È il film “Perfetti sconosciuti” , campione d’incassi nel 2016, ad ispirare la terza meditazione di questa mattina di padre Giulio Michelini, durante gli Esercizi Spirituali del Papa e della Curia romana ad Ariccia. Il tema è “Pane e corpo, vino e sangue” e, cogliendo un suggerimento del nipote inviato tramite sms, il francescano contrappone la pellicola di Paolo Genovese che rivela «il nostro stato di salute» attraverso «il gioco allo scoperto con i cellulari» dei protagonisti che, durante una cena, confessano «adulteri e segreti», alla visione cristiana della tavola che è un segno di unità e di salvezza.
La riflessione del frate – riportata dalla Radio Vaticana – è sulla «dimensione teologica, antropologica ed esistenziale del mangiare insieme», uno dei momenti fondamentali in cui si tocca «la bellezza dello stare insieme» che capovolge «la realtà del non potersi fidare più di nessuno e dei tradimenti». Emblematica, in tal senso, è l’Ultima Cena di Cristo: «Possiamo immaginarci che cosa deve essere accaduto in quella cena», dice padre Giulio, «era una festa. È chiaro che era bello per loro stare insieme. Ma stare insieme mette in rilievo anche la nostra umanità. E questi elementi sono presenti nella cena di Gesù: il primo, quello dell’amore, con il quale questa cena è stata preparata, e l’amore che Gesù offre con il cibo che dona. Ma c’è anche, in questa cena, l’odio, la fragilità, la divisione». Non è un caso che proprio in questo contesto emerga il tradimento covato da tempo da Giuda.
Sempre in tema di cibo, Michelini sposta poi la sua attenzione sulla enciclica Laudato si’, in particolare sul punto in cui si condanna l’ineguale distribuzione di risorse e il fatto che nel mondo si spreca un terzo degli alimenti che si producono. «Il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del povero», afferma. Invita dunque ad un esame di coscienza sul «rapporto con il cibo», ricordando la settima delle Regole per ordinarsi nel mangiare per l’avvenire di sant’Ignazio di Loyola commentata dal gesuita Jean-Paul Hernandez. «Bisogna evitare che l’animo sia tutto intento a quello che si mangia, e che uno mangi in fretta spinto dall’appetito; al contrario bisogna avere padronanza di sé, sia nel modo di mangiare sia nella quantità», evidenzia.
Come nella seconda meditazione di ieri pomeriggio, sollecita una riflessione sul «ruolo ecclesiale» attraverso una domanda: com’è possibile «che noi cristiani, che dovremmo trovare l’unità proprio attorno alla cena, riproduciamo allo stesso modo, con le nostre divisioni, le stesse dinamiche divisorie della comunità di Corinto», di cui si lamentava san Paolo? Certo, riconosce Michelini, «molti sono i passi intrapresi per trovare un’unità, a esempio con i luterani, ma ancora molto c’è da fare». La riflessione va dunque sul tema del «perdono dei peccati». Anche qui una domanda: «Siamo veramente consapevoli che Gesù, versando il suo sangue, ha davvero, con la propria vita e non solo a parole, detto e dato il perdono di Dio»?
Su Gesù è incentrata pure la successiva, quarta, meditazione del pomeriggio sul tema “La preghiera al Getsemani e l’arresto di Gesù”. Il frate minore mette a confronto la preghiera del Messia sul monte degli Ulivi e quella sul Tabor, in Galilea: due situazioni che hanno somiglianze impressionanti, a cominciare dal fatto che in entrambi i casi l’umanità di Cristo è fortemente provata, ma che si distinguono per il fatto che sul Tabor si ode la voce del Padre che consola il Figlio; al Getsèmani, invece non si ode nessuna voce. Se non quella di Gesù che si rivolge al Padre, accogliendo che sia fatta la sua santa volontà di bene che non vuole la morte del Figlio, ma la sua salvezza, come ebbe a scrivere Romano Guardini ne Il Signore. «Gesù era venuto per redimere il suo popolo e, in esso, il mondo. Ciò doveva compiersi attraverso la dedizione della fede e dell’amore; ma essa venne meno. Tuttavia, rimase il mandato del Padre, ma esso mutò di forma», dice Michelini.
«Quanto si concretò in conseguenza del rifiuto, il destino amaro della morte divenne la nuova forma della redenzione, quella che ora per noi è la redenzione in senso puro e semplice», annota. E, rammentando la parabola dei vignaioli omicidi, sottolinea come l’annuncio e la persona di Gesù non vengano accolti: «La chiusura del mondo non gli consente di essere il principe della pace, davanti alla cui venuta tutto dovrebbe sbocciare nella pienezza che il vaticinio presagiva». Perciò il Messia, aggiunge il francescano citando ancora Guardini, «diviene colui che va alla rovina. Il sacrificio del suo essere diventa il sacrificio della morte».
Michelini si congeda dal Papa e dalla Curia con una serie di domande: «Come ci poniamo di fronte all’angoscia del nostro prossimo? Teniamo gli occhi aperti, preghiamo, o ci addormentiamo come i tre discepoli? La volontà di Dio è compresa da noi come un “capriccio”, qualcosa che “si deve fare” perché “qualcuno ha deciso”, oppure vedo in essa la Santa volontà di bene per tutti?». Questa volontà può anche mutare, avverte. E «se Dio può cambiare idea, addirittura, stando al libro di Giona, può “pentirsi”, come può la sua Chiesa non cambiare, come possiamo noi stare fissi nelle nostre rigidità?».