«Fin quando le circostanze lo renderanno necessario, sarete sotto la nostra protezione». Non ci pensarono più di un istante, giusto il tempo di guardarsi in faccia e capire da un rapido cenno del capo che sì, quella era l’unica opzione possibile dettata dalla coscienza. La porta fu spalancata, per poi richiudersi qualche secondo dopo alle spalle di quegli sconosciuti.
Autunno 1943. Non proprio un periodo semplice per esprimere solidarietà nei confronti degli ebrei perseguitati nell’Italia nazifascista. A Firenzuola, ultima propaggine appenninica di Toscana prima dell’Emilia Romagna, quell’invito ebbe un significato ancora più forte. La Linea Gotica distava infatti una manciata di chilometri, e quindi soldati tedeschi e una vasta gamma di minacce (compresa la delazione) erano disseminati un po’ ovunque. Forse il posto più pericoloso d’Italia in cui trovarsi se si era dalla parte sbagliata. Ma davanti a quella famiglia braccata, arrivata da Prato su indicazione di un conoscente, i Matti non seppero dire di no. «Entrate, presto».
Fu Renato, uno dei ragazzi di casa Matti, a gestire in prima persona l’assistenza ai perseguitati. Giovane seminarista avviato alla vita ecclesiastica, sarebbe diventato un parroco di campagna molto amato. Un uomo pieno di buona volontà e spirito d’iniziativa, ricordato ancora con affetto dai suoi concittadini. In lui, nei suoi fratelli (in particolare Carlo, futuro medico condotto), nei genitori Armando e Clementina, tutti antifascisti della prima ora, quegli sventurati trovarono un sostegno fondamentale. Costretti ogni giorno ad aguzzare l’ingegno per sfuggire alle insidie, in costante pericolo ma protetti da una rete di soccorso ben strutturata, Sigismondo Smulevich e sua moglie Dora, i figli Alessandro ed Ester, il cugino Leo, ritrovarono la fiducia nell’uomo. E, nel settembre dell’anno successivo, anche la libertà.
Con la recente scomparsa dell’ultima testimone diretta di quei fatti, la mia prozia Ester, ci siamo sentiti un po’ spiazzati nel ripercorrere ed elaborare queste vicende. Perché se è vero che la profonda gratitudine verso i Matti è patrimonio acquisito dalle vecchie come delle nuove generazioni di Smulevich, è almeno altrettanto vero che l’assenza di un riconoscimento formale per quelle azioni pesa oggi come un macigno.
I Matti hanno tutte le caratteristiche tipiche dei “Giusti”, cui è stata dedicata alcuni giorni fa una nuova edizione della Giornata europea promossa da Gariwo. Hanno agito a rischio della propria vita, senza pretendere nulla in cambio. Si sono prodigati con impegno continuo, rinunciando a un pezzo della loro autonomia e della loro serenità. Un coraggio disinteressato, puro, genuino. Per questo, al più presto apriremo un fascicolo allo Yad Vashem di Gerusalemme affinché i loro nomi siano scritti per sempre sul muro del Memoriale del bene.
Prima ancora che la pratica entri nelle sue fasi decisive abbiamo però deciso di darci appuntamento a Firenzuola. Smulevich e Matti, le nuove generazioni per la prima volta insieme. Insieme per rendere omaggio a una famiglia di eroi silenziosi, che mai hanno ostentato i loro meriti. Insieme per ripercorrere le strade e quegli intricati sentieri di salvezza. Insieme infine davanti alla casa della frazione di Le Ca’ di sotto in cui, pensando che mancassero pochi istanti alla loro cattura, mio bisnonno Sigismondo impartì l’ultima drammatica benedizione ai suoi cari.
Soltanto pochi attimi dopo, il bisnonno si sarebbe reso conto del suo errore. Alla porta non c’erano infatti soldati tedeschi, ma combattenti delle forze alleate che avevano appena sfondato la Linea Gotica. L’emozione, sia tra i liberatori che tra i salvati, fu indescrivibile. Ricorderà spesso quei momenti insieme a don Matti, in una delle molteplici occasioni di incontro che seguiranno nel tempo. Renato, il prete di campagna. Sigismondo, l’ebreo osservante venuto dall’Est. «Lechaim», alla vita, brindavano entrambi con gli occhi lucidi.
* Giornalista di «Pagine Ebraiche»