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L’annuncio della luce nelle nostre “dark room”

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Shutterstock/ Iarovit

Aleteia - Miguel Cuartero Samperi - pubblicato il 10/03/17

L'annuncio dello splendore della Verità che illumina le tenebre del mondo è il massimo grado della misericordia

Le immagini della cosiddetta dark room, quella stanza buia del club omosessuale mandate in onda dal programma Le Iene, mi hanno trasmesso un senso di profonda tristezza. Vedere quegli uomini che giravano nudi in una stanza buia che si univano sessualmente tra di loro in maniera anonima e casuale mi ha fatto pensare ai lager nazisti e sovietici o agli schiavi neri d’America. Documenti storici o ricostruzioni cinematografiche (da La lista di Schindler Il Pianista, da Amistad a 12 anni schiavo; sui Gulag invece il silenzio dei media persiste) hanno impresso nelle nostre menti impattanti immagini di uomini, privati della loro libertà (e dei loro vestiti), che giacevano ammassati in posti bui e fetidi. [Sul fetore, “l’odore nauseabondo”, dei club omosessuali rimando all‘articolo di Luca di Tolve che quei locali ha frequentato prima di scappare e cambiare vita]. I prigionieri avevano lo sguardo perso, che implorava aiuto, che implorava liberazione dalla schiavitù. Il paragone coi club di svago sessuale può risultare eccessivo e fastidioso ma è stata una associazione mentale non premeditata che mi ha suggerito qualche riflessione ai margini della vicenda.

Al di là delle polemiche e di tutte le considerazioni del caso quelle immagini mi hanno lasciato – dicevo – una profonda tristezza. Nudità significa fragilità, nudità in compagnia di altri significa essere esposti ad un altro, vulnerabili, indifesi. Se non è una libera scelta è una grossa condanna. Gli uomini di quel club – come i prigionieri del lager e gli schiavi – si sono spogliati dei loro vestiti e messi così “in mano” ad altri, soggetti a volontà altrui. Dinamiche diverse eppure simili. I primi lo hanno fatto di loro iniziativa, i secondi sono stati obbligati, ma entrambi in qualche modo, sono stati costretti da forze che – dall’interno o dall’esterno – li hanno condizionati, entrambi si trovano esposti, senza difese, spogliati e feriti nella dignità di esseri umani.

Se come cittadini ci preoccupiamo che lo Stato investa i nostri soldi nel migliore dei modi, destinandoli al bene comune e alle necessità più urgenti (soprattutto in un periodo in cui non le case costruite per i terremotati non bastano e devono essere vergognosamente estratti a sorte i beneficiari!), come cristiani la nostra preoccupazione dovrebbe rivolgersi alla salvezza delle anime. Dico “dovrebbe” perché oggi non solo è difficile trovare una fede autentica tra noi cristiani ma c’è addirittura tra di noi molta confusione e una grande ignoranza su cosa sia – al di là della nostra adesione formale – il cristianesimo e cosa implichi l’essere stati battezzati.

Diceva C.S. Lewis che «Amare l’altro significa desiderare la sua felicità così come desideriamo la nostra…». E’ ciò che gli ebrei hanno ricevuto e trasmesso da millenni come un comando divino, e che Gesù ribadì come condizione necessaria per ottenere la vita eterna: «Ama il prossimo tuo come te stesso» (Lv 19,18). Il cristianesimo non mira ad nuovo un ordine politico o sociale (a questo mirano i governi mondiali che lottano per il potere). Pur predicando – ed oggi più che mai – i temi della giustizia e dell’equità (da qui la necessità di un serio impegno politico da parte dei cristiani), il vero scopo del cristianesimo è preparare l’avvento di quel regno che “non è di questo mondo”, quei “nuovi cieli e nuova terra” dove “avrà stabile dimora la giustizia” (2Pt 3,13). Ciò che conta di più è la salvezza o la dannazione delle anime.

E’ per questo che siamo chiamati in primo luogo ad abbandonare le nostre dark room, quelle zone segrete, buie e fetide della nostra vita dove sfoghiamo le nostre passioni e le nostre frustrazioni, in una parola: i nostri peccati che ci umiliano, ci schiavizzano e ci privano della nostra libertà di figli di Dio. In secondo luogo siamo chiamati ad aiutare gli altri a camminare verso la luce, a percorrere l’esodo pasquale dalla schiavitù del peccato alla libertà dei figli di Dio.

Gesù ha detto «Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12). L’esperienza di fede ci dice che la felicità non è nel buio ma nella luce, non consiste nello sfogo delle nostre passioni secondo una falsa idea di libertà ma nel loro dominio, non nella sessualità senza volto e senza progettualità ma nel dono fecondo di se stesso all’altro. Siamo liberi di dirlo pubblicamente? Di più! Abbiamo il dovere morale di farlo, perché non dovremmo avere a cuore i nostri soldi e quelli del nostro paese più delle anime dei nostri concittadini.

È possibile che ci dicano che non abbiamo il diritto di dire agli altri dove cercare la propria felicità, ma, o la misericordia e la carità sono solo concetti teorici lontani dalla realtà, oppure il cristiano ha il dovere di indicare la via della felicità a tutti gli uomini, specialmente a chi a carponi vaga nel buio, cercandola nel modo sbagliato. Sempre però che il cristiano questa felicità l’abbia trovata e abbracciata, altrimenti un cieco non potrà guidare con molto successo un altro cieco nel buio.

Non è dunque omofobia, sessofobia, moralismo o altri tipi di paure o di odio verso chi è diverso da noi, ma si tratta del più alto grado di misericordia: si tratta di annunciare agli uomini che esiste la luce davanti alla quale ogni foschia, ogni tenebra fugge. Che è possibile abbandonare il buio delle dark room ed uscire allo scoperto, uscire dalla caverna e lasciarsi illuminare dalla luce che cambia la vita e la rende bella e gioiosa; è possibile passare dalle ombre illusorie alla realtà appagante, dall’anonimato alla comunione, dalla solitudine alla comunità.

L’impegno è arduo ma papa Francesco ha ribadito dall’inizio del suo pontificato l’urgenza di questo annuncio pubblico del Vangelo. Lo ha fatto nella sua Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (La gioia del Vangelo):

«E’ vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno» (EG 23).

E ancora:

«Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita» (EG49).

Missione della Chiesa è mostrare la “bellezza” della fede, essere Chiesa:

«Vuol dire annunciare e portare la salvezza di Dio in questo nostro mondo, che spesso si perde, che ha bisogno di avere risposte che incoraggino, che diano speranza, che diano nuovo vigore nel cammino» (EG 114).

L’Occidente vive tempi duri perché ha messo da parte Dio. L’apostasia della nostra società miete vittime in continuazione: depressioni, famiglie distrutte, egoismo, violenza, solitudine, suicidi. Il collasso morale dell’Occidente è palpabile in tutti gli aspetti della vita pubblica e privata. E’ questa la strada giusta per la felicità? Oppure – potremmo pensare – è questo un segno che, ucciso e dimenticato Dio, il suo avversario ha messo definitivamente la mano sul mondo? Il senso di smarrimento e la paura non sono frutto della fede, come ha recentemente affermato Aldo Maria Valli:

«Se il cattolico non avesse una visione provvidenziale della vita, e non sapesse che lo Spirito soffia dove vuole, ci sarebbe da provare il brivido dell’abbandono nel vuoto e lo sgomento di fronte a un caos che sembra preannunciare il trionfo del principe delle tenebre».

Ma la Chiesa – che, dice sant’Ambrogio «non rifulge della propria luce, ma di quella di Cristo» – ha questa visione “provvidenziale della vita” perché è depositaria e testimone della vittoria di Cristo sulla morte, della vittoria della luce sulle tenebre dei nostri peccati. E’ per questo che la Chiesa non deve avere paura di annunciarlo a tutti, senza timore di apparire invadente o scorretta. L’annuncio dello splendore della Verità che illumina le tenebre del mondo è il massimo grado della misericordia, tenere per sé questo annuncio limitandosi ad analisi sociologiche e a considerazioni di tipo economico non è amore al prossimo ma egoismo e rispetto umano che non risponde alla nostra vocazione di essere sale e luce del mondo.

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