Un cortometraggio ci ricorda questa grande verità…di Daniel Prieto
La vita è un unico movimento di luce, in cui l’inizio e la fine si incontrano. Così come dal grembo di nostra madre veniamo dati alla luce nella vita terrena, così anche dal ventre della terra verremo dati alla luce nella vita celeste. L’impulso che garantisce il completamento di questo movimento è l’impulso dell’amore. Tra le creature terrestri, pochi neonati sono vulnerabili come quelli umani. E questo è dovuto, a mio avviso, al fatto che l’uomo – a differenza degli animali – si costituisce come persona attraverso una costante e fondamentale dipendenza d’amore. Qui sta la sua identità più profonda. Veniamo costantemente sostenuti da un abbraccio d’amore che ci protegge e permette la crescita della nostra vita; e a suo tempo riceveremo lo stesso abbraccio, nella sua pienezza, quando ci verrà donata la vita eterna.
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La sfida (o l’arte) della vita è sempre questa: riconoscere di avere bisogno di questo abbraccio d’amore. E lasciarci abbracciare. È essenziale riconoscere di aver bisogno di amare e di essere amati. Nel nostro pellegrinaggio terreno infatti, dietro tutte le nostre azioni e le nostre scelte, si nasconde il desiderio di trovare quell’abbraccio, quell’ambiente familiare e sicuro dove riposare. E non è così facile come sembra, perché per farlo bisogna anche ammettere di essere vulnerabili e fragili, bisogna esporre il proprio cuore. Di solito l’infanzia viene ricordata come “l’età d’oro” soprattutto per questo motivo. Poi con l’adolescenza cominciamo a prendere le distanze dalla famiglia, per cercare il nostro spazio personale. Nuove attività, le amicizie, i nuovi amori, sono tutti dei tentativi di recuperare all’esterno quello spazio di profonda intimità. Tuttavia non si può trovare all’esterno, perché è nel profondo del nostro cuore. È quindi importante guardare indietro al passato per trovare quelle tracce d’amore che ci hanno formato e che ci hanno fatto crescere, per trarne forza e per sanare le ferite che mettono in discussione questo amore. In questo modo, in un secondo momento, possiamo scoprire l’amore di Dio che è alla base di tutte queste esperienze.
Ripeto, quella di imparare a lasciarci abbracciare e di non dimenticare la nostra dipendenza d’amore è una vera e propria arte; e per vivere pienamente la vita nell’amore, dobbiamo riconoscere di essere bisognosi e vulnerabili. Dobbiamo quindi riconoscere di essere creature, bambini, figli, perché solo così possiamo accogliere l’amore, che è sempre un dono. I bambini lo sanno molto bene e non se ne vergognano, alzano spontaneamente le mani per chiedere quell’abbraccio, perché riconoscono il loro bisogno, le loro paure, i loro limiti. Piangono e chiamano i loro genitori, perché sanno di essere figli. In fondo è per questo che il regno dei cieli appartiene a coloro che sono come i bambini (Matteo 19:14). Il problema è che crescendo diventiamo duri (a causa delle nostre ferite e delusioni) e finiamo col convincerci che non siamo più bambini, che siamo indipendenti e autonomi. Sì, crediamo di aver raggiunto la maggiore età e che non abbiamo bisogno più di nessuno (ci basta la luce della nostra ragione pura). Poi adulteriamo e contraddiciamo la nostra identità più profonda, chiudendoci a questo amore gratuito e senza condizioni, che per essere ricevuto richiede soltanto che noi solleviamo le braccia, come i bambini. Chi basta a sé stesso, chi crede di essere un adulto autosufficiente e arrivato, non riuscirà mai ad accettare ciò che presuppone la necessità e gratuità. Infatti, in questo senso, l’umiltà è la condizione necessaria di tale amore. Perché solo chi riconosce i suoi limiti e impara pazientemente a gestirli può aprirsi agli altri e lasciarsi abbracciare.
Come già detto, purtroppo col tempo – a causa di tante esperienze negative, di ferite interiori, e di una società che promuove l’isolamento e l’egocentrismo – perdiamo facilmente questa sincronia esistenziale che vivevamo quando eravamo piccoli (quella spontaneità, quella fiducia, quella libertà) e pian piano ci proteggiamo indossando delle maschere. Ma la verità non cambia solo perché la copriamo o la adulteriamo. Nella nostra parte più profonda, noi stessi percepiamo quella nostalgia, quel malessere nostro bambino interiore. «Nudo uscii dal seno di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!», ci ricordava Giobbe.
La nudità e la fragilità della nostra esistenza sono la condizione dell’amore. Non per niente, il nostro Dio è un Dio che nasce nudo, vulnerabile e bisognoso di un abbraccio (di Maria, di Giuseppe, di Dio), e muore nudo, vulnerabile, bisognoso di un altro abbraccio (il Padre che lo resusciterà). Qui sta il segreto della vita, il segreto della luce: il modello – e culmine – della perfezione è un amore nudo. Solo accettando il fatto di essere figli che hanno bisogno di Dio e lasciandoci amare infinitamente da Lui possiamo trasfigurare le tante ferite e colmare le tante lacune lasciate dagli amori troppo umani (fragili, feriti, caduchi, ecc). La grande sfida è scoprire che in tutti gli impulsi d’amore ricevuti nella nostra storia personale (anche con i loro difetti), si nasconde l’amore incondizionato di un Padre che ci ama da tutta l’eternità e che ci dice continuamente: “Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Luca 3:22). Se entriamo in contatto con questo amore la nostra vita diventerà un raggio di luce proiettato verso l’eternità. Con arguta lucidità, nel suo libro “Accettare se stessi” Romano Guardini ha detto:
Chi io sia lo comprendo solamente in ciò che sta al di sopra di me. Anzi: in Colui che m’ha dato a me stesso. L’uomo non può comprender sé a partire da se stesso. Agl’interrogativi dove compaiono la parola «perché» e la parola «io»: perché io sono come sono? perché posso aver solo ciò che ho, perché semplicemente sono anziché non essere?, non si può dar risposta prendendo le mosse dall’uomo. Risposta ad essi la da Dio solo.
E qui certo ci si fa vicino il significato dello Spirito Santo, del quale è detto ch’è «lo Spirito della verità», che «introduce a tutta la verità»; e poi che è lo Spirito d’amore. Esso può insegnarmi a comprendere quella verità che nessuno può insegnarmi, cioè quella di me stesso.
Ma come può farlo? Non mediante scienza, ne filosofìa, bensì attraverso un prendere coscienza. Egli è l’interiorità di Dio. Nello Spirito Santo Dio è Padre. Nello Spirito Santo Egli è Figlio. Forse si può dire addirittura: nello Spirito Santo Dio è Dio. In Lui è consapevole di se stesso, unanime con se stesso, beato di se stesso.
In tal senso, credo che una delle cose più belle dell’essere genitori – che sia fisicamente o spiritualmente – sia scoprire e sentire la forza dell’amore, una forza così grande da poter generare nuova vita, e quindi nuova speranza. Su questa speranza (di una nuova vita, o meglio della vita definitiva) basò la propria esistenza il popolo di Israele.
Visse in attesa del compimento della promessa finale: che ogni donna – nella meravigliosa ma fragile catena vitale, che si espande attraverso le generazioni – desse alla luce un figlio in grado di regnare sulla morte, un bambino che potesse dare a questa sottile speranza una condizione superiore, una nuova densità, una qualità che neanche la morte potesse strappare. E questo è esattamente ciò che ha portato Cristo quando è venuto al mondo: l’amore infinito di Dio, che toccando la nostra fragilità l’ha trasformata in una vita senza limiti, in unione all’abbraccio intenso del Padre.
Così, quando entra in contatto con l’amore di Dio, la vita umana acquisisce una nuova dimensione, espandendosi sempre più verso l’infinito, superando anche il tempo e lo spazio, vincendo la morte. La Luce si è fatta carne ed ha posto la sua dimora in mezzo a noi. Ecco perché ogni nuova nascita è doppiamente lieta. Non è solo una vita terrena che viene al mondo; ma è anche, e soprattutto, la possibilità di una nuova vita celeste, una vita che può proiettarsi verso l’infinito, un vero e proprio “colpo di fuoco verso l’eternità”, come ha detto padre Hurtado.
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Ed è qui che dobbiamo entrare in azione. È qui che dobbiamo vegliare su ogni cosa, in modo che ogni nuovo membro della famiglia, ogni nuova vita che viene al mondo possa entrare in contatto con quell’amore infinito che trasmette e concede la vita eterna. Che ogni nuova vita, cioè. conosca ed entri in contatto con lo Spirito di Cristo.
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[Traduzione dallo spagnolo a cura di Valerio Evangelista]