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Filippine: sì alla pena di morte, la Chiesa protesta

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Vatican Insider - pubblicato il 08/03/17
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Dieci anni che sembrano un’eternità. Sono oltremodo lontani i tempi di quell’estate del 2006, quando Gloria Macapagal Arroyo, allora presidente delle Filippine, alla vigilia di un suo viaggio in Vaticano, dove avrebbe incontrato Benedetto XVI, firmava il decreto presidenziale che aboliva la pena di morte nell’arcipelago asiatico che si vanta di essere il «paese più cattolico d’Asia», con i suoi i sui oltre 85 milioni di battezzati. Solo due settimane prima, il Congresso che aveva confermato l’abrogazione della morte di stato, in vigore fin dalla nascita della Repubblica delle Filippine, nel 1946, pur con una serie di moratorie, approvate dal 1987 in poi. 

Ieri Gloria Macapagal Arroyo sedeva mesta nei banchi della Camera dei rappresentanti, mentre l’assemblea ha approvato, con una schiacciante maggioranza di 216 sì, 54 no (incluso quello della Arroyo) e un astenuto, il ripristino della pena capitale. Un sussulto per la nazione, registrato dopo le forti pressioni dell’uomo forte al comando del paese, il presidente Rodrigo Duterte. 

Il provvedimento, infatti, è stato fortemente voluto da Duterte come mezzo complementare della crociata anti-droga lanciata da quando è al governo. Sono proprio i reati relativi a spaccio e traffico di stupefacenti quelli punibili con l’esecuzione che potrà realizzarsi per impiccagione, fucilazione o iniezione letale. Il possesso di droga è punibile, invece, con l’ergastolo. 

Va notato che i metodi usati da Duterte per assicurarsi l’appoggio incondizionato dei parlamentari sono stati anche ben poco ortodossi: Duterte ha apertamente minacciato di annullare le nomine a incarichi prestigiosi di quanti avessero osato votare contro o astenersi.  

Il «giustiziere» sta mantenendo tutte le premesse fatte in campagna elettorale, adottando una serie di misure populiste per ripristinare «sicurezza» nella società. E gli elettori sembrano dargli ragione, in quanto il consenso popolare resta, secondo i sondaggi, piuttosto elevato. La «guerra alla droga» promossa da Duterte ha fatto oltre 8mila vittime, in otto mesi. E solo due mesi fa il presidente, rilanciando l’urgenza della pena di morte, ha promesso l’esecuzione di «cinque o sei criminali al giorno» una volta varata la legge.  

La levata di scudi, a livello internazionale, non si è fatta attendere: «L’idea che la pena di morte libererà il paese dalla droga è semplicemente errata. È una punizione inumana e inefficace. Oltretutto, il tentativo di reintrodurla è chiaramente illegale», recita una nota di Amnesty International, ricordando che si tratta di «una clamorosa violazione degli obblighi internazionali delle Filippine», firmatarie nel 2007 di un trattato che vieta le esecuzioni capitali

Prevedibile lo sdegno della Chiesa cattolica: «Nel mezzo della Quaresima ci prepariamo a celebrare il trionfo della vita sulla morte, e mentre noi siamo addolorati perchè la Camera ha votato per la morte, la nostra fede ci assicura che la vita trionferà», afferma una nota diffusa dalla Conferenza episcopale, deplorando il fatto che il Congresso abbia dato allo stato «il permesso di uccidere». 

I vescovi, tuttavia, non si sentono «sconfitti né messi a tacere» e richiamano i fedeli a una generale mobilitazione per manifestare «lo spirito di opposizione». La convinzione è quella che si basa sulla dottrina cattolica (il rispetto assoluto della vita dalla nascita fino al decesso) e anche sui dati empirici che dimostrano come la pena di morte non rappresenti un deterrente efficace contro la criminalità.  

È già stata lanciata nelle scuole e nelle università cattoliche, accompagnate dalla diffusione sui social media, la campagna #Noiseforlife e gli studenti di centinaia di istituti in tutto il paese, da Manila a Davao, hanno inscenato oggi pacifiche e rumorose proteste per ribadire il «no» alla morte di stato. La Chiesa fa appello anche alla coscienza dei giudici cattolici con la speranza che l’applicazione della pena capitale avvenga con il contagocce e non certo in modo massiccio.  

Ma il solco tra la Chiesa e Duterte si allarga inevitabilmente ed è evidente l’attrito sulla lotta alla droga compiuta con metodi giustizialisti; sul ripristino della pena di morte; sull’abbassamento dell’età per la responsabilità penale a 9 anni. «Duterte incarna il desiderio della gente che vuole giustizia e sicurezza. La Chiesa ricorda al popolo che prosperità e giustizia si ottengono attraverso il riconoscimento della sacralità della vita umana prima di tutto, non tramite la sua negazione», spiega James Anthony Perez, presidente dell’associazione cattolica Filipinos for Life. Ma per ora i cittadini sembrano seguire il presidente-sceriffo. 

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