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Perché dire “Pregherò per te” non è abbastanza

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Brittany Randolph CC 03

padre Robert McTeigue, SJ - pubblicato il 01/03/17

Primo contributo di una serie sulla preghiera di intercessione: la tua salute spirituale viene al primo posto

“Pregherò per te”. Perché? Come? Quando? Per quanto tempo? Potete immaginare di chiedere queste cose a una persona che promette di pregare per voi? Potete immaginare che vi vengano poste queste domande ogni volta che dite a qualcuno “Pregherò per te”?

Se non ci rendiamo conto del valore di queste domande e non sappiamo come rispondervi, allora com’è possibile che le parole “Pregherò per te” siano più di un gesto vuoto? Come fa la promessa di pregare ad essere più sincera del fatto di salutare un collega di lavoro in corridoio chiedendogli “Come va?” scappando poi via senza neanche aspettare la risposta?

Gesù non ci ha detto di “pregare di più” o di “pregare meglio”, ma di “pregare sempre, senza stancarsi” (Luca 18, 1). Quale richiesta è più difficile – il “sempre” o il “senza stancarsi”? Per una guida breve e saggia alla preghiera costante, consultate il classico The Practice of the Presence of God. Siamo continuamente alla presenza di Dio quando scegliamo di vivere nella consapevolezza della costante presenza divina.

La sfida più dolorosa è pregare “senza stancarsi”. Un saldo impegno di preghiera attira l’attenzione e la resistenza dei nostri nemici spirituali. Progredire nel Signore invita a contrattaccare. Siamo anche inclini a stancarci quando siamo stati delusi nella preghiera.

Ecco la lezione: stabilire l’abitudine di pregare in modo frequente, fervente e fedele per gli altri richiede che pratichiamo prima una buona “igiene spirituale”.

Cosa include?

L’intercessione fruttuosa richiede di tenere saldamente Dio nella mente, nel cuore e nella pratica. Mente: dobbiamo conoscere le Scritture e l’autentico insegnamento della Chiesa, e dobbiamo custodire i nostri pensieri di fronte alle distrazioni mondane e alle menzogne del diavolo. Cuore: amore per Dio e per il prossimo, che richiede sempre una croce e offre sempre una resurrezione. Pratica: preghiera e adorazione quotidiane (inclusa la Messa il più spesso possibile), vivere in modo puro, rimanere in stato di grazia, confessione frequente (almeno una volta al mese), opere di misericordiale corporale e spirituale, regolare frequentazione cristiana (quelli che Sant’Ignazio di Loyola chiamerebbe “amici nel Signore”).

Sembra molto, vero? Beh, aggiungiamo un’altra cosa – una cosa che ho constatato spessissimo nel mio ministero, soprattutto nel mio ministero sacerdotale. Abbiamo bisogno di un’umiltà compassionevole e oggettiva relativamente alle nostre ferite e alle nostre debolezze. Vivere in questo mondo caduto è doloroso, e la nostra assurdità, la malizia o la noncuranza degli altri e la cattiva sorte non potranno che ferirci. Il dolore, la rabbia e la confusione derivanti da queste ferite offrono ai nemici spirituali una via per intrufolarsi nel nostro cuore, dove le nostre difese possono essere state violate.

I nostri nemici spirituali infettano le nostre ferite con l’autocommiserazione e la sfiducia nei confronti di Dio. Da figli adottivi diventiamo orfani spirituali. Stringiamo un patto con il demonio per qualche rapido (ma illusorio) sollievo dal dolore – “solo questa volta”. Qualsiasi medico vi dirà che le ferite infettate provocano febbri, e se non vengono curate portano alla morte.

Il nostro impegno a “pregare sempre senza stancarsi”, quindi, richiede il fatto di riporre la nostra fiducia non nella nostra saggezza, nella nostra bontà, nella nostra fedeltà o nei nostri sforzi, ma nella bontà del Dio vivente, che non possiamo controllare e che non possiamo mai capire pienamente.

Chi persiste nella preghiera di intercessione deve capire i poteri che sta invocando. Come il paziente Giobbe, l’intercessore deve aspettarsi che Dio gli parli attraverso la forza della tempesta, in un modo che gli ricorda che la maestà e la saggezza di Dio vanno al di là della nostra portata. Come il profeta Elia, l’intercessore dev’essere disposto ad ascoltare Dio che viene a lui come una piccola voce. Come Gesù crocifisso, l’intercessore deve aspettarsi di vedere il triste scenario dalla collina del Calvario, gridando “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” E come gli apostoli Pietro e Giovanni, l’intercessore deve entrare nella tomba vuota di Cristo e credere, senza capire pienamente, che il Cristo crocifisso è risorto e regnante.

La vita del fedele cristiano, una persona che vuole essere un intercessore per gli altri, segue le orme di Cristo, in compagnia dei santi sia morti che viventi, circondato dai cori degli angeli e custodito dalla Regina del Cielo. È un’impresa solenne, che richiede e offre più di quello che suggeriscono le parole “Pregherò per te”. Confessando le proprie debolezze e i propri limiti, contando sulla grazia sufficiente sempre disponibile a chi la chiede, l’intercessore ordina la propria vita di modo che Cristo lo possa considerare sia un amico fedele che un canale di preghiera fecondo.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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