tagliata i capelli da sola e le sue amiche le avevano detto che non stava bene. Però non ha detto alla mamma: “No, non mi rasare”. Anche la mamma stava piangendo, perché anche lei era dispiaciuta di tagliarle i capelli». Da parte sua, la madre dichiara: «Le abbiamo tagliato i capelli perché aveva i pidocchi. E poi per rinforzarle i capelli. Da noi si usa così». Evidenti incongruenze coi fatti pubblici portano il lettore a giudicare queste parole come un (maldestro) tentativo di mettere una toppa su uno strappo che si è rivelato più grande di quanto, probabilmente, Fatima stessa volesse. La quattordicenne, infatti, verosimilmente conscia della grave piega che la situazione prendeva, si era affrettata a dichiarare che nessuno, a casa, le aveva mai fatto violenza.

Ma che cosa siano violenza e maltrattamento, a quanto pare, lo decidono ormai procuratori e giudici, che fanno giurisprudenza su disposizioni inesistenti (a quali leggi si riferisse il sindaco Merola sarebbe interessante saperlo): la stampa, da parte sua, si è solo fatta un dovere di precisare che il comportamento della famiglia non sarebbe dovuto a motivazioni religiose. Anzi, i media si sono premurati di far sapere che il padre di Fatima neanche va in moschea il venerdì, e hanno corredato la notizia con la dichiarazione di Yassine Lafram (coordinatore delle comunità dei musulmani bolognesi): «Qui siamo al di fuori del religioso: è un fatto che va inquadrato in un codice culturale particolare ed errato». In ultimo, interpellate le istituzioni deputate allo sviluppo legislativo, si è ottenuta in risposta la dichiarazione di fede di Laura Boldrini – «sono dalla parte delle donne e delle ragazze, sempre» (pare che a codesta religione femminista la Boldrini deroghi solo quando una pletora di femministe le chiede il patrocinio per protestare contro l’utero in affitto).

Riportati i fatti, cerchiamo di darne una lettura quanto più possibile chiara, ampia e non banale: l’ingerenza delle istituzioni statali nella vita di una famiglia che non risulta aver violato alcuna legge si segnala per prepotenza ideologica, soprattutto considerando che si toccano i temi della libertà educativa e della responsabilità sui minori (e duole ricordare che le sedi bolognesi non sarebbero nuove a questo tipo di abuso). Naturalmente sui capelli rasati di Fatima hanno marciato i soliti noti che sulla xenofobia e sull’ostilità all’islamismo hanno fondato carriere politiche o “intellettuali”: da parte loro si potrà facilmente osservare che mai una donna occidentale violerebbe l’integrità fisica (o la sua sfera prossima) per costringere psicologicamente i figli ad assumere certe abitudini culturali. Vero, forse, ma ancora più facilmente si potrà ribattere che la circoncisione dei giovanissimi musulmani “viola l’integrità fisica della persona” parecchio di più di una rasatura (e infinitamente più del velo). Ma non risulta che per la circoncisione (anche dolorosa, specie se non la si pratica da neonati come avviene nell’ebraismo) si levino le vibranti proteste suscitate dal velo.

Questione di femminismo? In parte: gioca in tal senso anche l’opportunismo politico che, per ipocrisie non scritte dell’Occidente, vieta di tirare in ballo gli ebrei. E naturalmente questo depone a sfavore dell’Occidente, non del giudaismo, il quale è tradizione religiosa-culturale così antica e nobile da non dover rendere conto a procuratori e giudici della propria concezione della vita e della persona umana. Ma lo stesso vale anche per gli islamici. Anzi, l’ordinamento repubblicano italiano permette la sospensione delle norme statali sulla macellazione animale, per motivi religioso-culturali, tanto in riferimento alla disciplina kosher quanto riguardo a quella halal. Curioso che i principî di religione e cultura debbano valere per come si trattano gli animali (anche facendoli soffrire) e non per come si educano gli uomini (i quali, semmai, soffrono tutti, esistenzialmente, nel semplice accedere all’età adulta).

Ma queste contraddizioni rivelano un sottotesto culturalmente e politicamente più rilevante, che poi è la ragione per cui riteniamo di interessarci al caso di Fatima: proprio il fatto che la sua famiglia sia “religiosamente tiepida” ha offerto ai demiurghi del pensiero unico l’occasione perfetta per porre un pericoloso precedente sulla via per il totalitarismo radicale globale senza entrare in guerra (ufficialmente – ma non si illudano) con l’islam. Non più tardi di un paio di anni fa il sociologo Massimo Introvigne scriveva, riguardo a due scuole svedesi e a una tedesca gestite da protestanti dediti alla resilienza culturale: «Entrambe sono continuamente vessate da ispezioni della polizia e delle autorità scolastiche. In un caso […] le ispezioni hanno ammesso che il livello dell’insegnamento è ottimo, ma hanno minacciato la chiusura se l’uniforme scolastica continuerà a essere diversa per ragazzi (pantaloni) e ragazze (gonna), il che è contrario all’ideologia di genere il cui insegnamento teorico e pratico è obbligatorio in Svezia anche nelle scuole non statali. Nell’altro caso, in Germania, il fatto che i bambini siano talora corretti con punizioni corporali – non si tratta di chissà quali tremende violenze, ma di qualche sculacciata – ha portato alla sottrazione ai genitori dei figli, che sono stati dati in affido a famiglie “normali”. In una serie di raid poliziotti tedeschi in assetto di guerra hanno messo a soqquadro la comunità e portato via i bambini. Si dirà che si tratta di “sette”: ma è il principio che conta, e comunque per un certo laicismo è una “setta” chiunque insegna ai bambini cose che non piacciono ai poteri forti. Non illudiamoci. Nell’Europa del politicamente corretto le isole di vita alternativa non saranno tollerate».

Parole che meritano di essere rilette, alla luce del caso di Fatima e di ciò che esso implicherà. Anche la libresca “Benedict Option” di Rod Dreher, che in certi ambienti sembra alimentare qualche speranza, non riuscirà ad arginare il trend. La storia lo insegna: l’integrazione culturale è stata possibile, in Occidente più che in Oriente, proprio per il sostrato giudaico-cristiano che innervava la società e le istituzioni. Il Mercante di Venezia di Shakespeare sarebbe finito con la morte di Shylock, se nella sentenza il Doge e Antonio non avessero voluto magnificare quella clemenza di cui Porzia, travestita da avvocato, aveva tessuto le lodi poco prima:

La clemenza per sé non soggiace mai
a costrizione; essa scende dal cielo
come pioggia gentile sulla terra
due volte benedetta:
perché benefica chi la riceve
come chi la dispensa. Presso i grandi
più che altrove potente, del monarca
adorna il capo meglio d’un diadema;
ché se lo scettro è segno
della terrena sua forza e potere,
attributo d’altezza e maestà,
ma anche sede della soggezione
e del timore che ispirano i re,
la clemenza è potere che trascende
la maestà scettrata,
il suo trono è nel cuore dei sovrani,
è un attributo dello stesso Dio;
e al potere di Dio quello terreno
si fa simile quando la clemenza
mitiga in esso il rigore della legge.
(Atto IV, scena I)

Ecco, questa è la sintesi della proposta etica e politica – veramente moderna e veramente inclusiva – che le istituzioni italiane ed europee dovrebbero curare di conservare e trasmettere, se veramente avessero a cuore, come dicono, la “cultura occidentale”.