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“Riformare gli statuti dell’Ordine di Malta per evitare altre crisi”

Vatican Insider - pubblicato il 25/02/17

«Dobbiamo rivisitare il sistema di controlli e contrappesi, per evitare che quanto accaduto possa ripetersi». Albrecht von Boeselager è seduto in un salottino della sede magistrale dell’Ordine di Malta in via Condotti a Roma. Parla con molta calma della bufera degli ultimi mesi, la crisi che ha contrapposto alla Santa Sede il Gran Maestro ormai dimesso Mattew Festing, sostenuto dal cardinale patrono Raymond Leo Burke. Boeselager era stato costretto a lasciare il suo incarico con un ordine fatto risalire all’autorità del Papa. Un ordine che in realtà il Papa non aveva mai dato e che ha portato alla costituzione di una commissione vaticana. La conclusione sono state le dimissioni di Festing, la nomina di un delegato di fiducia del Pontefice – il Sostituto Angelo Becciu – e il ritorno al suo incarico del Gran Cancelliere defenestrato 

Lei è stato costretto a dimettersi per una vicenda legata alla distribuzione di preservativi in programmi che vedevano coinvolto il Malteser intrernational, l’agenzia di soccorso internazionale dell’Ordine di Malta. Può ricapitolare che cosa è accaduto? 

«Nel 2013 il Malteser international a Colonia è stato messo in allerta dal Malteser negli Stati Uniti: avevano visto nel sito di una ONG in Kenya che Malteser international era partner di un progetto nel quale era prevista la distribuzione di condom. Malteser international ha subito indagato ed è risultato falso: la ONG aveva sì dei progetti con la distribuzione di condom, ma questa non era prevista nel progetto che aveva in comune con Malteser international. È stato comunque deciso che tutti i progetti dovessero essere essere esaminati attraverso un audit interno. E si è così scoperto che c’erano problemi per tre progetti in Myanmar, organizzati dal coordinatore locale del Malteser. Questi erano stati portati avanti dal coordinatore locale contro le regole stabilite dal Malteser international, che fin dal 2004 aveva deciso di non partecipare a progetti che prevedessero la distribuzione di preservativi». 

Che cosa è avvenuto dopo questa scoperta?

«Due di questi progetti si sono potuti fermare immediatamente. Il terzo progetto riguardava il nord del Myanmar ed era finalizzato ad aiutare persone povere senza servizi sanitari, con due milioni di euro all’anno per introdurre servizi di base. L’un per cento di questa somma, 20 mila euro, era finalizzata a prevenire malattie per le prostitute ridotte in schiavitù in un’area vicina al confine con la Cina e considerata come una Las Vegas. La persona che aveva donato il denaro aveva insistito perché questa parte rimanesse nel progetto. Se avessimo chiuso immediatamente, avremmo lasciato l’intera regione senza servizi sanitari. Il board del Malteser international ha stabilito di predisporre un comitato etico, guidato dal vescovo Marc Stenger, di Troyes per decidere il da farsi. E questa era la situazione quando io sono stato eletto Gran Cancelliere».  

Quando ha avuto notizia di quel progetto?

«La prima notizia l’ho ricevuta nel novembre 2013». 

Come ha agito?

«Non ho agito io, perché l’intervento in questo caso compete al board del Malteser international. Ma ho visto ciò che hanno fatto. Il Malteser è una fondazione nata in accordo con la legge tedesca, c’è un direttore, un vice e il board. E ci sono le diverse associazioni dei vari paesi. Il Grande Ospedaliere, incarico che io all’epoca ricoprivo, non è direttamente coinvolto nelle operazioni. Ha il compito di supervisore, ma non è nella linea di comando». 

All’interno dell’Ordine quando è stato accusato la prima volta per quanto è accaduto?

«È cominciato all’inizio del 2015». 

È stato aperto un processo interno?

«All’inizio no, il caso è stato portato al Gran Maestro, e lui ha personalmente istituito una commissione d’inchiesta composta da tre persone». 

Tutto questo è avvenuto dopo la nomina del cardinale Burke come patrono?

«Sì, subito dopo». 

Lei ha detto che la Santa Sede non ha voluto entrare nelle vicende del governo interno dell’Ordine ma che vi è stata coinvolta. Che cosa è accaduto?

«Il coinvolgimento è avvenuto a due livelli. In primo luogo il Gran Maestro mi ha chiesto le dimissioni comunicandomi che la Santa Sede insisteva in questo senso. E questo non era vero. Le autorità vaticane hanno avvertito la necessità di chiarire la situazione. Sono state coinvolte e quando hanno saputo che la richiesta di dimettermi era stata avanzata in nome della Santa Sede, ovviamente hanno dovuto smentire. In secondo luogo, dopo l’azione del Gran Maestro, alcune associazioni e priorati dell’Ordine di Malta hanno scritto in Vaticano per chiedere aiuto, per chiedere un intervento».  

Da dove arrivavano queste richieste?

«Credo venissero dall’America, dall’Australia e un paio dall’Europa».  

Dunque il Gran Maestro le ha detto che la Santa Sede voleva le sue dimissioni.

«Sì». 

Che ruolo ha avuto il cardinale Burke?

«In quel momento il cardinale Burke era il rappresentate della Santa Sede presso l’Ordine. So che lui ha insistito per queste mie dimissioni ed è stato considerato benvenuto». 

Durante questo processo il cardinale Burke ha presentato al governo dell’Ordine la lettera del Papa, nella quale si chiedeva di risolvere la questione internamente, con il dialogo?

«Sì, il cardinale ha consegnato la lettera del Papa al Gran Maestro, e lui l’ha fatta leggere ai membri del Consiglio Sovrano». 

Ma in quella lettera Francesco non affermava che lei dovesse essere dimesso…

«No, infatti, in realtà affermava il contrario. Chiedeva di agire con una consultazione interna, e risolvere il problema con il dialogo dentro l’Ordine. Ma la lettera presupponeva che il progetto fosse andato avanti, perché diceva tra l’altro: se ci sono ancora problemi, il cardinale Burke si consulterà con le persone per risolverli. Quando la lettera è arrivata in realtà il progetto era finito, non c’erano più problemi». 

Come è stato possibile presentare ai membri dell’Ordine questa lettera e allo stesso tempo dire che la Santa Sede voleva le sue dimissioni?

«Non so proprio che cosa dirle». 

È per questa ragione, cioè per questa rappresentazione non fedele della realtà, che la Santa Sede ha deciso di intervenire istituendo una commissione guidata dall’arcivescovo Silvano Tomasi?

«Sì, ma a quella commissione si è arrivati per gradi. La Santa Sede per prima cosa ha spiegato al Gran Maestro: la nostra richiesta di dimissioni non esiste, per favore agisca secondo quanto indicato. E non è successo niente. Allora la Santa Sede ha proposto al Gran Maestro di costituire una commissione mista, con rappresentanti del Vaticano e dell’Ordine, e forse anche con la presenza di un delegato del cardinale Burke. Le autorità vaticane contestualmente a questa proposta mi avevano chiesto se fossi stato d’accordo di lasciare il mio incarico durante il lavoro di questa commissione mista. Io avevo risposto di sì. Ma il Gran Maestro Festing non era d’accordo. Non ha voluto accettare questa proposta della Santa Sede. Così, dopo il suo rifiuto è stata costituita la commissione solo vaticana per chiarire che cosa fosse successo. Si può vedere dunque che il Santo Padre è stato coinvolto passo dopo passo: lui cercava di risolvere il problema». 

Ed è risultato che lei non aveva colpe sulla vicenda dei condom?

«Questo è stato il risultato». 

Ma perché allora il Gran Maestro d’accordo con il cardinale Burke ha cercato di mandarla via?

«Io credo che ci fossero due diverse ragioni. Per questo riguarda il cardinale, lui ha sempre pensato che io fossi responsabile per la distribuzione dei preservativi. Ma non mi ha mai chiamato, non voleva ascoltare ciò che io avevo da dire in proposito. Non mi ha mai chiesto chiarimenti. Sono stato io a chiedere un incontro con lui, a chiedere di essere ascoltato da lui per spiegargli come i fatti si erano svolti. Ma credo non mi abbia creduto. Il cardinale non ha mai incontrato nessuno del Malteser international per capire come fossero andate le cose, mai. Non so perché, forse aveva già preso la sua decisione. Per il Gran Maestro c’erano invece ragioni diverse. E cioè una crescente distanza, un crescente divario tra lui e la maggioranza del Sovrano Consiglio. C’erano problemi tra lui e il governo dell’Ordine. Questo gap è diventato sempre più grande. La questione dei preservativi è stata soltanto un pretesto. Io ero considerato il responsabile di questa distanza esistente tra lui e il governo dell’Ordine». 

Dopo la nomina della commissione vaticana si è cercato di screditarla e si è parlato di una vicenda legata a una sostanziosa eredità, che sarebbe stata il vero motivo della crisi e dell’interesse vaticano…

«La storia è questa. C’era una fondazione caritativa in Svizzera che gestiva un’eredità di 120 milioni di euro. Il denaro probabilmente arrivava in origine dal Lichtenstein. La caratteristica di questo Trust era che la persona che aveva donato il denaro non aveva stabilito come usarlo, aveva soltanto presentato una lista di desideri che però non era legalmente vincolante. Il fiduciario poteva usare il denaro senza attenersi alle indicazioni. In una di queste si diceva che il 25 per cento dell’eredità sarebbe andato all’Ordine di Malta. Il “complaiant officer” del fiduciario che gestiva il Trust è stato licenziato e prima di lasciare l’ufficio ha trafugato alcuni documenti, tra questi anche quello riguardante il Trust. E insieme ad altri ha cercato di ricattare il fiduciario, dicendo che voleva tenere il denaro per sé, senza distribuirlo, perché nessuno sapeva di questo Trust. Un avvocato di Parigi ha contattato le istituzioni elencate nella lista dei desideri per convincerli a iniziare un procedimento legale contro il fiduciario. Tutti i beneficiari, e anche il mio predecessore, hanno dato il mandato a questo legale per iniziare la procedura. Le autorità giudiziarie a Ginevra hanno messo sotto sequestro il denaro, che è ancora bloccato. Il problema sarà risolto presto: in tempi brevi si arriverà a siglare un accordo con il Trust. Il procuratore in Ginevra ha verificato che il denaro è pulito, non ci sono problemi giudiziari o rischi. E il denaro potrà essere usato per i nostri progetti».  

Perché questo caso è stato usato contro di lei e contro la Santa Sede?

«La ragione è questa: per un breve periodo a monsignor Tomasi è stato richiesto di aiutare a ottenere un accordo tra il fiduciario e l’Ordine di Malta. Tutto qui. Inoltre l’ufficio presso le Nazioni Unite a Ginevra ha un suo proprio Trust, una fondazione per aiutare finanziariamente la missione della Santa Sede a Ginevra. Le due cose sono state confuse, ma non avevano nulla a che fare l’una con l’altra». 

Un’altra possibile spiegazione per quanto è accaduto: le tensioni tra i gruppi tedesco e inglese all’interno dell’Ordine. Che cosa può dire su questo?

«È una rappresentazione artificiale. C’è un gruppo attorno al Gran Maestro che lo ha affermato: siccome io sono tedesco e ho molti sostenitori in Germania, è stato facile costruire questa idea. Per rispondere basterebbe ricordare che tra i firmatari della lettera con la quale si chiedeva l’intervento della Santa Sede c’è il presidente dell’associazione britannica». 

Qual è il ruolo del cardinale Burke dopo la nomina del delegato papale Becciu?

«È difficile trovare le parole giuste. Direi che l’incarico del cardinale Burke in questo momento è di fatto sospeso. Il Santo Padre ha scritto che Becciu è il suo unico portavoce presso l’Ordine. La conclusione non scritta che si può trarre è che al momento il cardinale Burke non può parlare a nome del Papa all’Ordine di Malta». 

Ha ancora senso ai nostri giorni un Ordine cavalleresco come quello di Malta? Come giustificherebbe l’esistenza nel terzo millennio di un’istituzione come questa? È davvero necessaria?

«Io non vorrei usare la parola «necessaria», ma «utile». Negli ultimi trent’anni l’attività dell’Ordine si è triplicata. E questo sviluppo è la prova del bisogno che c’è. Noi siamo una delle poche organizzazioni internazionali che non possono essere identificate con una nazione, e questo, specialmente quando si interviene in zone di conflitto, è davvero importante. È qualcosa di diverso dall’essere neutrale, significa essere indipendenti da qualsiasi realtà nazionale. La gente in guerra ha un sesto senso per capire chi è indipendente. L’unica nostra priorità è di aiutare, e il nostro status sottolinea proprio questo ed è veramente di aiuto per avere contatti diretti con i governi, agendo a diversi livelli, con credibilità. Per molte attività questo è cruciale. Le faccio l’esempio del Libano: è chiaro a tutti che noi siamo cattolici e quali siano le motivazioni che ci spingono, legate alla nostra fede, ma abbiamo cliniche dove ci sono sciti, sunniti… tutti, perché loro riconoscono il nostro proposito di aiutare e null’altro. Ci sono gruppi che non si parlano tra di loro, ma parlano con noi. È il potere dei senza potere, noi non abbiamo potere e loro non hanno paura». 

I vostri statuti sono da cambiare?

«Dobbiamo vedere quali parti delle nostre costituzioni vanno riformate. Una è probabilmente la struttura di governo dell’Ordine e l’altra è stata menzionata dal Papa nella sua ultima lettera, e riguarda le regole per i cavalieri professi».  

In quale direzione sono da riformare?

«Dobbiamo rivedere il sistema di controlli e contrappesi, per evitare che quanto accaduto possa ripetersi». 

Nell’ormai famosa prima lettera del Papa, il cui testo integrale non è noto, si parla di associazioni contrarie alla Chiesa. Un modo per dire massoneria. Ci sono problemi in questo senso nell’Ordine?

«È veramente difficile rispondere. Noi domandiamo a tutti coloro che vogliono diventare membri dell’Ordine di dichiarare e firmare in modo specifico una dichiarazione nella quale affermano di non far parte di alcuna organizzazione che sia fuori dalla Chiesa. Inoltre per ogni candidato è necessario il parere favorevole dell’ordinario del luogo, cioè del suo vescovo. Abbiamo già preso misure in questo senso, ma ovviamente se la persona dichiara il falso, e anche il vescovo è all’oscuro, è difficile venire a conoscenza di queste appartenenze. È chiarissimo che l’appartenenza a queste organizzazioni non può essere conforme e non è compatibile con l’appartenenza all’Ordine di Malta. E nel caso ciò emerga le persone devono lasciare l’Ordine. C’è una disciplina per l’espulsione». 

Perché è stato sollevato questo problema nella crisi recente?

«Non ne ho proprio idea». 

Questo argomento è stato forse usato contro di lei?

«No, mai. Mai. Ho chiesto in Vaticano: se avete delle indicazioni chiare che dobbiamo conoscere a questo proposito ditecele. Noi non possiamo agire se non sappiamo contro chi e dove». 

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