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Riconoscere la tua colpa ti guarisce

Perdono

padre Carlos Padilla - pubblicato il 24/02/17

La sensazione di debolezza ti libera e ti dà uno sguardo più sincero sulla tua vita

Nella mia anima c’è la tendenza a “esternare” la colpa. I responsabili dei miei fallimenti sono gli altri. I colpevoli della mia tristezza sono gli altri o la cattiva sorte. Gli altri con le loro azioni e le loro omissioni. O sono colpevoli le circostanze avverse della mia vita che non mi lasciano essere felice e frustrano i miei progetti.

È come se Dio non mi lasciasse avere una vita piena e bloccasse le mie vie di speranza. Dio, o il mondo da Lui creato, o la sorte che non è dalla mia parte.

Mi costa riconoscere la mia resposabilità in tutto ciò che mi succede. Penso di avere ragione e che la colpa sia degli altri. Penso di essere io a lavorare con grande sforzo. E per questo finisco per pensare che merito più fortuna in quello che faccio.

Incolpo la cattiva sorte o Dio di quello che mi accade. Quando trionfo è per via delle mie capacità. Quando fallisco, la colpa è di qualcuno esterno a me. Indico un colpevole. Condanno qualcuno. Questo mi succede quando faccio le cose bene e non ottengo il risultato che volevo. Qualcuno è colpevole del mio insuccesso.

Allo stesso tempo, a volte faccio le cose male e poi cerco colpevoli che si facciano carico dei miei spropositi. Mi fa paura assumere le conseguenze delle mie azioni. Desidero quello che non mi conviene. Cerco quello che non mi fa bene. E non ho mai la colpa delle mie cadute.

Desidero che qualcuno si faccia carico del peso di quello che succede. Non voglio portare quel peso tutta la vita. Io agisco e altri rispondono. Quanto costa al giorno d’oggi trovare persone che si rendano responsabili di quello che fanno!

Gli altri sono sempre più colpevoli di me. Mi sono lasciato trasportare. Mi hanno tentato. Lo facevano tutti. Non so perché mi ritengo più innocente degli altri. Forse è perché non ho abbastanza forze per portare tutto il peso della colpa. È troppo per la mia anima.

Voglio essere come Dio. Avere la sua forza. E per questo cerco di giustificare le mie azioni. Per liberarmi dal peso del mio peccato. Forse smetto di credere nell’infinita misericordia di Dio e temo il suo castigo. Non mi credo degno né meritevole di un amore infinito che mi abbraccia ogni giorno e perdona ogni mio errore.

La mia colpa per quello che faccio male pesa troppo. Diceva padre Josef Kentenich: “Molti uomini non riescono a sopportare il loro senso di colpa, e per questo lo negano. E più lo negano, più si ammalano a livello psichico. Domani o dopodomani collasseranno anche a livello fisico”[1].

La colpa per la vita che conduco. La colpa per quello che non riesco a fare bene. Mi sento debole e nascondo la colpa. So che assumere la propria responsabilità guarisce. Ma oggi la parola “colpa” è stigmatizzata. È come se facesse male tenerla tra le mani. Uso meglio la parola “responsabilità”.

La colpa pesa troppo. Forse perché per molto tempo me ne hanno parlato troppo, e nessuno sembrava liberarsene. Da questo estremo si è passati all’altro. Oggi nessuno vuole essere colpevole di nulla. Qualcuno ha la colpa, non io. Io sono esente.

La colpa fa male. Non voglio avere scrupoli e vivere contando i miei errori. Preferisco andare all’altro estremo. A quello dell’innocenza costante. In cui non assumo mai la mia colpa. È come uno stato paradisiaco in cui faccio tutto bene. E spero che tutti approvino la mia condotta.

E se qualcuno risulta ferito non è per colpa mia. È colpa del mondo, di Dio, della vita. Ma eludo questo peso insopportabile. Questo eludere la propria colpa continuamente finisce per farmi male.

Sono responsabile dei miei errori, delle mie cadute, dei miei peccati. Fa paura utilizzare la parola “peccato”. Ma pecco. E spesso non per ignoranza, ma sapendo bene cosa faccio. Non amo. Odio perfino.

E voglio sentire il peso della colpa. Non per vivere schiavo di questo. Non per amareggiarmi. Ma per essere sincero nel modo in cui guardo la mia vita. Sì. Ho colpa, sono peccatore. Accetto la verità della mia vita.

E so che questa colpa Gesù la prende su di sé sulla croce. So che Egli è morto per il mio peccato. Prima che io lo commettessi. È morto per il mio peccato di ora. Per quello che commetterò presto. Per quello che mi pesa nel passato.

Assumere la mia colpa guarisce. La prendo tra le mani e quella sensazione di debolezza mi libera. Non sono di ferro. Non sono perfetto. Sono d’argilla. Anelo solo ad amare dalla povertà della mia debolezza, dalla ferita della mia colpa.

Non la nego. La prendo tra le mani come un bambino e la offro a Dio. Egli sa come curare la mia anima ferita e malata. Mi prende su di sé. Mi porta sulle spalle.

[1] J. Kentenich, Textos pedagógicos

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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